Maria Righetto nasce a Torino da Tancredi Righetto e Balbina Lamberti. La famiglia è benestante: la madre, marchesa, appartiene ad un antico casato nobiliare; il padre sfrutta le notevoli risorse economiche per appagare le proprie tendenze artistiche e finanzia pittori e scultori. Anche la piccola Maria ama dipingere piccole scene di vita familiare; è ancora un'adolescente quando il padre, colpito dalla bravura e dal tratto deciso della sua piccola pittrice, decide che bisogna darle qualcosa di più della tradizionale educazione impartita alle giovinette di buona famiglia: le fa frequentare l'atelier di Giuseppe Augusto Levis, artista originario di Chiomonte ma attivo a Torino all'inizio del secolo.

Siamo nel primo decennio del Novecento e il pittore si trova in un momento cruciale del suo itinerario artistico: ha ormai abbandonato il naturalismo ottocentesco per approdare alla rappresentazione di un realismo tragico, in cui dominano dense ombre e colori intensi. Non si può negare che il magistero di Levis, personaggio carismatico - all'epoca famoso come pittore dello zar Nicola II - incida profondamente sulla qualità pittorica dei dipinti righettiani, spesso caratterizzati da una profonda malinconia o attraversati da sprazzi di inquietudine che si concretizzano in figure femminili vestite di rosso, quasi annegate in un paesaggio che ha i colori della terra.

La veste rossa di Levis si ripete in tanti quadri della Righetto, che spesso citano letteralmente il maestro, anche nelle minime fogge delle sue solitarie passeggiatrici.

Ma l'incontro decisivo, che segnerà tutta l'esistenza di Maria, avviene d'estate, a Ivrea, dove la famiglia Lamberti possiede una lussuosa residenza; in queste zone trascorre le vacanze un certo Leonardo Roda, con la moglie e la nipotina. Edmondo De Amicis noterà il gruppo familiare al Giomein, sotto il Cervino, e li qualificherà come artisti o filosofi, per il loro atteggiamento contemplativo. In realtà Leonardo è pittore attratto dei rilievi alpini del Giomein e delle sue valli ombrose.

Maria ha diciott'anni, Leonardo invece più di quaranta, e alle spalle un'esperienza professionale e di vita notevole: espone già da tempo alla Promotrice delle Belle Arti di Torino e al Circolo degli Artisti, si è creato degli estimatori ed ha sviluppato un suo proprio stile pittorico. Roda conosce Tancredi Righetto e ne riceve, con tutta probabilità, sostanziosi aiuti economici per promuovere le proprie opere; a testimonianza di ciò restano alcuni calorosi biglietti di ringraziamento, dall'artista al mecenate. È del tutto naturale, quindi, che Maria diventi allieva di Leonardo, e ancora più naturale che ne sia profondamente influenzata, quasi soggiogata: la ragazza comincia a sfornare quadri alla Roda, con un ritmo intenso e quasi febbrile. Né il maestro le consente il riposo: la sprona continuamente a dipingere, le manda le proprie opere come incentivo, la rimprovera, le annuncia terribili prediche.

L'ubbidiente allieva arriverà a produrre quasi duecento quadri, fra il 1913 e il 1922; nove anni di lavoro ininterrotto, due opere al mese. Una passione fortissima che senza dubbio non sboccia solo dal contatto con i maestri: i pochi ritratti di Maria Righetto ci trasmettono l'immagine di una donna tenace, dagli occhi intensi e profondi e priva di timidezza; i suoi lavori indicano una personalità artistica ancora in fieri ma già definita, che meriterebbe uno spazio adeguato nel panorama artistico di primo Novecento, o almeno una certa visibilità.

Non avrà mai né l'uno né l'altra: non rimane traccia della sua produzione pittorica nei cataloghi del tempo, né l'artista è menzionata in opere enciclopediche, dizionari, storie dell'arte. E dire che il Piemonte di quegli anni, e soprattutto la splendida e vivace Torino di inizio secolo, offrono tantissime opportunità a giovani di talento, anche di sesso femminile: pensiamo a esempio a scrittrici quali Sibilla Aleramo, Amalia Guglielminetti, Carolina Invernizio. Il sodalizio artistico fra Leonardo e Maria si svolge invece nel chiuso delle montagne, fra le valli del Cervino, o nell'hortus conclusus della magnifica residenza nobiliare della ragazza: un luogo di sogno, distante dalla città frenetica e opprimente, ma anche irrimediabilmente isolato. In questo ambito ristretto, che non offre possibilità di crescita e di confronto con la realtà, la Righetto sviluppa comunque un suo autonomo linguaggio pittorico, che presenta indubbie affinità con l'opera di Roda, ma da questi si distacca per approdare a una dimensione più intima e malinconica. È quasi assente, dai quadri di Maria, il maestoso massiccio del Cervino che domina nei lavori di Roda, spesso immersi in un bianco abbagliante. Maria non aspira al sublime pittorico, quanto piuttosto alla rappresentazione di un quotidiano dove le poche figure umane sembrano esprimere una sottaciuta solitudine; oppure sceglie di rappresentare la bellezza come grazia naturale, evidente soprattutto nelle immagini di uccellini nel nido, nelle splendide figure di cavalli, o nelle trame sottili che disegnano gli alberi in fiore.

Evita anche quel sublime tragico della natura, esplorato con gusto da Roda, preferendo una osservazione più precisa e più evocativa, e lavorando per sottrazione: in alcuni paesaggi autunnali l'intensificarsi del vento trasforma i rami secchi degli alberi in mani rapaci, creando una geometria inquietante che risponde con delicatezza alle emozioni dell'osservatore.

Nel 1922 Maria sposa Emilio Borrello: bravissima persona, gran lavoratore - intendente di finanza - ma distante anni luce dal mondo degli artisti come dai cenacoli intellettuali. Da quel momento in poi la produzione di Maria si interrompe bruscamente: la giovane pittrice diventa moglie e madre di due bambini, e gli anni passano senza avvenimenti di rilievo: la famiglia si trasferisce prima a Ivrea, poi a Genova, adattandosi alle esigenze lavorative di Borrello. Alla fine degli anni '20 Maria annota in un biglietto le tappe della sua esistenza, ora segnata da pochi eventi: la nascita dei due figli, i trasferimenti in campagna nel periodo estivo.

Roda muore nel 1933, cinque anni dopo l'ultima annotazione; Maria ha ormai 38 anni, non dipinge dal '22: i figli sono già grandi, l'Italia è stretta nella morsa del fascismo, lentamente si avvicina la guerra.

Non abbiamo più notizie della Righetto a parte una carta d'identità datata 1943, corredata da un piccola foto che ci restituisce l'immagine di una donna matura, piuttosto anonima; conclusa ormai da molto tempo l'esperienza artistica, Maria muore nel 1979 a Roma.

Tutto il lavoro di ricerca compiuto da Maria per costruirsi una personalità artistica rimane, gelosamente conservato, in una stanza del palazzo di famiglia, e non diventa mai di dominio pubblico. Della sua ingente produzione restano 140 quadri, tutti appartenenti ad un'unica collezione privata; qualche altra opera di cui si ha indirettamente notizia sarà stata, con tutta probabilità, donata ad amici, e quindi difficile da reperire.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Righetto

E. Bellini, Pittori piemontesi dell’Ottocento e del primo Novecento, Torino 1998

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023