Clara Garesio nasce a Torino e qui principia il proprio percorso formativo alla Civica Scuola d’Arte Ceramica, sotto la guida di W. Corallini.

Incoraggiata dai brillanti risultati prosegue gli studi presso la scuola più accreditata del settore, l’Istituto Statale d’Arte per la Ceramica G. Ballardini di Faenza. Tra i suoi maestri i nomi illustri dell’arte, della tecnologia e della storiografia ceramica: tra cui A. Bucci, A. Biancini, G. Liverani, T. Emiliani. La scuola è in questi anni (1952-57) una vera e propria fucina di artisti, molti dei quali saranno riconosciuti come protagonisti della ceramica del Novecento (lo svedese H. Hedberg, il francese A. Diato e gli italiani N. Valentini, P. Spagnulo, G. Gaeta, A. Leoni, I. Sassi): parecchie anche le ragazze, molte delle quali prenderanno la via dell'insegnamento o dell'artigianato.

Sono anni di grosso fermento artistico e Faenza, con le sue botteghe, il Museo Internazionale delle Ceramiche, l’Istituto d’Arte e il Premio Faenza, rappresenta un nodo nevralgico del flusso di idee, esperienze e conoscenze in campo ceramico che percorre l’arte internazionale. In questo clima stimolante e dinamico Garesio ha modo di mettere in campo il proprio talento, sviluppando uno stile personale, che metabolizza la lezione dei maestri e le suggestioni dell’arte contemporanea, rielaborandole in un linguaggio fluido e scattante che, trent’anni dopo, farà parlare Enzo Biffi Gentili di "fase creativa astratto-decorativa 'avanguardista' assolutamente strepitosa", e che non tarda a ricevere consensi già in ambito scolastico, tra cui il Primo Premio al concorso ceramico per eccellenza, il Premio Faenza del 1956.

Terminato il Magistero nel 1957, rientra a Torino, dove lavora col ceramista Cerrato e poi alla VI.BI. Nello stesso anno avvia l’insegnamento presso l’Istituto Statale d’Arte G. Manuppella di Isernia, diretto dal ceramista G. Saturni. Si dedica alla docenza e progetta e produce in continua sperimentazione una enorme quantità di pezzi che, in rappresentanza dell’istituto, partecipano con successo alle competizioni nazionali dell’epoca, come il Premio Faenza, il Premio Marche, la Mostra Nazionale di Castelli, il Premio Lerici. Il suo lavoro, pur non escludendo altre tipologie ceramiche, ha nella forma archetipica del vaso il tema centrale, con la tendenza a superare l’idea dell’oggetto contenitore, a vantaggio di morfologie più autonome e scultoree, alle quali si accompagna l’elaborazione di nuovi valori di superficie e la sperimentazione di inediti linguaggi e tecniche esecutive: maiolica dipinta e/o graffita per i vasi torniti e smalti materici – ottenuti dalla combinazione degli ossidi con vari materiali – per quelli eseguiti a colombino. Accanto all’attività esecutiva è notevole l’impegno nel design, con la progettazione di moduli per mattonelle da rivestimento, partiti ornamentali e sagome di vasellame. Questa attività è oggi documentata da un significativo corpus di opere ceramiche e di elaborati grafici, in gran parte di proprietà dell’artista e in minore quantità acquisite al MIAAO di Torino e al Museo della Ceramica di Castellamonte.

Nel 1962 giunge a Napoli, rientrando in una rosa scelta di docenti chiamati da più parti d’Italia per avviare l’Istituto Professionale di Stato per l’Industria e l’Artigianato della Porcellana G. Caselli, diretto dal ceramista G. Baitello e nato con la vocazione di dare nuovo impulso all’antica tradizione alto-artigianale. Ha inizio così una nuova stagione creativa che ha il proprio focus nella riscoperta della porcellana e nel confronto con la gloriosa produzione di Capodimonte. Il nuovo contesto le impone di misurarsi con un approccio più accurato e controllato alla materia, e la sua energia si concentra in segni e gesti di rinnovata e calibrata efficacia. Il suo tocco si fa preciso e minuzioso, ma non meno lieve e sicuro, e, accanto alla pura invenzione, si dedica alla disciplinata rivisitazione/innovazione del patrimonio iconografico e stilistico tradizionale. Come già a Isernia, arte e progettazione sono integrate alla didattica, anche in ragione delle collaborazioni dell’istituto con aziende di settore e della regolare partecipazione a concorsi e mostre nazionali, come la Mostra d’Oltremare di Napoli e la Mostra dell’Artigianato di Firenze, dove nel 1966 un suo servizio da caffè vince il Primo Premio.

Per circa quarant’anni affianca all’insegnamento l’esecuzione in proprio di rilievi e pannelli dipinti in ceramica per l’architettura e, in collaborazione col marito, lo scultore Giuseppe Pirozzi, è più volte vincitrice di concorsi nazionali per opere d’arte destinate a spazi pubblici, partecipa a gruppi di progettazione e realizza vetrate artistiche e plastiche ornamentali. Si dedica inoltre a una intensa attività di produzione e design di manufatti ceramici, anche in collaborazione con manifatture di porcellana di Capodimonte e con faenzere della Costa d’Amalfi. Prosegue anche la ricerca in campo grafico e pittorico, con disegni e dipinti su carta, tela, vetro e ceramica.

Sulla scia di una naturale sensibilità per le tracce materiali della memoria sviluppa il filone degli assemblages: composizioni di elementi tratti dalla realtà quotidiana, generalmente materiali di scarto di lavorazioni oppure reperti di esistenze altrui acquistati nei mercatini, ai quali regala “una seconda vita”. Questa ricerca coinvolge diverse materie, dalla ceramica al legno, alle materie plastiche, ai tessuti, agli ornamenti in metallo e gemm. Ne nascono oggetti d’uso o di decorazione, come complementi d’arredo, accessori e bijoux, oppure opere a sola funzione estetica, come una serie di scarabattole d’ispirazione devozionale (una acquisita al MIAAO di Torino).

Dai primi anni Novanta si dedica in modo più intenso e continuo alla produzione artistica autonoma e rinsalda il legame con l’arte del fuoco attraverso la creazione quasi esclusiva di opere fittili. Accanto alle tipologie del vaso, del piatto e del rilievo, sviluppa nuove famiglie di oggetti artistici, attraverso i quali si appropria gradualmente di spazi fisici e di significato più ampi. Dà vita a piccole serie di manufatti unici, che vanno dalle piastrelle alle piastre traforate, ai Volti, alle Mani, sino ai più complessi Taccuini, alle Scatole delle meraviglie, alle Nature morte; a installazioni d’impianto geometrico, come i mandala, oppure ottenute da composizioni aperte di elementi, che si dispongono nello spazio liberamente, come gli Appunti, le Architetture oniriche, i Corpi celesti, fino alla recente Fiorire è il fine.

Negli anni Duemila comincia il confronto col pubblico attraverso l’attività espositiva, che le vale l’interesse e il riconoscimento della critica. Nel 2005 è insignita del 1° Premio Internazionale Terra di Piemonte e celebrata con una sala al Museo della Ceramica di Castellamonte nella 45° Mostra d’Arte Ceramica; nello stesso anno le sue opere fanno ingresso al MIAAO di Torino; nel 2006 le viene assegnato il Premio-Mostra alla Carriera Viaggio attraverso la ceramica del Museo Artistico Industriale M. Cargaleiro di Vietri sul Mare. Seguono partecipazioni a rassegne di respiro nazionale e mostre personali, tra le quali quelle alla galleria Terre d’Arte di Torino, a Villa Rufolo a Ravello, a San Salvatore de’Fondaco a Salerno, al Museo della Ceramica di Villa Guariglia di Vietri sul Mare e al Museo Duca di Martina di Napoli, quest’ultima accompagnata da una monografia curata da F. Bertoni. Intanto, nel 2010 il MIC di Faenza assimila alle proprie collezioni la sua Blue Mandala; altre sue creazioni confluiscono in varie istituzioni museali, tra cui: Museo Duca di Martina di Napoli, Museo della Ceramica di Villa Guariglia di Vietri sul Mare, Museo d’Arte Ceramica di Ascoli Piceno, Museo della Ceramica Castello Episcopio di Grottaglie, Museo della Ceramica di Castellamonte, Museo Città Creativa di Ogliara Salerno, Raccolta Internazionale d’Arte Ceramica Contemporanea di Castelli, Museo d’ARte CONtemporanea di Cerreto Sannita, Museo M. Cargaleiro di Castelo Branco (Portogallo). Nel 2013 l’Unione Europea acquisisce il suo grande lavoro In Women’s Hands, donato all’ONU e installato nel Palais des Nations di Ginevra, e l’opera Imagining In Women’s Hands (sede SEAE di Bruxelles). Della sua arte si interessano, tra gli altri: E. Alamaro, F. Bertoni, E. Biffi Gentili, A. Cilento, A. Pansera, G. Zampino.

Tutt’oggi Clara Garesio insegna ceramica presso la Società Umanitaria riversando nell’attività creativa quell’esigenza espressiva di significato e quella passione per la ricerca che sono vitali per ogni artista e che, per chiunque, rappresentano il segreto della gioia nel proprio lavoro.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Clara Garesio

http://www.claragaresio.it

E. Alamaro, Il ritorno di una desaparesida della ceramica italiana degli anni cinquanta: Clara Garesio, in «La Ceramica Moderna e Antica», n. 256, novembre 2006

F. Alfano, L’incostante coerenza, in Ceramiche - timeless glamour, Torino, Terre d’Arte, 2007

F. Bertoni (a cura di), Clara Garesio. Fiorire è il fine, Napoli, Editalfa, 2016

E. Biffi Gentili, Vietri: last but the best, in Le ceramiche di Clara Garesio, Salerno, Menabò, 2006

A. Cilento, Quando le civiltà si rivelano con ceramiche e porcellane, in «il Mattino», 10 gennaio 2017

A. Pansera, Una festa per gli occhi, in F. Pirozzi (a cura di), Clara Garesio. Una infinita primavera, Salerno, 2015

F. Pirozzi, Clara Garesio. Fuori dall’ombra, in R. Riccini (a cura di), Angelica e Bradamante: le Donne del Design, Padova, Il Poligrafo, 2017

M. Roccasalva, Clara Garesio, in G. Zampino (a cura di), Garesio&Pirozzi. Con-Creta-Mente, Salerno, Menabò, 2007

J. Wrobel, L’opera di Clara Garesio, in «Albatros Magazine», n. 173, gennaio 2017

G. Zampino (a cura di), 1 passione, 2 mani, 3 elementi... Clara Garesio!, Salerno, Menabò, 2009

Referenze iconografiche: 

Prima e seconda immagine: foto Archivio-dellArte-Luciano-e-Marco-Pedicini.

Voce pubblicata nel: 2017

Ultimo aggiornamento: 2023