Pochi mesi prima di morire, Mozart confidò a sua moglie il sospetto d’essere stato avvelenato con l’acqua tofana. L’episodio è interessante perché testimonia come tale veleno fosse ancora in auge a distanza di quasi due secoli da quando aveva visto la luce, ad opera di una donna singolare, Giulia Tofana, meretrice e fattucchiera dei bassifondi palermitani. Orfana e poverissima, Giulia aveva dalla sua una bellezza prorompente e una fervida inventiva. Adusa a commerci carnali anche con esponenti del clero, fu grazie all’amicizia stretta con un frate speziale che riuscì a rifornirsi delle “polveri” necessarie per mettere a punto la sua miscela. Sebbene analfabeta e priva di ogni educazione, la giovane vantava un’intelligenza pratica e una spiccata propensione per gli esperimenti, qualità che le permisero, dopo qualche tentativo, di ottenere la formula del veleno perfetto, quello che uccideva lentamente, senza dare nell’occhio, lasciando roseo il colorito del morto. Nessun odore. Nessun sapore, dunque, in quel miscuglio di arsenico e antimonio, ma una sola avvertenza: la somministrazione alla vittima prescelta doveva avvenire un po’ per giorno, attraverso un numero preciso di gocce versate nel vino o nella zuppa.

In un mondo pieno di rancori e di conflitti, la bella Giulia non faticò a piazzare la sua merce. Difatti, non era per suo diretto beneficio che l’aveva concepita, bensì per farne commercio.

I clienti aumentarono in fretta, di pari passo con le sue rendite, tanto da consentirle di lasciare il malfamato quartiere del Papireto assieme a Girolama, sua sorella di latte. Tutto sembrava filare liscio quando, a causa di un cliente maldestro, la giovane rischiò di finire sotto la lente del tribunale dell’Inquisizione.

Per sottrarsi alle indagini e alle relative conseguenze, finì per accettare la proposta di un altro frate, tale Girolamo, che la portò con sé a Roma, dove l’aspettava una brillante carriera ecclesiastica. Approdarono insieme nell’Urbe di papa Urbano VIII e Giulia prese alloggio in un bell’appartamento alla Lungara, nel rione Trastevere, a spese dell’amante, di stanza nel convento di San Lorenzo.

Pare che poco tempo dopo, la siciliana avesse già imparato a scrivere, vestendo come una dama d’alto rango, ormai dimentica degli anni bui di Palermo. Finché un’amica più cara delle altre non si andò a lamentare proprio con lei dei maltrattamenti subiti in casa dal marito, una piaga che all’epoca accomunava la maggior parte delle spose. Costrette al matrimonio in età giovanissima, subivano abusi e angherie d’ogni genere dai coniugi indesiderati.

Fu così che Giulia, forte del suo ascendente sull’amante, lo spinse a procurarle la materia prima, noncurante di trovarsi nella città di San Pietro, sotto il naso dell’Inquisizione. Spregiudicato quanto lei, Girolamo non oppose resistenze e si rifornì dell’arsenico tramite uno zio compiacente, frate speziale alla Minerva. Rispolverata la vecchia formula, Giulia tornò al lavoro vendendo, come sembra, la sua preziosa merce quasi esclusivamente alle donne.

Quei traffici diventarono sempre più intensi. Dopo qualche anno però, una delle "clienti", la contessa di Ceri, ansiosa di liberarsi del consorte e contrariamente alle istruzioni ricevute, gli vuotò l’intera boccetta del veleno nella minestra, provocandone la morte immediata e scatenando i sospetti dei parenti. L’indagine di polizia condusse presto a Giulia. Arrestata, subì un processo, al pari delle sue … seicento clienti (un solo uomo fu coinvolto nel processo). Condannate alla pena capitale, le spose fedifraghe furono murate vive nel palazzo dell’Inquisizione, a Porta Cavalleggeri. Di Giulia Tofana, sottoposta a tortura ma poi rilasciata probabilmente grazie ai buoni uffici dell’amante, si persero le tracce. La sua difesa in tribunale? Quei miscugli non erano altro che preparati efficaci per la cura della pelle. Non era affare suo se le clienti ne facevano un uso differente.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Giulia Tofana

Alessandro Ademollo, I misteri dell’acqua Tofana, Roma, tipograf. Opinione, 1881

Salvatore Salomone Marino, L’acqua Tofana, L.P. Lauriel, Palermo 1882

Voce pubblicata nel: 2015

Ultimo aggiornamento: 2017