Voglio essere un'opera d'arte vivente

Quando nasce Luisa, Milano vive uno dei suoi momenti di maggior espansione economica e culturale, una fin de siècle frenetica e raffinata.

Il padre, Alberto Amman, possiede un moderno e fiorente stabilimento cotoniero. Per il contributo dato all’aumento del reddito nazionale Re Umberto I gli conferisce il titolo di conte. La madre, Lucia Bressi, era nata a Vienna.

Luisa ha una sorella maggiore, Francesca; entrambe vengono educate in casa, da istitutrici, come avviene nelle famiglie ricche dell’epoca, annoiandosi a morte.

Dimostra da subito grande passione verso le arti figurative che coltiva dedicandosi ogni giorno al disegno.

Quando, ancora adolescenti, perdono entrambi i genitori, le due sorelle Amman diventano le eredi più ricche d’Italia.

Alle soglie del XX secolo le mode cambiano: le due ragazze, che vivono presso zii paterni, si danno al tennis e all’equitazione.

Luisa, timidissima, si avvicina al debutto in società, si taglia i capelli mettendo in risalto i suoi straordinari occhi verdi a mandorla. Cambierà spesso colore dei capelli ma mai più pettinatura. Conosce il Marchese Camillo Casati Stampa di Soncino e lo sposa, a diciannove anni, con la benedizione di entrambe le famiglie: ai nouveaux riches Amman manca un’ascendenza nobile, all’alto lignaggio dei Casati il denaro.

Trascorrono il viaggio di nozze a Parigi: è il 1900, l’anno dell’esposizione universale, un evento senza precedenti che attrae e diffonde novità in tutta Europa.

L’anno successivo nasce la loro unica figlia che Luisa vuole chiamare Cristina in onore della Principessa di Belgioioso verso la quale nutre una sconfinata ammirazione. Molto presto il ruolo di mogliettina del Marchese Casati comincia ad andarle stretto; conosce in questo periodo uno scrittore viziato e narcisista con una sorprendente fantasia, totalmente incurante dell’etichetta, col quale avvia una intensa e duratura relazione: Gabriele D’Annunzio.

Lui la soprannomina Kore, come la Regina degli Inferi. La Marchesa Casati diventa per sempre la sua “Corè” e D’Annunzio per sempre il suo “Ariel”, lo spirito birichino de La Tempesta di Shakespeare.

In questo periodo Luisa studia la propria maschera e nel far questo, si ispira a quelle donne che l’avevano incantata in gioventù: la Principessa di Belgioioso, dalla quale eredita il trucco macabro e l’interesse per l’occulto, Sarah Bernardt con i suoi capelli rosso brillante e la Contessa di Castiglione, superba costruttrice.

Trasforma anche le sue case, ridisegnandole e arredandole con stile personalissimo. Niente più velluti rossi, broccati e pesanti mobili dorati che arredavano le case tradizionali dell’epoca ma un insolito uso del bianco accostato al nero, pavimenti di alabastro, cinguettanti uccellini a molla sistemati in gabbie dorate appese ai soffitti.

Lei stessa veste quasi esclusivamente in bianco e nero con fili di perle lunghi fino al pavimento. Si aggira con una coppia di levrieri, uno bianco e l’altro nero.

Frequenta artisti in veste di potenziale mecenate, visita regolarmente i grandi musei di Londra, Parigi.

Convinta da D’Annunzio, decide di prender casa a Venezia e sceglie la residenza più straordinaria e decadente della città, il Palazzo Venier dei Leoni (comprato in seguito da Peggy Guggenheim). Ne comincia una meticolosa ristrutturazione interna. Ogni stagione fa trasferire un intero pavimento in marmo bianco e nero dalla sua villa di Roma, popola il giardino di animali insoliti: un ghepardo, merli albini ai quali fa colorare le piume a seconda dell’estro del giorno, scimmie, pappagalli, gattopardi, tigri e un boa constrictor fedele compagno dei suoi viaggi.

Il ghepardo, con collare di brillanti e pietre preziose, la scorta mentre passeggia nuda di notte in Piazza San Marco. Un servo di colore la segue con un paio di torce accese affinché gli spettatori incuriositi possano ammirarla. Intanto, continua a elaborare la propria messa in scena: sul viso ciprie sempre più chiare, lunghissime ciglia finte sugli enormi occhi verdi bistrati di nero da sotto le sopracciglia fino agli zigomi; si dilata le pupille usando gocce di belladonna e si dipinge le labbra rosso fuoco.

Le sue favolose feste diventano famose in tutta Europa. Usa Piazza San Marco come sala da ballo, per non fare entrare la folla si serve di energumeni di colore vestiti solo di un panno rosso e legati l’uno all’altro da una catena d’oro.

Del marito e della figlia ha smesso da tempo di curarsi. Il Marchese Camillo Casati Stampa, dal quale si separerà nel 1914, non risiede mai contemporaneamente nella stessa casa della Marchesa; a lui basta poter usufruire del suo patrimonio e dedicarsi alla passione della caccia. La figlia Cristina vive in Francia in un severissimo collegio cattolico. Solo la sorella Francesca le rimane vicina, per nulla turbata dalle sue stranezze.

Al ballo in costume del 9 aprile 1913 all’Ambasciata di Roma si presenta vestita d’oro accompagnata da servi verniciati d’oro e con un pavone al guinzaglio. All’Opera di Parigi si mostra con una coda di pavone in testa e col sangue di un pollo appena sgozzato che le scorre sul braccio pallido.

Risiede al Ritz di Place Vendome quando il 4 agosto del 1914 Parigi viene occupata dai soldati. Incomincia la prima guerra mondiale e finisce la belle epoque. Senza il permesso della Marchesa, che è così costretta a reinventarsi nuovamente.

Si schiera con gli artisti dell’avanguardia e diventa la musa dei futuristi; frequenta Marinetti, Balla, Boccioni, Carrà, Depero. Diventa l’amante di Van Dongen e Augustus John.

Nella primavera del 1919 una violenta epidemia di influenza spagnola si porta via la sorella Francesca, l’unica persona che aveva veramente amato e sostenuto Luisa incondizionatamente. Forse è il dolore profondo per questa perdita che la spinge a viaggiare ossessivamente: Polonia, Francia, Ungheria, Scozia, Inghilterra, India. Utilizza un passaporto con una data di nascita più “lusinghiera” della sua e al posto della foto una riproduzione di un suo ritratto ad olio…

Nell’estate del 1920 la Casati approda a Capri occupa (sì, occupa letteralmente con la forza e l’astuzia) per mesi la villa di un medico parigino e frequenta l’eccentrico barone omosessuale Ferse, e la “saletta dei narcotici” nella villa di lui, riservata al consumo di oppio e cocaina.

Dopo la parentesi caprese si trasferisce a Parigi dove acquista il Palais Rose, appartenuto al poeta Robert de Montesquiou, lo svuota completamente e lo arreda secondo il suo gusto: bianco, nero, oro, pelli di animali selvaggi, pappagalli, un cobra, un boa, due tigri (noleggiate) e una pantera meccanica imbalsamata come deterrente per i ladri. Trasforma la biblioteca del poeta in una galleria di suoi ritratti: nel 1923 ne possiede più di 130, dipinti e fotografici, compresi alcuni celeberrimi scatti di Man Ray. L’hanno ritratta, fra gli altri Giovanni Boldini, Augustus John, Kees Van Dongen, Romaine Brooks, Ignacio Zuloaga, Drian, Alberto Martini, Alastair, Giacomo Balla, Catherine Barjansky, Jacob Epstein, Cecil Beaton il barone Adolph de Meyer…

Ma l’ora di strada che separa il Palais Rose da Parigi la isola sempre più e per giornate troppo lunghe c’è l’oppio e l’assenzio.

Luisa si rende conto, per la prima volta, che le sue risorse non potranno sostenere a lungo il suo esuberante stile di vita. Vende le sue partecipazioni del cotonificio del padre e alcuni immobili di proprietà. Con le finanze rimpolpate continua ad assecondare tutte le sue manie, l’ultima delle quali è collezionare oggetti appartenuti alla Contessa di Castiglione, eroina della sua dell’infanzia. La sua partecipazione a Les Bals du Grand Prix del 1924 vestita da Castiglione rimane memorabile.

Nello stesso anno ottiene il divorzio dal marito: è la prima divorziata italiana della chiesa cattolica romana.

La figlia Cristina si trasferisce in Gran Bretagna e sposa il futuro Conte di Hungtindon. Lasciano presto l’Inghilterra per viaggiare nel Messico e nei Mari del Sud dove danno alla luce la figlia Moorea.

La Marchesa approda intanto trionfalmente in California, la sua fama l’ha preceduta anche negli Stati Uniti.

Tornata a Parigi organizza una serie di feste sfrenate alle quali ormai molti partecipano per pietà e curiosità. Il leggendario Bal du Cagliostro, costa più di cinquecentomila franchi dell’epoca.

Intanto, dall’ufficio di Milano, il suo commercialista, Lorenzo Saracchi, la scongiura di ridurre le spese. La Marchesa comincia a scambiare gioielli e altri oggetti costosi per tenere a bada i creditori; diventa preda di usurai, e paga tassisti e bottegai con bracciali di diamanti e anelli di smeraldi.

Al compimento del suo cinquantesimo compleanno ha accumulato debiti per un cifra comparabile a venticinque milioni di euro attuali.

Costretta a mettere all’asta tutti i suoi beni deve trovarsi una nuova casa, e viene ospitata e mantenuta da amici generosi.

Dopo essersi riempita di debiti in Italia e in Francia decide di trasferirsi in Inghilterra. Il suo ex amante, Augustus John, le apre un conto corrente sul quale amici, la figlia Cristina e la nipote Moorea fanno piccoli versamenti. Luisa gira per le strade di Londra vestita con logori vestiti di velluto, guanti di pelle di leopardo e veletta nera; il suo adorato cerchio intorno agli occhi lo disegna col lucido da scarpe, i cosmetici sono troppo costosi. Ancora tinge i capelli di rosso fuoco e aggiunge belladonna per far brillare i suoi meravigliosi occhi.

Ma perfino in queste ristrettezze il suo gusto per la vita rimane immutato. Telefona agli amici dicendo: «Ho dieci scellini. Ci facciamo una bottiglia di vino scadente o un giro in taxi?»

La Marchesa Casati muore nel 1957 di emorragia cerebrale, viene sepolta con il suo mantello nero bordato di leopardo, ciglia finte e occhi bistrati, ai piedi il suo prediletto pechinese imbalsamato.

La nipote sceglie come epitaffio la descrizione che Shakespeare fa di Cleopatra:

«L’età non può appassirla

Né l’abitudine rendere insipida

La sua infinita varietà»

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Luisa Casati Amman

Scott D. Ryersson, Michael Orlando Yaccarino, Infinita varietà. Vita e leggenda della Marchesa Casati, Corbaccio, 2003

Gabriele d’Annunzio, Infiniti auguri alla nomade, Archinto 2000

Un sito a lei dedicato

Referenze iconografiche: "Marchesa Casati", di Adolf de Meyer, 1912. Fonte: Camera Work, No 40 1912. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023