«Molto mi ha giovato la lettura dei testi che le donne vengono scrivendo e pubblicando, ma più ancora – sto per dire – il poterle incontrare, il parlarsi di persona, vedere volti e gesti, inflessioni di voce e timbro di sorriso, sentire quanta parte della ricerca è andata persa per circostanze varie, quali orizzonti apre, quali motivazioni ha avuto».

Veramente difficile riassumere il pensiero, il lavoro teorico e le pratiche suggerite e regalate per oltre sessant’anni da un’attivista femminista quale è Lidia Menapace.

Una anticipatrice: questa forse la caratteristica più nitida ed esclusiva del suo lavoro.

La prima a mettere l’accento sull’importanza del linguaggio sessuato come strumento fondamentale contro il sessismo, «[...]Poiché ho ribattuto che possiamo cominciare a sessuare il linguaggio nei miliardi di volte in cui si può fare senza nemmeno modificare la lingua, e poi ci occuperemo dei casi difficili, ecco subito di nuovo a chiedermi perché mai mi sarei accontentata di così poco. Se è tanto poco, dicevo, perché non si fa?

Non si fa perché il nome è potere, esistenza, possibilità di diventare memorabili, degne di memoria, degne di entrare nella storia in quanto donne, non come vivibilità, trasmettitrici della vita ad altri a prezzo della oscurità sulla propria. Questo è infatti il potere simbolico del nome, dell'esercizio della parola. Trasmettere oggi nella nostra società è narrarsi, dirsi, obbligare ad essere dette con il proprio nome di genere » (prefazione a Parole per giovani donne, 1993).

Ci ha regalato la definizione più suggestiva del Movimento delle donne osservando che è carsico come un fiume che talvolta sprofonda nelle viscere della terra per riapparire in luoghi e tempi imprevisti con rinnovata potenza. Suo lo slogan “Fuori la guerra dalla storia”.

Negli anni dirompenti del Movimento femminista ha suggerito il riconoscimento come fondamento della relazione politica tra donne, ricordando che «Il processo della conoscenza-riconoscimento-riconoscenza non è né meccanico, né facile: richiede volontà, efficacia e anche strumenti, persino istituzioni ad hoc» e successivamente ha proposto la Convenzione, cioè un patto paritario per comuni convenienze, come forma politica per la costruzione di pratiche e azioni condivise, efficace senza essere mortificante per la molteplice soggettività propria dell’essere donna e del Movimento stesso.

Nell’UDI ha guidato la stagione politicamente più creativa contribuendo all’uscita dell’associazione dallo stallo generato dall’XI Congresso, attraverso l’innovazione delle forme politiche nelle responsabilità condivise, proponendo un Patto tra pensieri politici teoricamente incomponibili e promuovendo la formazione del gruppo nazionale, domiciliato al Buon Pastore occupato, allora cuore storico del femminismo, che prendeva il nome da quella Scienza della vita quotidiana, frutto dell’elaborazione politica raccolta per la prima volta nel libro Economia politica della differenza sessuale.

Comincia proprio con questo testo la proposta teorica intorno all’Economia della riproduzione, declinata nelle specificità biologica, domestica e sociale, che troppo spesso viene ancora genericamente definita “lavoro di cura”, mentre, osserva puntualmente Lidia, la cura è il modo senza il quale non si realizza il lavoro stesso.

Non solo molti libri: la sua produzione è diffusa, e talvolta dispersa, in una miriade di giornali, riviste, pubblicazioni. Questo per la sua disponibilità ad essere presente nell’accadere delle cose, nel tempo vissuto dei vari collettivi umani che la considerano una maestra, ma anche perché, lontana da ogni vezzo accademico, considera la forma “occasionale” dei suoi scritti parte integrante della sua stessa elaborazione teorica. Instancabile viaggiatrice, è sempre stata disponibile a raggiungere i più remoti gruppi in ogni parte d’Italia, e generosa nel diffondere il patrimonio della sua esperienza. L’occasione infatti, nel senso montaliano del termine, è il suo modo teorico di stare nel mondo, che per lei è sempre il territorio concreto, abitato, che può allargarsi a comprendere perfino tutta la terra, ma si tratta sempre di una terra che è tale in quanto incessantemente percorsa da donne e uomini e dalle loro umanissime vicende. Dice e scrive, attenta alle condizioni materiali della vita e a come i luoghi possono favorire o mortificare la conoscenza, continuando a scegliere per sé la scrittura dell’articolo più vicina alla continuità del pensiero nella vicinanza del vivere.

Attivamente pacifista ha proposto la Convenzione permanente di donne contro tutte le guerre e la scuola politica sotto l’egida di Rosa Luxembourg, figura storica snobbata sia dai partiti a sinistra come da buona parte del femminismo che invece Lidia Menapace ha non solo riscoperto ma anche attualizzato, arrivando a scoprirne le radici protoecologiste e animaliste (cfr. Donne disarmanti- storie e testimonianze su nonviolenza e femminismi 2003).

Pressoché unica a ricordare alle generazioni più giovani il lavoro di Alma Sabatini, che cita sempre quando parla della necessità di sessuare il linguaggio, generosa con chi le ha chiesto di partecipare anche in luoghi sperduti a dibattiti e incontri, sempre disponibile a scrivere e a condividere i suoi materiali, Lidia Menapace è probabilmente la miglior testimonianza di come il paese nel suo complesso, e la sinistra in particolare, non sappia valorizzare i suoi talenti: per oltre 20 anni, con raccolte di firme e petizioni, si è cercato senza successo di farla eleggere in Parlamento, a cominciare dal PCI dell’epoca della Carta delle donne di Livia Turco.

Una enorme quantità di firme sono state raccolte sia per la sua elezione parlamentare sia per la sua nomina come Senatrice a vita, anche in questo caso senza successo.

La sua breve permanenza in Senato (eletta nelle liste di Rifondazione Comunista), già ottantenne, è raccontata da lei stessa in una raccolta di lettere, inviate quasi quotidianamente, che restituiscono uno sguardo inedito:

«Sono convinta che una nuova strumentazione politica teorica possa muovere non da cattedre, bensì da tavole, non da scranni, bensì da incontri conviviali» scrive Lidia nell’introduzione del suo ultimo libro.

Sua madre è una ragazza emancipata d’inizio Novecento, così si autodefiniva e suo padre un geometra illuminista senza saperlo, che portava le figlie bambine a visitare città d’arte. Lidia Brisca è stata una giovanissima resistente durante la guerra di liberazione; ha avuto il grado di sottotenente, rifiutato poi assieme al riconoscimento economico subito dopo la guerra, come raccontato nel libro Resistè: non aveva fatto la guerra come militare - spiegherà - e ciò che aveva fatto non aveva prezzo e non era monetizzabile. A soli 21 anni, nel 1945, consegue la laurea col massimo dei voti, a conclusione degli studi in letteratura italiana. Partecipando a giugno del 2011 a Genova al decennale di Punto G, che nel 2001 aprì le manifestazioni politiche di dibattito sulla globalizzazione, Lidia Menapace ha raccontato di come alla sua laurea uno dei relatori avesse giudicato la sua tesi, per farle un complimento, “frutto di un ingegno davvero virile”. Ebbene lei, nonostante il luogo solenne e la giovane età, ebbe il coraggio di ribattere e quello di replicare che la candidata era proprio una donna, quindi “isterica” (video su YouTube).

Impegnata nella Democrazia Cristiana, prima donna eletta nel Consiglio Provinciale di Bolzano nel 1964, dove si era trasferita dopo il matrimonio con il medico trentino, Nene Menapace (morto nel 2004), accanto a lei con discrezione per tutta la vita. In quella stessa legislatura è anche la prima donna ad entrare nella Giunta provinciale come assessora alla Sanità, ma si giocherà una brillante carriera all’Università Cattolica dichiarandosi marxista e contribuendo alla fondazione del quotidiano «Il Manifesto» (1969) sul quale scriverà regolarmente fino alla metà degli anni ’80. Conflittuale, anche a causa della distanza dal movimento femminista, il rapporto con Rossana Rossanda, altra fondatrice dello storico giornale della sinistra italiana.

A partire dagli anni ‘70 è stata presente nella politica attiva in associazioni, movimenti, incarichi istituzionali con un impegno che si caratterizza da subito e sempre per il femminismo e il pacifismo. Eletta al Senato nel 2006 nelle liste di Rifondazione Comunista, ha diretto la rivista teorica per la rifondazione comunista «Su la testa».

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Lidia Menapace

Lidia Menapace, Per un movimento politico di liberazione della donna, 1973

Lidia Menapace, La Democrazia Cristiana, 1974

Lidia Menapace, Economia politica della differenza sessuale, 1987

Lidia Menapace, Né indifesa né in divisa, 1988

Lidia Menapace, Il papa chiede perdono: le donne glielo accorderanno?, 2000

Lidia Menapace, Resisté, 2001

Lidia Menapace, Nonviolenza, 2004

Lidia Menapace, Lettere dal palazzo (Numero speciale di «Marea»,2007

Lidia Menapace, Un anno al Senato, 2009

Il film di Monica Lanfranco e Pietro Orsatti, Ci dichiariamo nipoti politici - quasi un ritratto (2008), visibile in bassa definizione al sito e acquistabile in dvd.

Il sito Radio delle donne

Referenze iconografiche: Lidia Menapace durante una conferenza stampa, 2006.Foto di Mihai Romanciuc, fonte Flickr. CC BY 2.0

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023