Brunechilde, figura complessa e controversa, giganteggia nel panorama della Gallia merovingia: donna di straordinaria tempra, nel bene e nel male dominò la scena politica della sua regione per quasi 50 anni, stagliandosi quale eccezionale figurazione di mater regni, così come la celebra Venanzio Fortunato (carm. X, 7, 60-70; X, 8, 4 e 19-26; carm. app. 6) e come secoli dopo sarà Adelaide di Borgogna, secondo la nota definizione di Gerberto d’Aurillac.

Di Brunechilde si potrebbe addirittura affermare che sia stata una mater regni al cubo: reggente del figlio, di due nipoti e infine anche di un pronipote. Non fu mai paga nell’esercizio del potere: indirizzò con tenacia le scelte politiche e anche sentimentali di figli e nipoti; seppe intessere una fitta rete di relazioni politiche; fece valere la sua ingerenza sulle nomine e sulle destituzioni dei vescovi, entrando in conflitto con i vescovi Desiderio e Colombano e con il papa Gregorio Magno; fu capace di orrendi misfatti ma anche molto devota e generosa con la Chiesa prodigandosi in donazioni. A informare sulle movimentate vicende della sua tribolata esistenza sono - in maniera differente e talvolta del tutto discorde - Gregorio di Tours nell’Historia Francorum, Venanzio Fortunato nei Carmina, il re visigoto Sisebuto nell’opera agiografica Vita vel passio Desiderii, Giona di Bobbio nella Vita Columbani, lo pseudo-Fredegario nella Cronica, l’anonimo autore del Liber Historiae Francorum e Paolo Diacono nell’Historia Langobardorum.

Se i suoi contemporanei Gregorio (HF IV 27) e Venanzio (carm. VI, 1, 56-58, 100-115; VI, 1a, 37-38) tratteggiarono di lei un profilo esemplare, consegnandola alla storia come un icastico condensato di virtù, invece a cominciare da Sisebuto nessuno dei successivi storici si fece scrupolo di descriverla come una donna spavalda e terrificante. Figlia del re visigoto Atanagildo e di Goisvinta, Brunechilde nacque a Toledo intorno al 550. Giovanissima, nel 566, in una solenne cerimonia celebrata a Metz, andò sposa al re merovingio Sigeberto I, che, alla morte di suo padre Clotario I, aveva ottenuto il governo dell’Austrasia. La principessa visigota, di fede ariana, si convertì al cattolicesimo per poter divenire la moglie del re. Le nozze regali furono cantate da Venanzio Fortunato nel noto epitalamio che egli compose per l’occorrenza (carm. VI, 1) e con cui il poeta inaugurò la sua fortunatissima carriera letteraria in Gallia. A Sigeberto Brunechilde diede tre figli: Ingunde, Childeberto II e Clodesinde.

I primi dieci anni del regno furono caratterizzati da continui scontri tra Sigeberto e il fratellastro di costui Chilperico, re della Neustria, entrambi tesi a difendere e ad ampliare i rispettivi territori. I già compromessi rapporti tra i due furono ulteriormente inaspriti da un privatissimo atto di violenza perpetrato da Chilperico: costui per pareggiarsi al fratello aveva infatti voluto sposare la sorella di Brunechilde, Gelesvinta, suscitando le ire di Fredegonda, sua spregiudicatissima e sanguinaria amante la quale ordinò l’uccisione della povera Gelesvinta: è ancora Venanzio Fortunato a piangere in un carme struggente la morte di Gelesvinta (carm. VI, 5). Nel 575 la spietata Fredegonda fece assassinare anche Sigeberto che aveva quarant’anni come si apprende da Gregorio di Tours (HF IV, 51).

A partire dalla morte del marito, la storia tratteggia Brunechilde come una donna di potente personalità, animata da una lucidissima visione politica che mirava alla costruzione di un regno unitario e centralizzato in Gallia, quale degno erede dell’Impero romano e a dispetto delle pulsioni disgregatrici e centrifughe tipiche delle aristocrazie germaniche. Da subito la regina prese in mano le redini del suo regno assumendo la reggenza del regno d’Austrasia per conto del figlio Childeberto II, di circa sette anni. Brunechilde si trovò a doversi difendere dalle insidie di Chilperico e di Fredegonda e a subire l’esilio a Rouen. Per non soccombere alle mire espansionistiche del cognato cercò un appoggio in Meroveo, figlio che Chilperico aveva avuto dalla prima moglie Audovera, che ella sposò andando contro le leggi del diritto canonico in quanto egli era suo nipote. Dovette essere facile ottenere l’alleanza con Meroveo perché egli doveva certamente nutrire sentimenti astiosi verso Fredegonda - che aveva spodestato sua madre - e di conseguenza anche verso suo padre che con quella perfida donna si era unito: dopo pochi mesi però anche Meroveo fu fatto ammazzare dallo stesso Chilperico su istigazione della perfida Fredegonda.

Intorno al 577, in seguito a fitte trattative fu concesso a Brunechilde di rientrare in Austrasia dall’esilio. Nel 584 moriva anche Chilperico, di morte violenta: a dare ascolto all’anonimo storico del Liber Historiae Francorum per mandato della pessima Fredegonda. Da questo momento la partita per il potere sulla Gallia si giocò tra le due donne, irriducibilmente nemiche, e le rispettive discendenze di figli e nipoti, bambini o appena adolescenti, alle cui spalle sembra sempre scorgersi l’ombra ingombrante di queste due gigantesche regnanti: le due cognate, sopravvissute ai mariti, diedero inizio a una inesauribile e sanguinosissima serie di violenze, scontri, vendette che terminarono solo con la loro morte.

La rivalità tra le due regine divenne tristemente proverbiale ed offrì materia narrativa: nel 1775 a Jacques Marie Boutet de Monvel nel suo Fredegonde et Brunehaut. Roman historique; a Louis Jean Népomucène Lemercier che nel 1821 componeva la tragedia in cinque atti Frédégonde et Brunehaut; nel 1908 a Maurice Strauss autore del romanzo storico La tragique histoire des reines Brunehaut et Frédégonde. Riprendiamo la vicenda di Brunechilde: negli anni della sua reggenza di Childeberto II ella provvide attentamente anche all’istruzione del figlio tanto da guadagnare l’apprezzamento di Gregorio Magno (ep. VI, 5) e, in coerenza con la sua aspirazione a uno Stato unitario e forte, si adoperò a consolidare i legami con il regno visigoto, sua terra natia, dove allora governava Leovigildo, secondo marito di sua madre Goisvinta. A tal fine combinò il matrimonio di sua figlia Ingunde, dodicenne, con Ermenegildo, figlio di Leovigildo: le nozze si celebrarono nel 579 ma la sposa bambina non accettò di abiurare la fede cattolica per abbracciare l’arianesimo, religione di stato dei sovrani visigoti.

Nella corte visigota nacque una grave tensione familiare culminata con la conversione cattolica di Ermenegildo che si pose così in aperto contrasto con il padre, facendosi proclamare re. La situazione volse al peggio per Ermenegildo che fu sconfitto e, consegnato al padre, fu giustiziato. Sua moglie Ingunde e il loro figlioletto Atanagildo per motivi non chiari furono inviati verso Costantinopoli: Paolo Diacono scrive genericamente che i due, tentando di tornare in Gallia, furono catturati da milites (HL III, 21); mentre Gregorio di Tours sembra alludere alle truppe bizantine (HF VI, 40; VIII 18, 28). Al riguardo grazie alle parole di Paolo Diacono (HL III 17) e di Gregorio (HF VI 42) è possibile avanzare una supposizione. Entrambi gli storici infatti riferiscono che i bizantini avevano pagato Childeberto affinché li appoggiasse nella lotta contro i longobardi muovendo loro guerra ma il re franco, corrotto dai longobardi stessi, non aveva agito e nemmeno aveva restituito la somma di denaro ricevuta. Alla luce di questa concorde informazione è lecito immaginare che il proposito di condurre Ingunde e Atanagildo nella capitale imperiale possa essere stato l’esito di una rappresaglia degli orientali per punire i franchi. In ogni modo a Costantinopoli non giunse mai Ingunde che, appena diciassettenne, morì in Africa, durante il viaggio; vi giunse invece il piccolo Atanagildo che fu lì trattenuto, verosimilmente in veste di ostaggio come potenziale pedina per possibili scambi politici, non infrequenti in quell’epoca. Nulla si sa della fine del bambino.

A testimonianza delle relazioni tra Brunechilde e Costantinopoli, risalgono a questo periodo cinque lettere da lei inviate alla corte bizantina: una rivolta al nipote Atanagildo e le altre all’imperatore Maurizio e a sua moglie Costantina. Queste lettere sono l’unica testimonianza della scrittura di Brunechilde. La donna si esprime nel latino cancelleresco proprio della burocrazia merovingia e si coglie la sua tensione a uno stile ridondante e ricercato: tre lettere - alla coppia imperiale - cripticamente alludono a questioni politiche mentre le altre due - ad Atanagildo per rincuorarlo e all’imperatrice Costantina per implorarla che le sia restituito il nipote - lasciano trapelare toni fortemente emotivi, espressione umanissima e patetica di una donna addolorata e impaurita a cui è morta una figlia e che teme di perdere anche il nipote.

Nella lettera a Costantina il dolore di Brunechilde annulla il rigore dello stile ufficiale: dimentica di essere una regina che scrive a una imperatrice, le si rivolge da donna a donna, anzi da madre a madre, deponendo l’orgoglio e facendo appello al suo cuore. Tornando alla gestione del regno di Childeberto, sua madre Brunechilde non smise mai di guidarlo con astuzia e intelligenza politica anche quando egli nel 585, compiuti i quindici anni, l’età legale per governare, salì al trono, ottenendo che egli potesse annettere al proprio regno anche quello della Borgogna. Quando, nel 595, anche Childeberto moriva a circa 30 anni, di morte naturale o avvelenato come scrive Paolo Diacono (HL, IV, 11), il sovrano lasciava due figli ancora bambini, Teodeberto II (nato circa nel 586) e Teodorico II (nato circa nel 587): senza indugiare Brunechilde si proclamò reggente dei due nipoti, assegnando al primo l’Austrasia e al secondo la Borgogna. La sua nemica di sempre, Fredegonda, non desisteva dai suoi obiettivi e, rimasta vedova nel 584, assumeva le redini del suo regno per conto del figlio Clotario II, appena nato, continuando a premere sui confini del regno di Brunechilde fino alla propria morte avvenuta nel 597.

Conclusa la vicenda terrena di Fredegonda, fu come se la già smodata ambizione politica di Brunechilde acquisisse maggiore determinazione: la regina appariva senza più freni nella sua bramosia di potere e divenne feroce quanto l’odiata cognata. Gli anni della seconda reggenza di Brunechilde, pur vedendo la sovrana al timone delle Gallie, non furono privi di turbolenze: la regina si trovò a dover lasciare l’Austrasia, per un complotto teso a destabilizzarla o per una a noi ignota questione di opportunità. Tuttavia Brunechilde continuò a portare avanti gli scontri contro Clotario II il quale, morta sua madre, era diventato il suo principale nemico; in questi anni a Brunechilde toccò anche l’infelice destino di assistere ai contrasti tra i due nipoti che la videro schierarsi dalla parte di Teodorico II e dunque a perdere il controllo sull’Austrasia. Al quindicenne Teodorico II nasceva nel 602 il figlio Sigeberto II, cui seguiva nel 603 la nascita di Childeberto III.

Brunechilde non demordeva dal sogno di riprendersi la sua regione d’adozione, l’Austrasia, e aizzò Teodorico a scontrarsi contro suo fratello Teodeberto. Nel 613 morì anche Teodorico, forse di un morbo intestinale. Neanche questa morte placò Brunechilde nella sua sete di potere: la regina, ormai anziana fece proclamare re il primogenito di Teodorico, Sigeberto II, ancora undicenne, divenendone reggente.

Furono gli ultimi disastrosi fuochi di una vita vissuta all’insegna dell’ambizione più sfrenata. Il figlio di Fredegonda, Clotario II, non si arrese e invase l’Austrasia ottenendo la vittoria. Il piccolo Sigeberto II fu ammazzato e Brunechilde, fatta prigioniera, fu sottoposta all’orrenda tortura raccontata da alcune fonti (Sisebuto, Vita vel Passio Desiderii, XXI; pseudo Fredegario, IV, 42; l’anonimo Liber Historiae Francorum, 40): torturata per giorni fu legata per i capelli a un cavallo selvaggio che la trascinò furiosamente fino a ridurla a brandelli.

A epilogo di una vita condotta tra guerre e violenze di ogni genere, a Brunechilde toccò in sorte una morte spettacolare e di smisurata brutalità come spettacolari e smisurate erano state le sue imprese di guerriera mai doma. Nel giudizio della storia, la perfida Fredegonda resterà la figlia di una lavandaia, furiosa nella sua ascesi sociale, mentre Brunechilde, prudens consilio et blanda colloquio (Gregorio, HF IV 27) e figlia di re, sembra essere assolta da Gregorio e da Venanzio in nome di quel suo lungimirante disegno politico tanto ostinatamente perseguito.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Brunechilde

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Letters from Brunhild, queen of Austrasia and Burgundy, in J. M. Ferrante, Epistolae. Medieval Women's Latin Letters: https://epistolae.ctl.columbia.edu

Immagine: L'esecuzione di Brunechilde, miniatura da: Giovanni Boccaccio, De casibus virorum illustrium, libro 9, Parigi ca. 1475. (Immagine in Pubblico Dominio).


Voce pubblicata nel: 2022

Ultimo aggiornamento: 2023