Le donne ebree sperimentarono in Italia una duplice penalizzazione: in quanto donne non veniva loro riconosciuta la possibilità di esercitare una forma di professionalità riservata all’uomo; in veste di custodi della tradizione ebraica, rivestendo in famiglia un ruolo centrale, si radicalizzava la loro esclusione dall’ambito pubblico 1. La guerra le emarginò ulteriormente in quanto appartenenti a una minoranza perseguitata.

Nel percorso artistico di Gabriella Oreffice ricorrono le vicende di Ca' Pesaro dei primi anni Venti e l'atmosfera della Scuola di Burano. La pittrice, pur avendo occupato una posizione di rilievo fra gli artisti della “seconda generazione” attivi a Ca’ Pesaro,  rimase pressoché sconosciuta al pubblico più ampio.

Nasce in una famiglia ebrea colta e aperta della media borghesia; il padre era Fausto De Benedetti, originario della città di Venezia e stimato radiologo presso l’ospedale della Giudecca. La professione paterna comportò il trasferimento nella città lagunare dove Gabriella trascorse la maggior parte della sua vita. L’ambiente familiare svolse un ruolo determinante per la sua crescita ed emancipazione professionale, assecondando il suo carattere indipendente. Rispetto allo stereotipo femminile del tempo il suo approccio formativo fu fin dall'inizio aperto e coraggioso. Fu seguita da balie e istruita da insegnanti privati fino all’età di otto anni. A partire dal 1902 frequentò le scuole pubbliche, studiò inglese, francese, latino e tedesco presso il Circolo Filologico di Venezia e la Scuola libera di nudo all’Accademia di Venezia 2.

Il periodo adolescenziale fu segnato dallo studio della figura e dal disegno dal vero e dalla realizzazione di allestimenti scenografici per piccole rappresentazioni teatrali per l’infanzia. Le sue scenografie esprimevano uno spiccato interesse verso la pittura di Matisse e dei fauves, preannunciando la sua autonomia ed emancipazione artistica dalla tendenza simbolista-decadente dello scenario artistico lagunare. Viene descritta spesso come donna riservata, di poche parole ma allo stesso tempo determinata a portare avanti la propria arte, le proprie idee orientate alla libera espressione e fondanti una propria identità artistica indipendente.

Il suo percorso è la storia d’incontri artistici e di contaminazioni stilistiche e tecniche dalle quali emerge il suo stile personale e indipendente: dal realismo ottocentesco profuso dalla Scuola libera di Luigi Nono agli insegnamenti di Galileo Chini durante il suo soggiorno a Firenze, durato fino a novembre del 1918. L’ambiente fiorentino legato all’esperienza e agli studi sulla percezione visiva di Cézanne influenzerà in modo significativo la sua produzione di quegli anni. Gabriella apprende l’utilizzo della tempera e della spatola sperimentando nuove composizioni formali, focalizza la sua attenzione sugli oggetti orientali; in questa prima fase si riscontra “un uso libero, espressivo ed emozionale del colore” 3. L’utilizzo materico del colore e la sua vivacità riconducono ai tratti postimpressionisti dei fauves.

Rientrata a Venezia comincerà a elaborare una pittura innovativa che, forte dei presupposti fiorentini, andrà a liberare il suo stile unico. La sua ricerca la porterà a contaminazioni artistiche rilevanti con l’arte di pittori della nuova generazione veneziana, tra i quali Umberto Moggioli, Gino Rossi e Pio Semeghini. Svolgerà un ruolo attivo fra gli artisti ca’-pesarini della seconda generazione, parteciperà alle diverse iniziative rivolte a contrastare le tendenze protezionistiche e campanilistiche imperanti negli spazi espositivi istituzionali veneti 4. Una posizione che la portò ad aderire al Gruppo indipendente fondato da Gino Rossi.

Durante gli anni Venti si dedicherà intensamente al paesaggio lagunare, le sue uscite presso l’isola di Burano s’intensificheranno. L’isola di Burano per molti artisti veneti rappresentava la possibilità di emulare l’esperienza impressionista in Bretagna: l’immersione nel paesaggio incontaminato. La serenità e la sensazione di appagamento favoriti dall’immersione nella natura si traducono nella pittura dell’artista in paesaggi avvolti da una luce diretta, dai colori freddi intensi, caratterizzati da spazi ampi.

Impegnata attivamente nell’Associazione Donne Ebree d’Italia (ADEI), nel 1928 sarà una delle fondatrici della sezione veneziana dell’associazione, che a partire dal 1938 svolse il ruolo di centro di sostegno e aggregazione durante le persecuzioni razziali. Il 1930 fu un anno decisivo per la sua vita: il matrimonio con Edmondo Sacerdoti la investì del ruolo di moglie e madre, non conciliabili con le sedute e le sperimentazioni in laguna. Si dedicò ai ritratti e alle nature morte, eseguibili più facilmente tra le mura domestiche e maggiormente adattabili ai ritmi e alle esigenze della famiglia. La tipica peinture de femmes.

Le discriminazioni razziali la spinsero a ritirarsi dalla scena artistica e pubblica: dovette lasciare Venezia per evitare la deportazione. Nella fuga fu costretta a separarsi dai figli messi al sicuro e nascosti in provincia di Padova, mentre insieme al marito  si riparava nella provincia vicentina. Il crollo psicofisico del marito in seguito agli accadimenti legati alla guerra e alle persecuzioni, lasciò, a guerra conclusa, Gabriella sola di fronte a una serie di incombenze e problemi urgenti a cui trovare soluzioni per la sopravvivenza della famiglia. La sua tenacia, la sua forza di volontà e la sua ricchezza d’animo le consentirono di ricomporre lentamente e faticosamente quegli equilibri spazzati via dagli eventi bellici.

Negli anni Cinquanta riprese la pittura e iniziò a esporre nuovamente. Dopo la lunga pausa ricomparve una donna segnata nell’animo ma forte e determinata a portare avanti la sua ricerca con la stessa sensibilità che l’aveva contraddistinta in passato, ed una particolare attenzione verso la cultura ebraica e la questione di Israele.

Nel 1966, a Venezia, partecipò alla retrospettiva della “Scuola di Burano” insieme a Maggioli, Semeghini, Scopinich e Gino Rossi; nel 1975 presso la galleria S. Vidal di Venezia venne allestita la sua ultima personale.

Il 9 luglio del 1984 dopo una vita intensa, Gabriella Oreffice si spense a Padova.

Note


1 M.Bakos, V. Baradel, S.De Dominicis F. Luser Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento. Trart Mestre-Trieste, agosto 2013 Trieste
2 Chiara Zago, La pittura di Gabriella Oreffice 1893-1984. Quaderni Donazione Eugenio da Venezia, n12
3 Nel 1920 si unirà agli artisti dissidenti che si rifiutarono di esporre alla Fondazione Bevilacqua La masa, dopo l’esclusione di Felice Casorati essendo un artista non veneziano. Ibidem
4 M.Bakos, S.De Dominicis, F. Luser autori delle biografie in Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento. Trart Mestre-Trieste, agosto 2013 Trieste

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Gabriella Oreffice

M.T. Sega, ”Percorsi di emancipazione tra Otto e Novecento”, in Donne sulla scena pubblica. Società e politica in Veneto tra Sette e Ottocento, Franco Angeli, Milano 2009

Chiara Zago, La pittura di Gabriella Oreffice 1893-1984. Quaderni Donazione Eugenio da Venezia, n. 12

M. Bakos, V. Baradel, S. De Dominicis F. Luser Ebraicità al femminile. Otto artiste del Novecento. Trart Mestre-Trieste, agosto 2013 Trieste

Barbantini, "L’Esposizione d’arte di Padova", in “La Gazzetta di Venezia”, 22 maggio 1921

Marchiori, Mostra delle opere di Gabriella Oreffice, catalogo della mostra, Opera Bevilacqua La Masa, 28 marzo–10 aprile 1972.

Perrocco, Mostra di pittura di Gabriella Oreffice, catalogo della mostra, Galleria San Vidal, Venezia 1975

Catra, Gabriella Oreffice in N. Stringa (a cura di) La pittura nel Veneto. Il Novecento. Dizionario degli artisti, Electa, Milano 2009

Voce pubblicata nel: 2020

Ultimo aggiornamento: 2020