Difficile cominciare a parlare dei propri antenati quando l’albero genealogico non vanta nemmeno un personaggio illustre, né un musicista né un poeta, e neppure uomini di legge, o chirurghi, o una celebre ballerina sul lato femminile, una pedagogista di fama oppure, che sarebbe massimo onore e vanto in questi religiosissimi luoghi, una santa. Niente di tutto ciò: per secoli i nostri antenati si sono cimentati nell’arte antica dell’agricoltura ed hanno faticato dalla culla alla tomba in questo leggiadro pezzo di Toscana, su terre non loro, e quando divennero proprietari di qualche campicello, verso gli anni ‘80-’90 dell’Ottocento, continuarono a pagare livelli all’ospedale di S. Luca di Lucca fino agli anni ‘50 del successivo; i nostri antenati hanno seminato e poi falciato immense distese di grano, coltivato vigne, allevato bachi da seta, e dopo la scoperta delle Americhe hanno cominciato a piantare anche il barbuto granoturco, cosicché si sono abituati a mangiare polenta – pochissimo condita – la biondissima polenta benedetta che li aveva allevati per generazioni e generazioni, e sono arrivati a produrre la nostra, quella che vive a cavallo tra il secondo e il terzo millennio dell’era cristiana.

Nella Rugani nacque il 9 marzo 1921 a Maggiano, Lucca. Rimasta orfana del padre Rinaldo all’età di quattro anni, continuò a vivere con la mamma e i nonni paterni nel paese natio. Fu la prima donna della famiglia ad iniziare un percorso scolastico, diplomandosi all’Istituto Magistrale di Lucca. Per motivi economici non si iscrisse alla facoltà di matematica, materia per cui aveva una predisposizione particolare. Entrò nell’amministrazione della Manifattura Tabacchi di Lucca dove si dedicò appassionatamente ai bilanci e si impegnò nel sindacato. Negli anni ‘70 fu protagonista di una battaglia storica per l’apertura di un asilo nido dentro la Manifattura Tabacchi, che soddisfacesse le esigenze delle moltissime donne con figli. In quegli anni il personale della manifattura raggiungeva le tremila unità, di cui la maggior parte erano donne le sigaraie.

Dopo quarant’anni di servizio, si dedicò alla realizzazione dei suoi interessi nel sociale. Nel 1985 dette vita al “Gruppo Anziani di Oltre Serchio” nella sede a loro assegnata nel comprensorio dell’ex ospedale psichiatrico di Fregionaia. Il gruppo ebbe immediato successo. Organizzavano incontri di carattere culturale, davano grande spazio agli aspetti conviviali attraverso cene aperte a tutti, molto frequentate. Due, tre volte l’anno organizzavano gite in altre città ed erano collegati ai gruppi anziani in particolare dell’Emilia Romagna. Fu una svolta di vita per le vedove del territorio, che uscivano dalla solitudine. Nel 1993 costituì con altri l’Università dell’Età Libera, con l’obiettivo di diffondere cultura; le lezioni venivano tenute da professori universitari, e da esperti nelle varie discipline: storia, filosofia, storia dell’arte, ambiente, economia, cinema. Il nome, voluto fortemente da Nella, aveva il significato di eliminare la parola anziano, come stereotipo di qualcuno che per motivi di età perde interesse per la conoscenza e quindi per la vita. Le due associazioni sono ancora molto attive e hanno continuato a crescere sul territorio. Nel 1994 si candidò nella lista di Giulio Lazzarini, che divenne Sindaco di Lucca. Fu eletta come consigliere comunale e svolse il suo mandato fino alla fine della consiliatura nel 1998.

Nel novembre del 1941 Nella sposò Marino Lazzarini; dall’unione nacquero due figlie, Marinella e Annalisa.

Passione, ottimismo, concretezza, rispetto verso gli altri e mancanza quasi assoluta di pregiudizi morali; queste erano le sue caratteristiche, che l'hanno accompagnata durante tutta la sua lunga e fertile esistenza. Ogni volta che qualcuno le prospettava le difficoltà di realizzazione di un progetto o di una questione quotidiana, lei rispondeva con il suo ” SIEEEE.....”. Passioni, famiglia, impegni, tutto aveva la stessa importanza.

“Mia madre mi aveva iscritta all’Istituto Magistrale, che frequentai con buoni risultati, diplomandomi nel 1939. Come insegnante di italiano e latino ebbi il professor Torrini, un antifascista. Ricordo che un nostro compagno di classe, uno zuzzerellone nemmeno tanto bravo a scuola, si presentò un giorno con un distintivo che riportava il motto “me ne frego!” appuntato sul bavero della giacca. Il professore glielo fece togliere perché, disse, quelle parole non si confacevano alla serietà della scuola. Molti anni dopo rincontrai quel mio compagno di scuola, e gli ricordai l’episodio, ma lui cadde dalle nuvole, e mi disse che non ricordava di aver mai portato un distintivo fascista.

Alle Magistrali insegnava in quegli anni anche il professor Muston, che avrebbe partecipato alla resistenza, e a cui nel dopoguerra fu intitolata una via. Avevamo libri di testo che portavano sul frontespizio l’immagine del Duce, e ci venivano dati, come premio per il profitto, dei suoi discorsi editi da Zanichelli. Ho ancora un tomo dei discorsi scelti da Balbino Giuliano, e le pagine sono ancora da tagliare.

Fra alcuni di noi serpeggiava una certa ostilità al fascismo; ricordo che una mia compagna aveva scritto sotto l’immagine di Mussolini: 'memento quia pulvis es et in pulvere reverteris'; eravamo nel 1939, la guerra era nell’aria e l’avvenire cominciava a spaventarci. Quando Mussolini annunciò l’entrata in guerra dell’Italia al fianco di Hitler, il 10 giugno del ‘40, mi trovavo nel piazzale del paese, di fronte alla casa del fascio, dove era stato montato un altoparlante in modo che tutto il popolo dei maggianelli apprendesse la bella novità: ero sgomenta e inferocita, e mi misi a gridare a voce alta tutto il disprezzo e l’odio che provavo per Mussolini, al quale non importava nulla della sorte di tanti giovani di vent’anni che all’indomani sarebbero partiti per il fronte, compreso Marino! Mio zio Felice era segretario del Fascio a Maggiano e sia lui che altri, sul piazzale, cercarono di zittirmi. Secondo loro era necessario che il popolo si mostrasse entusiasta della guerra! Le donne a casa patire, gli uomini al fronte a rischiare la pelle per la patria! Mi sembravano pazzi. Ero furibonda, soprattutto con lo zio Felice, che era un ragazzo buono come il pane, ma si era lasciato catturare completamente dal regime, una cosa che forse non sarebbe accaduta se mio padre non fosse morto prematuramente.

Voce pubblicata nel: 2019

Ultimo aggiornamento: 2019