“Gli inizi sono importanti: i suoi sono con Marino Marini, da cui apprende oltre alla sapienza della lavorazione dei materiali anche il gusto per il carattere artigianale della scultura, che resta una sua caratteristica importante.” [Eleonora Fiorani] 1

Amalia Del Ponte nasce a Milano nel gennaio del 1936, degli anni della guerra mantiene un vivido ricordo: “[...] ricordo di essere finita con i miei genitori in uno scantinato buio di un palazzo di piazza Missori [...] il suono cupo degli aerei che volavano bassi e i tonfi di bombe esplose vicino facevano tremare tutto e tutti. Quando finalmente siamo potuti risalire ci siamo trovati in una nuvola di fumo e cenere, in mezzo a cumuli di macerie [...] io non capivo cosa fosse la guerra e perché ci fosse la guerra… Era inutile spiegarlo, non lo capivo. Oggi, purtroppo lo capisco ancora meno [...]”.

Tra il 1956 e il 1961 frequenta l’Accademia di Belle Arti di Brera dove si diploma in scultura con Marino Marini e intraprende un originale percorso di sperimentazione sui materiali, fortemente influenzato dai costruttivisti russi, che cercava di dare una nuova prospettiva, o meglio una nuova vita, alla scultura, dichiarata ormai “lingua morta” dallo stesso Arturo Martini. “Ricordo un’immagine o un’emozione, non so, di quand’ero molto piccola, forse non parlavo ancora… erano delle luci che giravano sul soffitto quando mi svegliavo”. Sono forse queste prime fascinazioni provenienti dalla sua infanzia che spingono la giovane Amalia Del Ponte a intraprendere sin dall’inizio della sua carriera una ricerca rivolta verso la geometria e la luce: “in quegli anni volevo capire cosa fare con la luce” e dopo i primi esperimenti con il cristallo di rocca arriva a scegliere il plexiglas: “volevo ottenere sculture ‘cangianti’, che cioè perdessero di immobilità e avessero spazi e volumi diversi dai diversi punti di vista”, è così che nascono le sue sculture più celebri, chiamate Tropi da Vittorio Fagone in occasione della mostra alla Galleria Vismara di Milano del 1967.

La ricerca di Amalia sulla rifrazione con il plexiglas accostato ad altri materiali proseguì fino a raggiungere il culmine nel 1973 in occasione della Biennale di San Paolo del Brasile dove vinse il Primo Premio Internazionale per la Scultura, grazie all’opera Area percettiva.

“Per l’ambiente di San Paolo, sono partita dalla premessa che fosse un’opera fatta per accogliere al suo interno e non per essere guardata. Per entrarci si passava da una stretta fessura e ci si trovava avvolti da una luce intensa, diffusa e senza ombre, che annullava lo spazio per sorprendere il pensiero, per far riaffiorare l’Ineffabile.”

Parallelamente al lavoro di ricerca sulla luce, sul vuoto e sulla materia, Amalia intraprese all’epoca anche una brillante carriera da designer, che la portò a collaborare nel giro di pochi anni prima con il marchio Gulp! per il quale progetta nel 1965 il negozio di via Santo Spirito a Milano, ma soprattutto con Elio Fiorucci, sarà infatti Amalia a trovare gli spazi e a progettare, assieme alla grafica per il marchio, il primo leggendario negozio Fiorucci in Galleria Passarella in centro a Milano nel 1967.

“Quando nel 1967 feci il negozio Fiorucci le lastre di vetro avevano raggiunto le dimensioni di un piano, così mi è stato possibile pensare che tutto lo spazio del negozio fosse vetrina. Smantellato fino all’osso, al cemento e fessurato il pavimento per intravedere lo spazio che continuava sotto, l’unico elemento posto nel bel mezzo del negozio fu una grande scala di ferro verniciata di un azzurro pervinca. [...] Ormai siamo annoiata da negozi bianchi e spogli, ma allora non era così.”

Verso l’inizio degli anni Ottanta del Novecento, abbandonata la ricerca sulla rifrazione della luce e sulla struttura dei cristalli, Amalia focalizza la sua attenzione sulle onde sonore e sul suono delle pietre scolpite: “In quegli anni stavo cercando le proporzioni di una superficie, più precisamente di una lastra che, appesa come un gong e percossa al centro, risuonasse e producesse la nota principale, o tonica, oltre alla moltitudine di altri suoni, i cosiddetti armonici”, nasce così la serie dei Litofoni, delle vere e proprie pietre sonore scolpite da Amalia a partire dal 1985.

“Con i litofoni l’artista apre a nuovi modi di pensare la scultura e la pietra che ne è protagonista e con essa instaura un rapporto biunivoco tra visivo e auditivo, e anche tattile, tendendo a estendersi a tutti i sensi.” 2

Il coronamento di questa esperienza arriva nel 1995, quando Gillo Dorfles invita Amalia Del Ponte alla Biennale di Venezia; Amalia trasforma la sala a lei dedicata all’interno del padiglione italiano, in un vero e proprio “ambiente performativo” dove accanto al litofono del 1993 Acqua nell’acqua, viene realizzata l’installazione Musica in gocce, un percorso composto da ventotto dischi marmorei posti a terra e accompagnati da un brano di David Ryder composto per l’occasione campionando il suono di ciascuna goccia: “Quando ho iniziato a lavorare su 28 station sono stato immediatamente impressionato dalla sensazione della potenza/forza nel suono dei litofoni di Amalia, e ho passato un bel po’ di tempo a registrare il tono naturale o voce di ciascuna scultura [...]” 3 per indicare il loop musicale, o forse il senso circolare del tempo, il pentagramma dello spartito della composizione di Ryder non si presentava come di consueto lineare, bensì circolare.

Una panoramica completa (la prima) del lavoro di Amalia è stata presentata nel 2017 a Milano grazie ad una grande mostra suddivisa tra il Museo del Novecento e lo Studio Museo Francesco Messina a cura di Eleonora Fiorani e Iolanda Ratti.

Note


1 E. Fiorani, Amalia Del Ponte: forme, concetti, suoni in Amalia Del Ponte a Casa Mantegna, catalogo della mostra di Mantova, Mantova, 1994.
2 E. Fiorani, La forma del suono in Amalia Del Ponte. Onde lunghe e brevissime, catalogo della mostra di Milano, San Severino Marche, 2017.
3 D. Ryder, Lithovocis, 1996.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Amalia Del Ponte

Vittorio Fagone, Tropi, testo per la mostra del Salone Annunciata, Milano, 1967

Maria Pezzi, Fa scultura in trasparenza, in «Il Giorno», Milano, 9 febbraio 1967

Umbro Apollonio, a cura di, XII Biennale Internazionale d’arte, catalogo della mostra di San Paolo del Brasile, 1973

Arturo Schwarz, Arte e alchimia, catalogo della mostra di Venezia, 1986

Eleonora Fiorani, a cura di, Amalia Del Ponte a Casa Mantegna, catalogo della mostra di Mantova, Paolini, Mantova, 1994

Gillo Dorfles (a cura di) XLVI Biennale Internazionale d’Arte, catalogo della mostra di Venezia, 1995

Marco Meneguzzo, Francesco Gualdoni, La scultura Italiana del XX secolo, catalogo della mostra di Milano, Skira, Milano, 2005

Amalia Del Ponte, Risonanze Orbitali. Opere e Domande, et. al., Milano, 2012

Federico Florian, Au commencement il y a la lumière, in «Flash Art», n° 330, dicembre-gennaio, 2016/2017

Eleonora Fiorani, Iolanda Ratti (a cura di) Amalia Del Ponte. Onde lunghe e brevissime, catalogo della mostra di Milano, Editrice Quinlan, San Severino Marche, 2017

Eleonora Fiorani, Il design di Amalia Del Ponte, in Oltre l’abito. Iridescenze nella moda contemporanea, Deleyva, Milano, 2017

SITO

http://www.amaliadelponte.org

Referenze iconografiche: Amalia Del Ponte alle Cave di Carrara. Fonte: Amalia Del Ponte.org.  Creative Commons Attribution 2.5 Italy license.

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2023