Dunya Breur è stata una slavista, traduttrice, scrittrice e attivista olandese.

Il 19 novembre 1942, pochi mesi dopo la sua nascita, in seguito a una spiata, sua madre Aat, pittrice e disegnatrice, venne arrestata per la sua partecipazione ai gruppi di Resistenza e per aver dato rifugio a concittadini ebrei. Dunya, ancora nel periodo dello svezzamento, dovette seguirla prima nella Cellenbarakken, il carcere speciale della Sichereheitpolizei (Polizia di Sicurezza) e del SD-Sicherheitsdienst (Servizi di sicurezza) di Scheveningen-L’Aia, e poi nel carcere di guerra tedesco di Utrecht. Suo fratello Wim, che non aveva ancora compito due anni, venne invece portato dai nonni paterni ad Amsterdam-Noord. Anche suo padre Krijn, giornalista e partigiano, venne arrestato quello stesso giorno, però a L’Aia. Dopo aver trascorso cinque giorni inenarrabili di interrogatori e torture nella Cellenbarakken, contemporaneamente alla moglie, Krijn venne fucilato il 5 febbraio 1943 a Leusderheide insieme ad altri diciannove giornalisti del quotidiano «Het Parool».

Dunya rimase in carcere con sua madre fino al giugno 1943, quando Aat, venuta a conoscenza della sua imminente deportazione in Germania, riuscì a convincere il comandante della prigione della Wehrmacht dov’erano recluse, a spedire di nascosto una lettera ai suoi genitori in cui li pregava di venire a prendere la piccola Dunya al più presto. La lettera arrivò a destinazione:

E così mia nonna e mio nonno, che allora avevano 63 e 65 anni, vennero a prendermi al cancello della prigione. E mia madre fu deportata in Germania.

Era giugno del 1943, poco prima del mio primo compleanno.

Dunya non aveva potuto quindi conoscere suo padre e avrebbe rivisto sua madre soltanto brevemente al ritorno di lei dal campo di Ravensbrück, dopo la liberazione. Aat, infatti, avendo contratto una grave forma di tubercolosi trascorrerà diversi anni in un sanatorio di Davos, in Svizzera, e Dunya non si sarebbe ricongiunta a sua madre e a suo fratello fino alla fine della scuola elementare.

Dunya e suo fratello Wim crebbero in famiglie di adozione diverse. Wim fu favorito dalla sorte in quanto trascorse quegli anni affidato a una famiglia benestante. Crebbe in un certo agio, imparando a conoscere l’importanza del successo e del denaro, cose che influenzarono i suoi studi, la sua carriera e la sua vita. Dunya, invece, passò quel periodo cambiando spesso famiglie, che facevano spesso parte delle classi meno ricche. Era una brava scolara, curiosa e disciplinata e, forse, furono lo studio e la scuola le attività che l’aiutarono a evadere da una realtà quotidiana troppo pesante.

Riprendere di nuovo a convivere con sua madre al suo ritorno, non fu facile per Dunya; abitare con una madre traumatizzata dagli anni trascorsi nel campo di concentramento, affetta da depressione, chiusa in un ostinato silenzio, in particolare per tutto ciò che riguardava gli anni cupi della prigionia: “Una madre che emanava angoscia” diceva di lei Dunya.

“Quella sera le candele erano già accese, quando d’un tratto i miei capelli finirono sopra una candela e presero fuoco. Mia nonna balzò su e spense le fiamme con un cuscino. Mia madre, invece, era di colpo completamente cambiata, una morta vivente, non diceva più niente. Nei suoi occhi aveva lo stesso terrificante sguardo pieno di ansia che le avevo già visto prima. E che non capivo.

Non credo che mio fratello, mia nonna e mio nonno se ne siano accorti.

E all’improvviso avevo capito: era l’odore.

Una volta lo aveva raccontato di quell’odore che incombeva sopra il campo di concentramento. Un sentore nauseante e dolciastro. L’odore di carne umana e di capelli che bruciano.”

Dunya frequentò e concluse con successo il liceo Montessori di Amsterdam, studiando anche greco e latino. Nel 1955, un gruppo di adolescenti dell’associazione Verenigd Verzet (Resistenza Unita) di cui Dunya faceva parte, venne invitato per un campo estivo nella ex-RDT (Germania Est) e fu durante quel viaggio che ebbe l’occasione di visitare il lager di Buchenwald: aveva appena 13 anni.

Dunya avendo scoperto di avere un particolare talento per le lingue, nel 1960 si iscrisse al corso di lingue slave dell’Università di Amsterdam. Divenne successivamente membro di Politeia, un’associazione studentesca social-democratica. Aveva evitato di iscriversi a quella di orientamento comunista poiché nelle sue attività seguiva pedissequamente la linea del partito.

Durante gli anni dell’università, in particolare tra il 1962 e 1965, viaggiò nei paesi dell’Europa dell’Est: prima la Polonia, recandosi anche ad Auschwitz, per poi proseguire in Cecoslovacchia, che le era sembrata molto più accogliente della Polonia, e dove si poteva parlare russo senza essere malvisti. Dopo aver visitato Praga, lei e la sua amica Lisette Lewin, futura scrittrice, continuarono il loro viaggio in autostop, passando per l’Ungheria fino ad arrivare in Jugoslavia, per partecipare a un campo di lavoro estivo. Finalmente nel 1965 ebbe l’opportunità di andare in URSS, dopo aver ottenuto una borsa di studio per un corso estivo presso l’Università di Mosca. Quella fu per lei anche la prima vera occasione per sperimentare il comunismo da vicino.

Finita l’università e avendo acquisito durante tutti i campi estivi e i corsi in Europa orientale un buon livello nelle lingue slave, il russo in particolare, iniziò a lavorare come traduttrice e pubblicista.

Nel 1968 il sindaco di Mosca fece una visita ufficiale ad Amsterdam e Dunya venne chiamata per esporre in russo alla delegazione moscovita storia e bellezze della città durante un giro in battello attraverso i canali. Purtroppo, quel giorno sarebbe stato memorabile in tutti sensi: infatti, quella stessa notte, i carrarmati russi entravano in Cecoslovacchia soffocando definitivamente la Primavera di Praga. L’indignazione a livello internazionale fu enorme, così come quella di Dunya. In seguito, questo avvenimento la spinse a entrare clandestinamente in Cecoslovacchia per realizzare delle interviste, che furono poi pubblicate da una famosa testata olandese «Algemeen Handelsblad» (oggi «NRC Handelsblad», tuttora tra le più prestigiose).

Dunya tradusse libri e racconti dal russo e dal polacco e reportage dal polacco e dal serbo-croato per la NOS (Nederlandse Omroep Stichting), l’emittente televisiva pubblica. Ha tradotto dal russo, tra gli altri, Le memorie di un pazzo di Nikolaj Vasil'evič Gogol' e Primo amore di Ivan Turgenev.

Le vicende dei suoi genitori durante la guerra giocarono un ruolo rilevante nella vita di Dunya, soprattutto perché in casa c’era sempre stato un totale tabù sull’argomento. Sua madre Aat le aveva inconsapevolmente trasmesso, o semplicemente amplificato, l’angoscia e la depressione. A causa delle tensioni con sua madre e dell’ansia che da tempo la tormentava, in preda alla disperazione, nel 1972 Dunya venne ricoverata nell’ospedale psichiatrico di Santpoort per diversi mesi. Durante il suo internamento aveva potuto constatare con i propri occhi il modo disumano in cui venivano trattati i pazienti. Poco dopo il suo ricovero, nel marzo del 1973, diede vita alla Cliëntenbond in de Geestelijke Gezondheidszorg (Associazione dei pazienti-clienti ed ex-malati psichiatrici) insieme ad altre e altri ex-pazienti. Per diversi anni fu membro del consiglio di amministrazione dell’associazione cui dedicò gran parte del suo tempo. Insieme a Marijke Groot-Kingma, tra le altre, fu una delle fondatrici e membro del comitato di redazione del Bulletin dell’Associazione dal 1973 al 1981. Dunya fece la storia del movimento dei malati mentali nei Paesi Bassi, rappresentò l’Associazione dei pazienti-clienti, scrisse articoli e si occupò dei contatti internazionali, anche in occasione di conferenze all’estero. Come membro della delegazione olandese partecipò inoltre al congresso organizzato da Psichiatria Democratica nel settembre 1977 tenutosi sul campo adiacente all’ospedale psichiatrico di Trieste, il cui direttore era Franco Basaglia (1924-1980), il medico riformatore della disciplina psichiatrica in Italia ed ispiratore della Legge 180.

Nell’ultimo numero del Bulletin pubblicato nel gennaio 1981, Dunya Breur aveva sollevato il velo di silenzio lasciando intravedere piccoli indizi. Nel suo articolo intitolato ‘La psichiatria ha avuto indiscutibilmente analogie con i campi di concentramento’, scrisse: “Di notte, una donna del nostro reparto ha avuto un incubo e aveva visto in un’altra donna nella stessa stanza l’immagine di sua suocera, e aveva iniziato a urlare e ad arrabbiarsi. La soluzione che il personale addetto ebbe al riguardo, fu che due infermiere tirarono fuori dal suo letto con fermezza la donna sconvolta e piangente – in cucina, pensi speranzosa – per prepararle una tazza di cioccolata calda, lasciarla piangere e sfogare... ma la donna disperata, angosciata e piangente fu afferrata, trascinata attraverso il corridoio, e alla vista della bianca e nuda porta della cella d’isolamento iniziò a urlare in preda al panico: ‘Lasciatemi in pace!’ […]

 

Gli anni 1980 e 1981 segnarono un periodo di svolta nella vita di Dunya. Spesso aveva chiesto a sua madre cosa contenesse una certa cartellina nell’armadio, senza tuttavia ottenere mai una chiara risposta. Fu solo nel 1980 nel giardino di casa di sua madre a Hilversum, che riaffiorò il contenuto: i disegni realizzati da Aat a Ravensbrück. Dunya ne rimase profondamente colpita e decise di visitare il campo di Ravensbrück – cosa non facile in quegli anni essendo il campo situato nella ex-RDT, oltre la famosa cortina di ferro – e di svolgere ricerche d’archivio.

I disegni suscitarono molto scalpore; una curatrice del Rijksmuseum di Amsterdam (Rijksprentenkabinet) si prese cura dei disegni, restaurando la carta danneggiata e organizzò alcune mostre dei disegni di Aat a Ravensbrück in varie città. La prima e più completa esposizione fu inaugurata proprio nel Rijksmuseum il 29 aprile 1982.

Dopo la mostra al Rijksmuseum, Dunya fu intervistata dal settimanale «De Groene Amsterdammer» (L’amsterdamiano verde) che dedicava il numero di maggio 1982 ai figli della guerra, la generazione di Dunya. In quell’articolo venne riservato ampio spazio alla storia di Dunya e vennero anche pubblicati per la prima volta alcuni disegni di Aat.

Con grande determinazione e disciplina da studiosa, Dunya decise allora di rintracciare in Francia, Belgio, Svezia e Paesi Bassi le donne ancora viventi ritratte da sua madre. Lasciò raccontare a ciascuna di loro la propria storia, annotando e registrando le varie testimonianze. Il materiale raccolto avrebbe dato vita al libro Een verborgen herinnering – Tekeningen van Aat Breur uit Ravensbrück (Un ricordo nascosto – Disegni di Aat Breur a Ravensbrück) pubblicato nell’aprile 1983, che sarebbe diventato un documento storico sul campo di concentramento femminile di Ravensbrück, riportando nei racconti raccolti molti dettagli sulle spaventose condizioni di vita nel campo.

Nel 1989, Aat e Dunya Breur ricevettero la medaglia d’onore dalla Stichting Kunstenaarsverzet 1942-1945 (Fondazione artisti nella Resistenza 1942-1945), in particolare per il libro Een verborgen herinnering.

La ricomparsa dei disegni e la pubblicazione del libro rappresentarono una specie di rinascita per Dunya e, in parte, anche per sua madre Aat: finalmente entrambe avevano iniziato a elaborare il trauma psicologico derivato dalla guerra, sebbene in ognuna di loro il trauma fosse stato determinato da avvenimenti e circostanze differenti.

Nel 1983-1984 Dunya realizzò per il NIOD (Istituto Olandese per la Documentazione di Guerra) una serie di interviste in veste di programmatrice e traduttrice affiancando lo scrittore e storico olandese Jules Schelvis (1921-2016), superstite dell’Olocausto. Le interviste riguardavano la famosa rivolta dei detenuti a Sobibór il 14 ottobre 1943. Dei circa 600 prigionieri ribelli, trecento riuscirono a evadere, ma circa settanta vennero uccisi nella fuga e altri 170 furono catturati nei giorni seguenti e immediatamente fucilati. I due ideatori della rivolta furono Leon Feldhendler, ex capo del Consiglio ebraico della città polacca di Zolkiew, e l’ufficiale ucraino, Aleksandr Aronovic Pecerskij, catturato dai nazisti nel 1941.

Sopravvissuto alla guerra, Pecerskij venne intervistato da Dunya e da Jules Schelvis a Rostov, allora nella ex-URSS, l’attuale Federazione Russa. Le videocassette delle varie interviste vennero dimenticate e riemersero solo anni dopo. Nel 2021 la NPO, l’emittente pubblica olandese, finalmente le riversò e le montò in forma di documentario: De Sobibór Tapes - de vergeten interviews van Jules Schelvis (Le videocassette di Sobibór – le interviste dimenticate di Jules Schelvis). Nel documentario si possono vedere gli incontri con tredici dei sopravvissuti di Sobibór che presero parte alla rivolta, incluso Aleksandr Pecerskij intervistato in russo da Dunya Breur.

In seguito a quella visita, Dunya scrisse anche degli articoli relativi a Sobibór sul settimanale «De Groene Amsterdammer» e sui quotidiani «Het Vrije Volk» (Il popolo libero) e «NRC Handelsblad».

Nel 2010, Dunya Breur ha ricevuto postuma la medaglia Rachel Borzykowski dalla Fondazione Sobibór, medaglia consegnata ai due figli Sander e Gerben.

Fu proprio in quegli anni che potremmo definire di “rinascita”, dopo l’uscita del libro dedicato a sua madre Aat, che Dunya, ormai quarantaduenne, rimase incinta del primo figlio. Sia lei sia il suo compagno Evert Maarschall, futuro padre del bambino, non avevano mai affrontato l’argomento né tantomeno avevano fatto alcun piano. Il ginecologo si espresse negativamente, in particolare riguardo ai rischi del parto e ai possibili problemi per la salute del primo figlio concepito in così tarda età (si parla dell’inizio degli anni Ottanta del secolo scorso), e l’aveva consigliata di abortire. Ma Dunya, determinata come suo solito, aveva deciso di rischiare ed Evert l’aveva sostenuta condividendo la decisione e rimanendole sempre vicino. Nel dicembre 1984 nacque Sander, un bel bambino sano, biondo, vivace e curioso. Dopo la nascita del primogenito, Dunya non pensò affatto di rallentare il lavoro durante il periodo di svezzamento, e continuò nella sua frenetica attività di ricerca, di traduttrice e di giornalista. Fu come se, dopo gli anni bui, la sua ritrovata contentezza l’avesse fatta improvvisamente ringiovanire, dandole energie a volontà tali da occuparsi sia del figlio sia del suo lavoro che, spesso, la conduceva lontano da casa.

Un paio di anni dopo Dunya rimase di nuovo incinta, questa volta però non era stato un caso.  Il ginecologo tentò di nuovo di dissuaderla, più debolmente prevedendo già la reazione di Dunya e, stavolta, anche di Evert. All’età di 45 anni, nel 1987, diede alla luce Gerben, il secondo figlio per Dunya, altrettanto sano, bello, biondo e vivace.

Dunya ed Evert si erano conosciuti molti anni prima, all’inizio degli anni Sessanta, durante un campo estivo organizzato dall’Università di Amsterdam che entrambi frequentavano: Dunya seguiva il corso di lingue slave ed Evert il corso di matematica e fisica. Durante quel campo estivo, che aveva avuto luogo nel villaggio di Velika Plana nella ex-Jugoslavia, Evert era rimasto molto colpito e attratto dall’espansività e dalla comunicatività di Dunya, e impressionato dal suo talento per le lingue. Terminato il campo estivo, insieme a Dunya e a un piccolo gruppo di amici, avevano fatto un giro attraverso la ex-Jugoslavia. Al rientro nei Paesi Bassi le loro strade si erano divise ed Evert si sarebbe poi sposato nel 1966. Il suo matrimonio si era concluso nel 1976  con la separazione e poi col divorzio.

Evert aveva rincontrato Dunya nel 1977, dopo oltre dieci anni, camminando per la Utrechtsestraat, una via adiacente ad Amstelveld dove lei abitava in un vecchio barcone, il Dogger  (recentemente  ripreso in un servizio televisivo essendo la più vecchia barca di Amsterdam, costruita nel 1865).

Dunya ed Evert non si sposarono mai, mantennero negli anni una relazione affettiva più o meno stretta, ma vivendo sempre separati. I bambini presero il cognome di Dunya che rimase ad abitare ad Amsterdam in un piccolo appartamento in Amstelkade. Evert invece abitava ad Alkmaar, cittadina della Frisia occidentale.

La nascita del secondo figlio non fermò certo Dunya che, organizzandosi minuziosamente, riuscì a crescere i bambini e a portare avanti il suo lavoro di ricercatrice, traduttrice e giornalista, senza rinunciare a partecipare a simposi e conferenze. Il piccolo appartamento dove abitavano era pieno di faldoni, libri, documenti, riviste e quant’altro. I ragazzini a volte camminavano tra tutta quella carta impilata come se camminassero in un canyon.

Appena i bambini furono in grado di accompagnarla nelle sue attività, Dunya li portò spesso con sé: prima Sander, il più grande, e poi anche Gerben. I due ragazzini accanto alla madre presero parte a riunioni, simposi, visite e manifestazioni. Sander accompagnò Dunya perfino durante una visita ufficiale a Ravensbrück. La loro casa era sempre piena di attivisti, intellettuali, artisti e giornalisti. Dunya era un anfitrione: sempre pronta ad accogliere amici e amici degli amici, e ad aggiungere un posto a tavola. E i figli crebbero in un ambiente di apertura, di condivisione e di ideali.

Sorridendo, Sander e Gerben ricordano ancora quando andavano a trascorrere il fine settimana dal padre ad Alkmaar, anche quando Dunya ed Evert avevano deciso di finire la loro relazione. Evert li andava a prendere ad Amsterdam con l’auto che Dunya riempiva con una marea di cose tra giocattoli, vestiti di ricambio, cibarie, faldoni, foto e a volte perfino la macchina da scrivere, insomma sembrava un vero trasloco, ma era solo per trascorrere il fine settimana tutti e quattro insieme.

Durante le estati tra il 1993 e il 1997 andarono tutti e quattro in vacanza insieme, nei campeggi organizzati dalla KNNV  nelle Alpi o nei Pirenei. Per Dunya erano quelli momenti pregevoli e senza preoccupazioni, poiché Evert si occupava di fare la spesa e di cucinare, e per i bambini quelle vacanze costituivano l’apice della loro vita essendo piene di avventure in mezzo alla natura insieme ai loro coetanei.

Dunya non smise di approfondire il passato dei suoi genitori, e in quella fase della sua vita intendeva ampliare la ricerca delle vicende relative a suo padre Krijn, partito volontario nella guerra civile spagnola e fucilato dai tedeschi nel marzo 1943 come combattente della Resistenza. Durante lo svuotamento della cantina dei nonni paterni, nel bel mezzo delle sue ricerche, Dunya aveva ritrovato tra le carte conservate i loro atti di nascita “…l’unica cosa che ci apparteneva e che nostro padre si portava dietro da una prigione all’altra” avrebbe detto.

Determinata a scoprire maggiori notizie circa il passato di suo padre, Dunya si era messa alla ricerca dei volontari olandesi partiti per la guerra civile spagnola. Era stato allora che aveva conosciuto e parlato con Piet Laros, il comandante della brigata Sette Provincie, la brigata dei  volontari olandesi.

Nel 2000, il materiale di ricerca condusse alla scrittura e alla pubblicazione del libro Een gesprek met mijn vader. Een twintigste-eeuws verhaal voor drie stemmen (Una conversazione con mio padre. Una storia del ventesimo secolo per tre voci).

Dunya può essere annoverata tra i cosiddetti “figli di guerra”, quei bambini i cui genitori erano ebrei, combattenti della Resistenza, Rom, Testimoni di Geova, ma anche figli di membri del NSB (Movimento Nazionalsocialista Olandese) e delle SS. Questi bambini avrebbero portato sulle loro spalle, per tutta la vita, il pesante fardello contenente il doloroso passato dei loro genitori. Dunya, dopo aver ricomposto il rapporto con sua madre con la riscoperta dei disegni e la pubblicazione del libro, aveva continuato nell’elaborazione del suo trauma di guerra, solo in parte risolto, scrivendo un libro in cui stavolta era suo padre l’interprete principale, anche se solo ipotetico. Il libro di Dunya fu accolto con grande commozione e Hans Olink, scrittore e documentarista, lo recensì definendolo “un esempio brillante di archeologia emotiva”.

Dunya Breur tenne regolarmente conferenze sulle testimonianze della Seconda guerra mondiale, sia nei Paesi Bassi sia all’estero. Nel 2004 tenne una Szenische Lesung zur Flamenco-Gitarre (Conferenza scenica per chitarra flamenca) al Workshop Internazionale Freundschaft in der Hölle (Amicizia all’inferno) a Ravensbrück. Nel 2009 fu invitata come relatrice al Séminaire Européen 2009 per il Centre International d’Initiation aux Droits de l’Homme di Sélestat.

Dunya Breur si è spenta il 19 giugno 2009, a seguito di un cancro al seno. È sepolta nel cimitero di Zorgvlied ad Amstelveen.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Dunya Breur

Dunya Breur, Een verborgen herinnering. Tekeningen van Aat Breur uit Ravensbrück (Un ricordo nascosto. Disegni di Aat Breur a Ravensbrück). Tiebosch, Amsterdam 1983,  Seconda edizione ampliata, SUN Nijmegen, 1995

Dunya Breur, Riaffiorano le nostre vite. Aat Breur-Hibma a Ravensbrück, racconti e disegni, Enciclopediadelledonne.it, Milano 2023. Traduzione dall’olandese di Franco Tirletti

Dunya Breur, Een gesprek met mijn vader. Een twintigste-eeuws verhaal voor drie stemmen (Una conversazione con mio padre. Una storia del ventesimo secolo per tre voci). SUN Nijmegen, 2000

Incontro con Sander e Gerben Breur, figli di Dunya e nipoti di Aat. Franco Tirletti, giugno 2022

Incontro con Evert Maarschall su Dunya e Aat Breur. Franco Tirletti, dicembre 2022

Dunya Breur (Wikipedia NL)

 Lisette Lewin (Wikipedia NL

Sobibór Interviews - Jules Schelvis

 Jules Schelvis (Wikipedia IT)

Campo di sterminio di Sobibór (Wikipedia IT)

Sobibór Interviews - De geinterviewden (gli intervistati)

Cliëntenbond in de Geestelijke Gezondheidszorg

Docplayer.nl - Dunya Breur. De eerste ex-patiënt in de cliëntenbond jaren 70

Canon Sociaal Werk - 1971 Cliëntenbond en Dunya Breur

KNNV.nl - Koninklijke Nederlandse Natuurhistorische Vereniging

Referenze iconografiche: Dunya Breur, 1977. Foto di Havang(NL). Creative Commons CC0 1.0 Universal Public Domain Dedication.

Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2023