Anna fu la prima dei quattro figli (Anna, Bernardo, Bianca, Giovanna) di Marietta Merlino e Michele Lombardi. Trascorse la sua infanzia in un piccolo paesino vicino Benevento, Apice, dove il padre lavorava come fabbro di una piccola bottega e la madre ricamava il pizzo Rinascimento.
Lì frequentò le scuole materna ed elementare aiutando la madre, negli anni della guerra, nel cucito e nel ricamo. A Benevento, frequentò le scuole medie presso l’Istituto delle Madri Orsoline e il ginnasio presso la scuola statale.
Crescere fu per lei da subito entrare in collisione con la concezione patriarcale di quegli anni. Si era innamorata di Finisio D'Oro, un ragazzo apicese che studiava per diventare insegnante elementare, di quattro anni più grande di lei, il quale però non era ben visto dai suoi genitori per le sue modeste condizioni; padre e madre di Finisio, infatti, riuscivano a fatica a mantenere i loro undici figli con i proventi di un mulino che si alimentava con il fiume Calore. Il padre di Anna decise di scoraggiare questo affetto allontanandola, e la spedì a Reggio Emilia, dove risiedevano il fratello della moglie, Domenico Merlino, impiegato in questura, e sua moglie, Serafina Di Ienno, insegnante elementare: Anna avrebbe così proseguito gli studi presso il liceo classico statale Ariosto di quella città.
Anna tuttavia continuò, tramite dei prestanome e in segreto, la corrispondenza con Finisio. Passò gli anni dal 1948 al 1950 in solitudine, e le sue lettere testimoniano una solitudine e lo sconforto e la confusione, alternati alla fiducia e all'ottimismo. Nelle sue lettere a Finisio, Anna manifestava la sua insofferenza verso gli zii, troppo rigidi e severi nell'educazione, e verso la loro casa, “odiosa prigione” nella quale era costretta a vivere. Così, i rapporti con i suoi genitori non fecero che peggiorare, e anche le sue condizioni di salute. Anna, sentendosi tradita, sola e abbandonata, scriveva: «Ormai mi considero figlia di nessuno. Avranno dimenticato forse che esista? Mi sembra che sono passati mille anni da quando mi sono slacciata da questo legame familiare che mi opprime e che ha reso infelice tutta la mia esistenza.» (Reggio Emilia, lettera del 17 gennaio 1951).
Pochi mesi prima di concludere il terzo e ultimo anno di liceo, con grande rammarico dei genitori, decise di lasciare Reggio Emilia senza terminare gli studi. Così, proseguì l'ultimo anno presso l'Istituto magistrale di Benevento, ove conseguì, con ottimi voti, il diploma.
Finalmente il 31 marzo dell'anno dopo, sposò in segreto l'uomo che amava presso la chiesa di Santa Maria Assunta di Apice. Nessuna cerimonia, solo il parroco che celebrò la messa, Don Luigi Palmieri, che in seguito si adoperò per riavvicinarla alla sua famiglia d'origine, e qualche intimo amico. Ottenne il consenso dei genitori, necessario per le nozze, non avendo compiuto ancora 21 anni, ma non la loro presenza. Il padre, infatti, proibì a moglie, sorelle, fratello e parenti di assistere alla celebrazione. Non avendo disponibilità economiche, durante i primi anni di matrimonio visse nella casa della famiglia di lui, ad Apice, ed ebbe subito due figli, nel giro di due anni, Edmondo (1953) e Annibale (1955). La piccola casa rurale di Apice aveva una scala interna in pietra, il bagno ricavato all’interno di una stanza con tramezzi di cartone, la cucina in muratura, il focolare e un angolo per gli animali.
Intanto, la sorella della madre, Irma, si adoperava insieme a don Luigi per riavvicinare Anna alla sua famiglia, e solo con la nascita dei bambini anche il padre Michele si ammorbidì.
Dopo le due forti scosse di terremoto che il 21 agosto 1962 fecero tremare il Sannio e l'Irpinia, i 6.500 apicesi furono costretti ad abbandonare il paese, per trasferirsi nel nuovo abitato, che sorse sulla collina di fronte. Ma Anna e il marito, certi che la vita di povertà e ristrettezze in quel piccolo centro non sarebbe cambiata, decisero di spostarsi a Roma, per offrire migliori occasioni ai loro figli, che oggi hanno compiuto brillanti carriere.
Attenta alla cura della casa e dei figli, ma anche consapevole che l'indipendenza economica fosse la prima di tutte le altre, volle lavorare come insegnante elementare, anche se fu spesso utilizzata solo come supplente e fu costretta a cambiare molte scuole, spesso per periodi anche inferiori all'anno scolastico e in periferia. La tensione continua alla quale questo ritmo la sottoponeva fu all'origine di un aborto spontaneo che mise fine al desiderio di un terzo figlio.
Anna visse, ancora nella vita adulta, divisa a metà: inizialmente, con l'uomo che amava, a Roma, ma con l'amarezza di non essere stata appoggiata dalla sua famiglia di origine nei momenti cruciali della vita. Successivamente, ad Apice, ove rientrò nel 1987 per assistere la mamma molto anziana, alla quale nel frattempo si era riavvicinata, ma lontano dai suoi figli, che rimasero in città.
La sua non fu una vita facile, sicuramente lacerata dal conflitto fra una indipendenza sentita come necessità affettiva e il giogo a cui gli stessi affetti la richiamavano.
Soffriva per essere nata in un'epoca di pregiudizi e condizionamenti.
Scomparve improvvisamente all'alba del 23 maggio 2009, “una botta e via”, come avrebbe desiderato, e tre anni dopo, nello stesso giorno, la seguì il marito.
In linea con il suo carattere volle lasciare precise disposizioni sul suo “ultimo momento”, circa i vestiti da indossare, la casa da sistemare, il funerale da celebrare, tutto da farsi con sobrietà, rispecchiando la semplicità della sua vita. E, infine, un album di fotografie con un biglietto, indirizzato ai suoi figli: «Quando non sarò più con voi, ma in voi, sfogliando questo album, attraverso le foto, rivedrete vostra madre sempre più affettuosa e premurosa».

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2015