Maria Margotti era una donna come tante donne del suo tempo. Di lei la figlia Pina ricorda "non andava in giro, era presa dal suo lavoro, dalle figlie, dalla famiglia. Era grande e silenziosa, parlava poco e non andava in giro; era una donna calma, senza nessuna ambizione".

La sua avrebbe potuto essere una vita del tutto ordinaria, di quelle che non lasciano tracce se non nella memoria familiare. Maria era ultima di 4 figli, in una famiglia di braccianti molto povera. Il padre era morto nella Grande Guerra.

C’è una foto che la mostra in seconda elementare durante l’anno scolastico 1922-23, composta e quasi assorta, in piedi in seconda fila. Ma già l’anno successivo dovette abbandonare la scuola per andare a lavorare nei campi. E anche prima spettava a lei preparar da mangiare e fare il bucato mentre la madre e i fratelli erano nei campi.

Col tempo divenne una donna alta, ben messa, con la carnagione e i capelli chiari[1].

A vent’anni sposò Mario Baldini, anche lui bracciante. Entrò così a far parte di una famiglia numerosa, di una decina di persone che vivevano tutte in due stanze. E divenne la Maria de’fiol de Barbesta.

Nel 1935 nacque la sua prima figlia, Giuseppina (la Pina) e quattordici mesi dopo la seconda, Alberta (la Berta).

In seguito i coniugi andarono a vivere per conto proprio con le figlie in una sola stanza "con il camino di fronte al letto matrimoniale, la madia, il cassettone e l’armadio che quasi non si gira nella stanza" [2].

Il marito intanto aveva trovato lavoro nella fornace mentre Maria continuava a lavorare nei campi. Le bimbe, come avveniva abitualmente, restavano sole - "ma allora non c’era molta sorveglianza sui bambini" – dice la figlia Giuseppina "non mi ricordo, non so, se qualcuno rimanesse a casa a far da mangiare o a guardarci»[3].

Ben presto Mario, che aveva preso una pleurite mentre aiutava i suoi nella raccolta delle barbabietole, dovette essere ricoverato in un ospedale a Bologna: non si riprese più e due anni dopo morì. Il peso della famiglia rimase interamente sulle spalle di Maria, che non chiese mai aiuto a nessuno. Maria andò a lavorare alla fornace, probabilmente perché lì poteva lavorare qualche giornata in più che nei campi. Aveva il compito di spingere dei carretti pieni di mattoni. Siccome, però, l’attività alla fornace non durava tutto l’anno, Maria lavorava anche nei campi quando era il momento di pulire o battere il grano.

Ecco, questa è la sua storia e avrebbe potuto rimanere una vita del tutto ordinaria. Dura, difficile, ma ordinaria. Invece no.

Perché il 17 maggio 1949 ci fu uno sciopero contro il crumiraggio nell’ambito delle lotte bracciantili che caratterizzavano quel periodo. Uno sciopero che successivamente venne definito “eroico” per la sua drammaticità e durata e coinvolse tutto il Paese dal nord al sud: "c’era la manifestazione e tutti ci andarono. Erano rimasti a casa solo i vecchi e i bambini".

Anche Maria decise di andare. Si unì al corteo, formato prevalentemente di donne confluite sul ponte Stoppino presso Molinella in provincia di Ferrara "Sembrava che andassero a una festa, tutti in bicicletta, cantavano, non pensavamo che la celere avrebbe sparato e invece, erano indiavolati, sono saltati giù dal camion e sono andati addosso agli uomini, alle donne. E botte, e sparavano come se si fosse ancora in guerra"[4].

Maria "era una donna che non era mai stata a una manifestazione. Quel giorno si era fatta convincere dalle sue amiche. Aveva detto lo faccio solo per le mie bambine".

E prima di partire aveva detto "mi raccomando, se mi succede qualcosa pensate alle mie bambine". "È stata colpita da una raffica sparata dal carabiniere Galati sull’argine al bordo della risaia. Ha avuto solo il tempo di dire 'Dio mama…'"

Questa fine drammatica ha consegnato Maria Margotti alla storia, l’ha trasformata in un simbolo.

Luciano Romagnoli, segretario generale della Federbraccianti CGIL sulla Nuova Scintilla del 21 maggio 1949 scrisse "è un’altra eroina che aggiunge il suo nome alla lunga schiera di eroi che hanno dato la loro vita per la libertà e per il lavoro".

Renata Viganò, l’autrice di L’Agnese va a morire la ricorda in un commosso articolo pubblicato sull’«Unità» del 18 maggio 1950. "È morta come poteva morire qualsiasi altra delle donne del Mulino di Filo, perché sono tutte braccianti e compagne, e allo sciopero tutte aderiscono… è diventata un simbolo, una bandiera, la prima bracciante caduta nello sciopero bracciantile della primavera del '49, un nome, una figura che esce dai nostri piccoli ricordi di compagni per entrare nel rosso elenco dei caduti per l’umanità, per la gioia, per il lavoro, il pane dell’umanità".

Così ci si ricorda di Maria, anche se alla sua storia semplice sono stati apportati "inevitabilmente – poiché operiamo con la nostra soggettività – un po’ di manipolazione, ritocchi, imbellettamenti"[5].

Anche se forse Maria non ebbe piena consapevolezza della sua lotta, anche se forse il suo apporto alla resistenza non fu rilevante come ha scritto Renata Vigano.

"Mia mamma era una donna di campagna, lavorava e in quel periodo cosa poteva fare? Però … noi eravamo piccole e forse per questo non sapevamo e non ci ha mai detto niente" dicono le figlie.

Anche se non era una mondina, ma una fornaciaia e il fazzoletto che aveva sulla testa era solo un pochino più chiaro del solito nero e non quello bianco delle mondine, che le attribuisce la tradizione.

Resta la memoria e resta il simbolo. E, come ha scritto Luce Irigaray "la storia non si fa da sola. È nostro compito costruirla".

NOTE

1. V. Vecchiattini (1999), Maria Margotti, immagini di una speranza stroncata, in Le donne, le lotte la memoria (1999), ed. Globo, Ferrara.

2. Lina Anghel (1949), Maria Margotti, Noi donne

3. V. Vecchiattini, op. cit.

4. Lina dal Buono in V. Vecchiattini, op. cit.

5. Duccio Demetrio in Le donne, le lotte la memoria (1999), ed. Globo, Ferrara.

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Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Margotti

AAVV, Le donne, le lotte, la memoria, 1949 – 1999, a cinquant’anni dalla morte di Maria Margotti (1999) , Il globo ed, Ferrara

Anghel L., Maria Margotti, Edizione Noi donne, 1949

Viganò R., Una mondina della nostra bassa, «L’Unità», Nelle valli di Filo nessuno dimentica

Referenze iconografiche: immagine tratta dal libro "Le donne, le lotte, la memoria" edizione il Globo, Ferrara, 1999.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023