Maria Candida è figlia di Giovanna Florena e decima di dodici figli. Nasce a Catanzaro perché il padre, Pietro, è lì trasferito come Consigliere di Corte d’Appello; due anni dopo la famiglia fa ritorno nella città d’origine, Palermo, e lì Maria trascorrerà l’infanzia e la giovinezza, in una famiglia, dirà "dove ha vita la carità". Nella sua autobiografia ricorda:

Avevo undici anni, quando cominciai a essere turbolenta e irrequieta. Correvo, saltavo, stuzzicavo sempre qualcuno, mi divertivo a burlare le donne di servizio, anche quando protestavano. Di notte mi alzavo e facevo dispetti, per far ridere le mie sorelle. Mi chiamavano Maria, la diavolona. Soltanto nei giorni di passione non saltavo e parlavo adagio.

Frequenta la scuola elementare presso il Collegio del Giusino, luogo di silenziosa spiritualità, tra i cortili interni dell’attuale Biblioteca Regionale e del Convitto Nazionale, elegante di portici il primo, arioso di alberi l’altro. Ma nel 1898, secondo la consuetudine di allora, i suoi le impongono l’interruzione degli studi. Resterà sempre un suo cruccio il desiderio giovanile per i libri e il teatro, più tardi vissuti come distrazione dall’adorazione eucaristica, divenuta il fulcro della sua vita interiore. La prima esperienza della grazia la coglie quindicenne.

Una sera, giravo oziosa per le stanze, in attesa di andare a tavola. Passando vicino a una stanzetta dove ardeva una lampada, posta innanzi all’immagine del Sacro Cuore, che avevamo composta su di un altarino, fui colpita da quel pallido chiarore. Nella penombra di quella stanza, in un’atmosfera soave di raccoglimento, che parlava di Dio, mi sedetti tutta calma a leggere il punto della meditazione. Prima più lievemente, poi fortemente, mi sentii sollevare in Dio, mentre il Cielo si apriva sulla mia anima per versarvi le divine dolcezze, avvolgendola. Sentivo quella Immensità circondarmi, riempirmi, proteggermi. La sentivo a me vicina, aleggiare sul mio capo. Non so quanto durò; certo fui chiamata per il pranzo, e dovette essere breve.

Ma la decisione di prendere i voti è fortemente osteggiata dai fratelli, specie dopo la morte dei genitori. Deve perciò accontentarsi di una promessa di verginità temporanea, per altro continuamente reiterata, al Giusino, dove le è concesso di raccogliersi in ritiro. Nel 1910 inizia a scrivere le sue confessioni, Nella stanza del mio cuore, completate nel 1918. Frattanto entra in contatto con il Carmelo di Palermo e legge la Storia di un’anima di Teresa di Lisieux che si configura per lei come una guida e un modello; infatti non avrà mai né confessori né padri spirituali lungo il cammino che compirà tutto da sola.

Nel 1919 riesce finalmente a entrare al Carmelo di Ragusa, nonostante l’ostilità dei fratelli che mai andranno a visitarla. Qui scrive il racconto della sua vocazione, Salita: primi passi (1922) e quindi la storia della sua vita contemplativa, Il canto della montagna (1926). Dal 1924 diviene priora del monastero, carica che ricoprirà fino alla morte; fra il 1930 e il 1933 è maestra delle novizie e inizia a redigere il suo piccolo capolavoro, L’eucaristia, uno scritto prezioso a metà tra la riflessione teologica e l’estasi mistica che racchiude pagine di delicatissima poesia, affini a quella di Teresa d’Avila e Giovanni della Croce, in cui narra la sua "pazzia d’amore e forza di unione":

È più che unione, è fusione. Una volta mi parve che tutta andassi a mescolarmi col mio Dio: non si capisce più chi è Gesù e chi sono io. Noi siamo due amanti appassionati, siamo due amanti pazzi. E anche Lui è folle d’amore: vuole unirmi a Sé, prendere tutto il posto, occuparmi tutta, unificarmi tutta a Sé. [...] Io accostavo molto il mio cuore al suo per prenderne le fiamme e lo supplicavo di volermi attrarre a sé, vulcano d’amore, e incenerirmi. [...] Dal cuore amorosissimo che serro al mio, lascio passare il miele della dolcezza. Mi attrae: in questo mare limpidissimo io immergo l’anima mia e vi riposo. [...] Gli ho detto, allora: non vedi come sono bella? Ora sì che puoi mangiare l’anima mia. Bevila tutta, mangiami e dammi la Vita.

Nel 1946 contribuisce – lei, donna – all’apertura a Ragusa di una casa dei Carmelitani Scalzi, la prima dopo la soppressione avvenuta nell’Ottocento. L’anno successivo fonda e dirige un nuovo monastero femminile a Siracusa. Muore il 12 giugno 1949. A quella stessa notte viene fatto risalire il suo primo miracolo: una consorella guarisce improvvisamente da un eczema giudicato incurabile, proprio nel momento in cui lei spira. Verrà beatificata a Roma il 21 marzo 2004.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Barba

Nella stanza del mio cuore (a cura delle Carmelitane Scalze di Belvedere, Siracusa), OCD 2004

Salita: primi passi (a cura delle Carmelitane Scalze di Ragusa), Palermo 1980

L’Eucaristia (a cura di Carmelo Mezzasalma e Alessandro Andreini), OCD 2004

Referenze iconografiche: Maria Barba, anche detta Maria Candida dell’Eucaristia.  Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023