Con i capelli neri e gli occhi azzurri, Elizabeth Gurley Flynn, sindacalista e attivista dei diritti civili e dell’emancipazione della donna, era una straordinaria oratrice, amata dal pubblico, capace di tenere anche dieci comizi in un giorno. Nata il 7 agosto del 1890 da una famiglia irlandese repubblicana e nazionalista, fu battezzata con il nome della sua dottoressa, una pioniera della medicina, dal padre Thomas Flynn, operaio, ingegnere civile e cartografo, socialista, cattolico, e dalla madre Annie Gurley, sarta, femminista, presbiteriana; visse dal 1895 nella povera città industriale di Manchester e dopo molti trasferimenti si stabilì nel 1900 nel quartiere operaio di Bronx a New York, dove crebbe con due fratelli e due sorelle. Si distinse nelle scuole pubbliche e, avviata a frequentare la domenica i circoli socialisti dai genitori, tenne il primo brillante discorso all’Harlem Socialist Club a sedici anni nel 1906 sul tema Cosa farà il socialismo per le donne? Dopo aver letto The Jungle di Upton Sinclair sulle terribili condizioni dei macelli, divenne immediatamente vegetariana. Nello stesso anno aderì all’Industrial Workers of the World (IWW), sindacato americano radicale, e, lasciato il liceo, si dedicò completamente all’attività di organizzatrice viaggiando per tutti gli Stati Uniti. Il sindacato organizzava gli operai non qualificati e immigrati con l’uso di interpreti e di volantini scritti in varie lingue e con le battaglie per il free speech, la libertà di parola, sostenendo la proprietà operaia dell’industria, il boicottaggio, il picchettaggio, subendo repressioni brutali. Nel 1908 sposò il minatore dell’IWW Jack Jones, da cui ebbe nel 1909 il figlio John Vincent morto poche ore dopo la nascita e nel 1910 il secondo figlio Fred Flynn, che morì nel 1940. Separata subito dal marito, che nel 1920 ottenne il divorzio per abbandono del tetto coniugale, ebbe una tempestosa relazione per tredici anni con l’anarchico italiano Carlo Tresca fino al 1925. Prese parte alle campagne di libertà di espressione di Missoula (Montana) e Spokane (Washington) e altre città e fu arrestata molte volte. Organizzò gli scioperi tessili nel 1912 di Lawrence (Massachussetts) e nel 1913 di Paterson (New Jersey) con riunioni settimanali per sole donne e l’evacuazione dei figli degli scioperanti, raccolse fondi e sostegni legali per gli scioperi dei minatori del ferro di Mesabi (Minnesota) nel 1916. Lo scrittore Theodore Dreiser, direttore editoriale del «Broadway Magazine», la chiamò La Giovanna d’Arco dell’est. Il celebre produttore David Belasco le offrì di fare l’attrice ma ottenne un rifiuto, il cantautore popolare Joe Hill, dalla prigione dove era detenuto condannato a morte per omicidio, le dedicò la canzone La ragazza ribelle. Si distinse in lunghe battaglie pacifiste e per il suffragio femminile. Dal 1918 al 1922 lavorò come segretaria del Workers Liberty Defense Union, per la difesa e il rilascio dei prigionieri politici reclusi durante la guerra, nel 1920 fu fra i fondatori dell’American Civil Liberties Union (ACLU), per difendere il diritto di parola, di tutela legale per tutti, di giusto processo e di privacy. Si impegnò per il suffragio femminile, per il controllo delle nascite, protestò per la scarsa rappresentanza femminile nella dirigenza sindacale. Lottò per la tutela legale dei sindacalisti e dei militanti perseguitati per le idee politiche, diventando una decisiva raccoglitrice di fondi per la campagna per la liberazione dei due anarchici italiani Nicola Sacco e Bartolomeo Vanzetti, accusati ingiustamente di omicidio e condannati a morte dopo una lunga battaglia legale fra le proteste internazionali, e dei sindacalisti Thomas J. Mooney e Warren K. Billings.

Dal 1927 al 1930 fu presidente del’International Labor Defense. Fu costretta a lasciare l’attività per dieci anni per motivi di salute e visse a Portland (Oregon) con l’amica dottoressa Maria Equi dell’IWW. Ricominciò negli anni Trenta l’attività politica e nel 1937 aderì all’American Communist Party, venendo espulsa tre anni dopo per incompatibilità dall’ACLU. Fu un’organizzatrice infaticabile e un’oratrice di successo.

Durante la seconda guerra mondiale si batté per migliori opportunità economiche per le donne, scrivendo una rubrica quindicinale per il quotidiano «Daily Worker» e il libro Women have a date with destiny, esortando le donne a entrare nel mondo del lavoro durante la guerra e allestendo centri di assistenza per le madri lavoratrici, in particolare le afroamericane. Si oppose alla guerra e dovette difendersi dall’accusa di spionaggio. Nel 1942 si candidò promuovendo i diritti delle donne al Congresso per New York ottenendo cinquantamila voti e sostenne l’elezione di Franklyn D.Roosevelt nel 1944. Subì la repressione del senatore Joseph Mc Carthy, nel 1951 fu arrestata con altri dodici membri del Communist Party, nel 1953 fu condannata per aver violato lo Smith Act Alien Registration del 1940, la legge sull’immigrazione, fu incarcerata nel riformatorio federale femminile di Alderson (West Virginia) dal gennaio 1955 al maggio 1957. Nel 1955 pubblicò la sua autobiografia I speak my own piece. Autobiography of the rebel girl. My first life. Nel 1961 fu eletta presidente del comitato nazionale del Communist Party, prima donna a ricoprire l’incarico che tenne fino alla morte; ottenuto il passaporto, cominciò a viaggiare, lavorando alla revisione della sua autobiografia. Morì dopo un ricovero per problemi di stomaco a Mosca, il 5 settembre 1964. Ebbe un funerale di stato nella piazza Rossa e le sue ceneri vennero sepolte secondo il suo volere nel cimitero di Waldheim, Chicago (Illinois), accanto alle tombe di militanti dell’IWW come Eugene Dennis, William Haywood e gli Haymarkets Martyrs, impiccati negli anni Ottanta durante le lotte per la giornata delle otto ore. Nel 1976 la ACLU la reintegrò postuma. Il titolo dell’autobiografia venne cambiato per desiderio dell’autrice in The rebel girl con la canzone e la dedica di Joe Hill; fra le sue carte fu trovato dopo la morte l’abbozzo del libro in due parti.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Elizabeth Gurley Flynn

Elizabeth Gurley Flynn, La ribelle, La salamandra, Milano, 1976, due volumi, p. 332; ed. originale The rebel girl. An autobiography. My first life (1906-1926), International Publishers, New York, 1973

Elizabeth Gurley Flynn, Women have a date with destiny, Workers’ Library Publishers, New York, 1955

Rosalyn Fraad Baxandal, Words on fire: the life and writing of Elizabeth Gurley Flynn, New Brunswick Rutgers University Press, 1987

Helen C. Camp, Iron in her soul, Pullman, Washington, WSU Press, 1995

Referenze iconografiche: Elizabeth Gurley Flynn. Foto di UW Digital Collections. Fonte: Flickr. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023