Jeanne Bémer – la forma corretta del cognome da nubile della nostra autrice è Bémer, anche se nella maggior parte dei contributi a lei dedicati viene omesso l’accento acuto sulla e – nasce il 10 agosto 1878 a Montfaucon en Argonne (oggi Montfaucon-d’Argonne), in Lorena, nel nord-est della Francia. 

 

La sua è una famiglia benestante, socialmente affermata: il padre, Pierre Adrien Bémer, proprietario di una fabbrica di tegole, esercita per più di un decennio le funzioni di sindaco e di conseiller général (deputato regionale). Jeanne ha una sorella e due fratelli ma non conosciamo la sua posizione nella fratria. Non sappiamo quale tipo di istruzione abbia ricevuto; l’unico dato certo è che non ha mai frequentato l’università. Dalla sua opera traspare tuttavia una vastissima cultura nei campi più disparati: musica, letteratura e filosofia, ma anche fisica, chimica, matematica, oltre alla botanica e all’agricoltura, frutto delle sue innumerevoli letture e dei suoi studi compiuti verosimilmente da autodidatta.

A questo ampio bagaglio di sapere – stando sempre ai suoi scritti – si unisce una conoscenza non superficiale dei contesti filosofici e mitologici extraeuropei, in particolare dell’India, che trova risonanza nella profonda sensibilità mistica che costituisce un tratto fondamentale della sua produzione.

 

Nel 1910 Jeanne Bémer è a Nizza, dove firma su «La Vie mondaine à Nice. Journal du high-life» un articolo intitolato Choses d’Espagne. La Gitane, descrizione immaginifica del ballo di una giovane zingara al quale avrebbe assistito nei giardini dell’Alhambra. Nella sua brevità, il racconto contiene già i temi della bellezza come esperienza di raccoglimento spirituale, della fascinazione per i popoli nomadi, dell’interesse per le culture “altre”, che troveremo nelle sue opere più tarde; ma è anche l’unica testimonianza in nostro possesso che documenti un viaggio dell’autrice fuori dai confini francesi. È interessante notare che il periodico presenta «Mademoiselle Jeanne Bemer sic» come «una giovane che occupa già un posto predominante nella nostra letteratura»; purtroppo non siamo in grado di dire a che cosa fosse dovuta questa fama dato che non abbiamo trovato traccia della sua attività letteraria nel periodo precedente.

 

Molto probabilmente è negli ambienti eleganti di Nizza che incontra il primo marito, Auguste Sauvan (1866-1944), farmacista nel quartiere residenziale di Cimiez nonché autore brioso e caustico di racconti e poesie in dialetto nizzardo. Si sposano verosimilmente nel 1910. Non avranno figli. Non sappiamo se la coppia vivesse stabilmente nel sud della Francia; l’unico dato certo è che Auguste rimane legato alla sua città, dove pubblica le proprie opere su alcune riviste locali almeno fino al 1933.

 

Il 1933 è anche l’anno in cui, ormai sotto il nome di Jeanne Bémer-Sauvan, l’autrice pubblica le sue opere più note: La Mystique de la ferme e Mon âme en sabots, entrambe presso l’editore parigino Stock. Due titoli ossimorici, in cui vengono efficacemente accostati i registri della spiritualità e della materialità, e che contengono in sé ciò che è, a nostro avviso, il tema portante di tutta la sua opera letteraria, ovvero il superamento della dualità. Continuamente, la scrittrice cerca di condividere con il lettore la sua percezione del senso profondo di unità che accomuna tutto l’universo – esseri viventi, piante, rocce, fenomeni meteorologici, gli elementi stessi: 

 

“Ma per il momento è estate, un’estate superbamente solare, con la sua presenza di fuoco sui miei campi, la sua presenza formale nello scorrere del tempo senza forma!… A questa estate attribuisco, se voglio, un volto d’oro rosso con il sorriso del Buddha, oppure il corpo delle salamandre fatto di fiamme, in cui circola un sangue che è fuoco, e tutto ciò forse non è del tutto una chimera, un’invenzione prodotta dal lirismo di un poeta… Ci sarà pure qualcosa lassù, tra i segni del Leone e della Vergine, che si sporge per dare alla terra l’ordine della mietitura, qualcosa o qualcuno? Mi è difficile non vedere come un dio questa forza fecondante e questa concezione immacolata… mi è difficile non personificare l’estate in forma di androgino divino, eternamente fecondato da sé stesso!” 1

 

Devo parlare anche di un ruscelletto minuscolo, la cui sorgente sgorgava da una cavità pietrosa, in fondo a un campo piantato a noci. Ora che ho letto tanto e di tutto, conosco l’importanza della sorgiva e della fontana nell’inspirazione artistica. […] Da bambina non sapevo nulla di tutto questo, ma lo intuivo; il mistero dell’acqua viva sbucata improvvisamente fuori dalla terra, il suo gocciolio musicale, i suoi primi riflessi azzurri e verdi mi tenevano prigioniera, incantata, affascinata dal sentimento indefinibile di una presenza viva. Gli steli di menta, chinati come me per vedere e per sentire l’acqua, effondevano il loro profumo piccante, zuccherino e come glaciale, e non c’era nient’altro lì presente, nell’ombra blu dei noci, anch’essi mormoreggianti con suoni d’acqua sorgiva, che queste erbe acquatiche, e la fontana, e la vecchia anima di quella bambinetta intenta ancora una volta a riscoprire il mondo.” 2

 

Si tratta, lo comprendiamo, di una “conoscenza” resa manifesta soprattutto nelle dimensioni della sensazione, dell’intuizione, della vibrazione interiore, e cioè in forme che tendono a sfuggire alle capacità descrittive della parola. D’altronde, pur mostrando di conoscere l’efficacia della poesia come strumento di elevazione spirituale, la scrittrice è ben consapevole della difficoltà del compito che si è assunta e dei limiti del mezzo che ha scelto per farlo: 

 

Sento il vento che gioca con i fiumi dell’aria, e questi che scorrono negli alberi; sento, sì, ma da tutto questo non so ricavare nulla all’infuori dei miei poveri accordi di poesia umana, un altro minuto ancora e tenterò una descrizione…3

 

Speculari anche nella struttura, i due volumi si presentano come una serie di racconti in prima persona, sotto forma di diario nella Mystique, di ricordi d’infanzia in Mon âme en sabots, ambientati in una zona rurale nel nord-est della Francia nei primi anni del secolo scorso e accomunati anche dal timbro della voce narrante, come se si trattasse di due momenti di una stessa autobiografia. Certo, la scarsità di notizie sulla vita dell’autrice non consente affermazioni definitive, ma pare fuori di dubbio che si tratti di una costruzione letteraria, sia nel caso della fattoressa solitaria della Mystique sia, a maggior ragione, in quello dell’orfanella cresciuta in una famiglia povera e analfabeta. La dimensione autobiografica va quindi cercata altrove, nei luoghi, nella cornice intima e campagnola e, ovviamente, nella personalità, nelle esperienze e nelle percezioni delle protagoniste, alter ego della scrittrice, di cui condividono impressioni, intuizioni e sensibilità. 

 

Qualunque sia la lettura che ne viene data, queste opere godono di una discreta fortuna e sono oggetto di segnalazioni e recensioni per lo più positive su varie riviste (dalla cattolica «Revue des Lectures» agli «Annales politiques et littéraires», ma anche «La Terre et la vie. Revue d’histoire naturelle» oppure, in un ambito un po’ diverso, la «Revue spirite» o l’italiana «Mondo occulto»). Nel 1935 Jeanne Bémer-Sauvan, «autrice di due libri sulla vita rurale», riceve un premio di 5 000 franchi attribuito dal circolo gastronomico e letterario femminile delle Belles Perdrix, dopo un secondo posto al Prix Minerva nel marzo 1934 e una candidatura al più famoso Prix Femina nel dicembre 1933. Nonostante il buon successo della scrittrice sia stato confermato dalla ristampa della Mystique presso lo stesso editore nel 1941, i due volumi scompariranno dalle librerie, e questo fino alla recente iniziativa della casa editrice Iona di Alès (nel Gard), che li ripubblica entrambi nel 2009 e nel 2012; nel 2022 le Edizioni di Maieutica hanno dato alle stampe una traduzione italiana della Mystique de la ferme.

 

Sempre negli anni trenta, sulla «Revue bleue. Revue politique et littéraire», Jeanne Bémer-Sauvan pubblica due novelle piuttosto diverse tra loro per temi e per ambientazioni. Del 1934 è il misterioso L’Éléphant frappé, illustrazione quasi allucinata delle conseguenze più sottili delle nostre azioni, situata tra l’India e Parigi, mentre nel 1938 ritroviamo la regione dell’Argonne in Le Gentilhomme de verre, racconto storico dei tempi della Rivoluzione. Nel frattempo i suoi testi vengono letti alla radio (il 23 marzo 1938 su Radio-Paris, il 10 giugno 1939 su Paris-PTT), mentre la stessa scrittrice partecipa a una puntata dedicata agli Elfi del programma radiofonico di Radio-Cité L’amour autour du monde (28 marzo 1938).

 

Nulla sappiamo della sua vita negli anni della guerra, tranne che rimane vedova nel 1944. Qualche anno dopo la morte del primo marito, si sposa per la seconda volta con Noël Feuerstein (1904-1988), professore di belle arti, scultore, pittore e illustratore, con il quale vivrà a Troyes fino alla sua morte. A partire dal 1962 firma alcuni articoli su «Le Lotus bleu», organo della Société théosophique de France (in particolare su Teilhard de Chardin), come «Jeanne-Noël Feuerstein», nome che ci ha suggerito l’ipotesi, non altrimenti suffragata se non dall’appartenenza documentata del pittore a quell’associazione, di una collaborazione della coppia.

 

Un po’ prima, nel 1960, aveva pubblicato un romanzo, La Haute Chevauchée, che prende il nome di un famoso bosco della regione dell’Argonne e ripropone in forma più romanzata i temi delle sue opere maggiori (Parigi, Éditions du Scorpion).

Muore il 24 dicembre 1971 all’età di 93 anni.

Note


1 Tratto da La Mystique de la ferme
2 Tratto da Mon âme en sabots
3 Tratto da La Mystique de la ferme

Voce pubblicata nel: 2022

Ultimo aggiornamento: 2022