Scrittrice e poetessa, Emily Holmes Coleman è oggi al centro di studi volti alla valorizzazione della sua imponente opera poetica e all’analisi della sua influenza sugli autori modernisti. La sola sua opera pubblicata in volume è il romanzo The Shutter of Snow, edito in Italia da Robin Edizioni nel 2008 col titolo Il manto di neve.

Il manto di neve racconta la guarigione della protagonista, Marthe Gail, da una psicosi scatenatasi dopo il parto. Il percorso di cura si svolge attraverso i reparti di un ospedale psichiatrico americano degli anni Venti. Il libro è la lucida e accurata descrizione dei ricoverati e del personale medico attraverso lo sguardo di una paziente ancora in preda a episodi psicotici, che intanto annuncia alle persone più fidate la scrittura di un nuovo Vangelo e il ritorno di Gesù sulla Terra, stavolta nel corpo di una donna, il suo. Marthe si tormenta, e vede anche i suoi compagni soffrire, disperarsi, quasi sempre senza speranza. Affiora allora l’impotenza di Cristo/Marthe sulle disgrazie umane. Il romanzo è autobiografico, e Marthe è Emily Holmes Coleman, una scrittrice di talento, che riversa immagini autentiche da una mente capace di una logica diversa dalla dominante; una scrittrice che scrive come pensa… e i suoi pensieri sono sfrenati.

Il romanzo ha frequenti riferimenti alla sua storia di figlia, sposa e madre. Sono i riferimenti più misteriosi, criptici, legati alla necessità di affrontare un problema enorme e al terrore di doverlo fare. La madre di Emily morì nel segreto di una malattia mentale quando ancora lei era piccola. Il padre, dirigente di una società di assicurazioni, riversò sulla bambina e poi sulla donna un amore protettivo, quasi carnale. Il marito, Loyd Ring Coleman, psicologo, fu il suo primo rifugio, ed ebbe sicuramente grandi meriti; il più grande quello di aver consentito a Emily di riprendere responsabilità della propria vita dopo il parto e la psicosi del 1924, fino ad approdare a un divorzio amichevole. La sua storia familiare deve essere stata assai complessa e contraddittoria. Difficile conciliare, infatti, la sua rinuncia ad essere madre “effettiva” dell’unico figlio John con la sua indubbia capacità di relazionarsi con chiunque, ed essere importante per quel chiunque. È la scrittura a trascinarla, ad allontanarla da una vita di sposa e madre. Scrive al marito nel 1929: «… Non c’è niente da fare, questi ultimi mesi hanno messo una pietra sulla mia capacità di essere madre – Tanto vale lasciar perdere i sogni sentimentali e rosei e affrontare il fatto che più la mia scrittura va nel profondo, più si allontana ciò che ho lasciato alle spalle.»

La prima pubblicazione di The Shutter of Snow data al 1930, quando in Italia era già al potere il fascismo e in Germania era imminente l’avvento del nazismo. Un periodo di furori nazionalistici che ostacolavano la diffusione della letteratura straniera. Altri autori contemporanei alla Coleman (Hemingway, Fitzgerald, Pound, Eliot, …) furono tradotti e diffusi, anche in grazia della loro produzione continua. Coleman non pubblicò altri romanzi dopo The Shutter of Snow, e perse visibilità prima del rifiorire degli scambi nel dopoguerra.

Altra è la ragione del diverso successo sui due lati dell’Atlantico. Il sostanziale fiasco iniziale in madrepatria sembra dovuto al bigottismo, alla paura del nuovo, alla ottusità della critica. «Non ci si può ragionevolmente aspettare che una donna che raccoglie fili e se li mangia faccia nascere un serio interesse nel gentile lettore» scriveva un anonimo recensore citato da Carmen Callil e Mary Siepmann. Secondo Amy Lee [1], l’identità della Coleman come espatriata americana vivente a Parigi e le sue frequentazioni degli artisti di Hayford Hall consolidavano il pregiudizio che aveva colpito i potenziali lettori circa l’argomento del libro. Una donna che pubblicava a stampa le sue esperienze dirette nella malattia mentale non seguiva certamente le regole del decoro vigenti nella società americana degli anni Venti. Gli inglesi furono molto più aperti ed entusiasti, nonostante la non convenzionalità dell’argomento e dello stile del libro.

Ad ogni modo, molto era poi cambiato rapidamente nella società occidentale, il rapporto culturale e l’approccio medico alla malattia mentale era diverso, e il romanzo fu ristampato a Londra con successo nel 1981 nei Virago Modern Classics. Il riscatto del pubblico americano avvenne abbastanza presto, con l’edizione Penguin del 1986 e, soprattutto, con la definitiva Dalkey Archive del 1997, che garantiva la indefinita disponibilità commerciale del libro.[2]

Ecco il ritratto che Mary Siepmann fa di Emily nell’introduzione all’edizione Virago Modern Classics di The Shutter of Snow: «Fisicamente Emily era descritta come una presenza mozzafiato, non bellissima ma indimenticabile: occhi azzurri molto distanti, capelli biondi, carnagione dorata, una figura deliziosa. Aveva il doppio di buonumore e vitalità di qualsiasi suo compatriota, era intelligentissima e molto divertente: una compagna meravigliosa. Era una donna che approdava al piacere e all’instabilità provenendo da un retroterra di apparenza strettamente convenzionale. Non ci fu mai per Emily la necessità di bere, di assumere droghe: conversazione e idee erano sufficienti. Per tutta la sua vita fu una lettrice onnivora, assorbendo e qualche volta rigettando idee e filosofie del suo tempo e dei tempi passati. Ogni cosa che facesse - leggere, scrivere, parlare, amare, litigare e far la pace - era fatta con una energia che potrebbe essere definita esagerata e certamente non ortodossa.»

«(…) andò a Lourdes per un giorno o due, e ci restò quattro mesi prima di andare a trovare suo figlio, la nuora e i bambini a Madrid dove, non soddisfatta dei preti di Franco, scovò in una catapecchia un gesuita di sinistra che era più di suo gusto (…)»

«Nel 1957 andò all'Abbazia di Stanbrook per una settimana di ritiro spirituale, (…) ancora equipaggiata di una macchina per scrivere e un paio di borse. La settimana sarebbe durata undici anni prima che la badessa si decidesse a sfrattarla.»

Tra gli aspetti più straordinari della personalità di Emily Holmes Coleman c’è l’attitudine al consiglio, alla collaborazione, all’amicizia operosa, quasi agisse con la muta consapevolezza di avere una personalissima missione, su questa terra. Addirittura collaborò a St. Tropez con l’anarchica Emma Goldman, inetta allo scrivere, passando un anno alla redazione delle sue memorie, Living my Life, pubblicate nel 1931. Fu un cardine per la vita di molti altri scrittori (Djuna Barnes, Dylan Thomas, Antonia White), restando invisibile al grande pubblico, al quale giunse soltanto quel suo primo romanzo, dalla prosa definita startling (impressionante, sorprendente) come il contenuto. Un altro, The Tygon, attende di essere scoperto nel cospicuo fondo Coleman presso le Special Collections dell’Università del Delaware, a Newark, dove è archiviata tutta la sua complessa opera, finalmente oggetto di studio e traduzione. Un solo racconto, Interlude, apparve in volume nella raccolta di scrittrici moderniste That Kind of Woman, stampata da Virago Press nel 1991. In Italia Quel tipo di donna uscì presso la Tartaruga nel 1995 nella traduzione di Francesca Avanzini. Il racconto narra il difficile parto di Emily, premessa del Manto di neve, restando solo un esempio di prosa startling, peraltro smorzata nella versione italiana.

Alcune poesie sono apparse nel numero di gennaio-febbraio 2007 della rivista «L’immaginazione» di Manni Editore, e assieme al romanzo consentono di accedere in parte al quadro d’insieme sulla vita, il pensiero e l’arte di Coleman.

Palestra letteraria della giovane Emily fu l’ambiente parigino degli espatriati americani, negli anni a cavallo del 1930, che aveva un punto di riferimento nella rivista in lingua inglese «transition», fondata nel 1927 da Eugene Jolas e da Elliot Paul. Ecco alcune parole di Jolas, a proposito della sua rivista: «transition è un terreno di prova per la nuova letteratura», una letteratura che avrebbe richiesto «nuove parole, nuove astrazioni, nuovi geroglifici, nuovi simboli, nuovi miti. È la ricerca artistica del magico in questo strano mondo attorno a noi che transition intende incoraggiare.»

Emily era giunta a Parigi nel 1925 seguendo il marito che lavorava nel campo della pubblicità, e aveva iniziato a scrivere per la colonna mondana del Chicago Tribune. Al crogiolo parigino Coleman alternava l’Italia e il circolo di artisti vari che si riuniva a Hayford Hall, la residenza dell’amica Peggy Guggenheim[3] e di John Holms nel Dartmoor, in Inghilterra. Ma i suoi discorsi, le sue battaglie, continuavano nei fitti rapporti epistolari con un gran numero di scrittori e pensatori dell’epoca. Si pensi soltanto alla fondamentale influenza di Emily Holmes Coleman nella evoluzione artistica di Djuna Barnes[4] e all’altrettanto fondamentale influenza di Jacques e Raissa Maritain sulla evoluzione spirituale di Emily. Oppure alle lettere d’amore ricevute da Dylan Thomas[5]. Testimonianze di Emily Holmes Coleman poetessa e scrittrice restano nelle riviste «transition», «New Review», «Seed» e «New Statesman»; dopo la sua morte, nella rivista «Wild Places» di Joseph Geraci.

Può essere interessante annotare come l’annuncio di un nuovo Vangelo, fatto dalla protagonista del Manto di neve, sia stato un segno della tendenza di Coleman al misticismo, che si manifesterà vent’anni dopo la stesura di quel romanzo nel distacco dal mondo – un mondo fino allora vissuto in tutte le emozioni e le esperienze disponibili – e nella fioritura poetica che comprende innumerevoli riscritture dei Vangeli, canonici e apocrifi. La poesia di Emily Holmes Coleman accompagna come uno specchio il suo vivere. Non si ha notizia di componimenti precedenti il suo ricovero in clinica psichiatrica, intorno ai 25 anni. Probabilmente l'uscita dalla pazzia costituisce la sua seconda nascita, e l'inizio del suo percorso consapevole, umano e letterario. Emily pensa, vive, soffre e scrive. Scrive d'amore, un amore ardente che sguscia dall'umano per rivolgersi a Dio, fino a sfociare nel misticismo.

Non si trovano biografie complete di Emily Holmes Coleman. Dati sulla sua vita sono ricavabili dalla citata introduzione a The Shutter of Snow, firmata da Carmen Callil e Mary Siepmann, e dal breve saggio di Amy Lee, fonte di notizie preziose per questa nota. Illuminante il necrologio scritto dall’amico Joseph Geraci sul Catholic Worker: «Emily aveva una personalità barbara per una donna tanto civile. Prendeva tutto a cuore con passione, talvolta maniacale. Singolare, razionale, semplicemente era la persona di maggior influenza sulla vita di chi la conosceva.»[6]

Geraci scrisse una volta: «Non pubblicò mai un volume di versi, ma certamente considerava se stessa prima di tutto e soprattutto una poetessa.»

Emily Holmes Coleman trascorre gli ultimi anni di vita nella Catholic Worker Farm di Dorothy Day, nello Stato di New York, dove muore nel 1974.

NOTE

1. Amy Lee, Emily Holmes Coleman, in «The Review of Contemporary Fiction», Normal IL, Spring 2005.

2.«E poi Dalkey tiene in catalogo i libri finché esisterà la stampa. In altre parole, i libri che stampano sono di "costante valore".» Joseph Geraci al traduttore, gennaio 2006.

3. Si veda Peggy Guggenheim, Una vita per l’arte, traduzione di Giovanni Piccioni, Milano, Rizzoli 1999.

4.Si veda Djuna Barnes, Camminare nel buio – Lettere scelte a Emily Holmes Coleman, traduzione di Francesco Francis, Milano, Archinto 2004.

5.Dylan Thomas, Lettere d’amore, a cura di Massimo Bacigalupo, Parma, Guanda 2004.

6.In Minna Besser Geddes, Emily Holmes Coleman, Dictionary of Literary Biography, Volume 4, American Writers in Paris, 1920-1939, Gale Research, Detroit MI, 1980.

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(Le immagini sono tratte dal libro di Mary V. Dearborn Mistress of Modernism, Houghton Mifflin Co., Boston, New York, 2004)

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Emily Holmes Coleman

Miriam Fuchs, The Triadic Association of Emily Holmes Coleman, T. S. Eliot and Djuna Barnes, in «ANQ, A Quarterly Journal of Short Articles, Notes, and Reviews», Volume 12, Number 4, Washington DC, Fall 1999

Kylie Valentine, Mad and Modern: A Reading of Emily Holmes Coleman and Antonia White, in «Tulsa Studies in Women’s Literature», Volume 22, Number 1, Tulsa OK, Spring 2003

Elizabeth Podnieks, Sandra Chait (a cura di), Hayford Hall: Hangovers, Erotics, and Modernist Aestethics, Southern Illinois University Press, Carbondale IL, 2005

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Su Bibliomanie

Referenze iconografiche: Emily Holmes Coleman, circa 1935. Foto Special Collections, University of Delaware Library.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023