Esserci, sapere, ricordare, sopportare, pensare, non perdonare, conservare, trasmettere [...]. 1

Scrivere è una sorta di riconciliazione con me stessa e con il mondo.

Nasce in una famiglia appartenente alla minoranza tatara musulmana, ma non praticante; i genitori sono andati a vivere in Estonia, dove la famiglia materna si era rifugiata durante la guerra, perché il padre, condannato al gulag come “traditore della patria” (tali erano considerati i prigionieri di guerra sovietici), una volta scontata la pena è bandito da Mosca.

Dopo la scuola russa a Tallinn, studia lingua e letteratura norvegese all’Università di Mosca. Qui conosce il suo futuro marito, lo slavista olandese Arthur Langeveld, che sposerà alla fine degli studi. Nel 1989 si trasferisce ad Amsterdam, dove lavora come traduttrice e insegnante di russo.

Nel 1995 comincia a scrivere articoli per le pagine culturali del quotidiano «NRC Handelsblad», prima in russo (tradotti dal marito), poi direttamente in olandese. Dalla forma breve dell’articolo passa a “qualcosa di più grande” e nel 2000 dà alle stampe il suo primo romanzo semiautobiografico, ispirato agli anni degli studi a Mosca: Het Kruis (La croce). Seguono i tre racconti di Vanuit nergens met liefde (Dal nulla con amore, 2002) e, nel 2006, il grande successo di Didar en Faroek, che racconta la storia dei suoi genitori ed è accolto dalla critica come un romanzo epico nel solco della grande tradizione narrativa russa.

Nel 2010, Honderd jaar gezelligheid (Cent’anni di piacevole compagnia) cambia tono e ambientazione e ci porta nella Amsterdam dei giorni nostri con un romanzo critico nei confronti di una società, quella olandese, che ha fatto della dimensione conviviale e socievole una vera ossessione nazionale. È una parentesi che si apre e si chiude, e nella successiva fatica letteraria Sana torna alle sue radici per completare il quadro storico iniziato con Didar en Faroek: Kinderen van Brezjnev (Figli di Brežnev, 2014) raccoglie un nuovo successo di critica. Didar en Faroek ripercorre la vicenda personale e collettiva dell’Unione Sovietica dagli anni del terrore staliniano al principio del secondo dopoguerra, protagonista del nuovo romanzo è la generazione successiva, quella alla quale appartiene l’autrice stessa, in un arco temporale che va dagli anni Sessanta del Novecento ai giorni nostri e oltre, in un futuro indefinito e cupo che somiglia molto al presente. Quest’ultimo romanzo segna una svolta nella parabola artistica e personale di Sana: per la prima volta, infatti, scrive in russo, superando il timore del “giudizio” dei grandi padri della letteratura russa che l’aveva indotta a scegliere l’olandese per i suoi libri. E non solo: sulla scia della pubblicazione in Russia (con il titolo Non ho paura di Barbablù), comincia a ripercorrere le orme di suo padre in un saggio uscito a marzo 2018 sulla rivista letteraria «Granta» (Root and branch), prima fase di un progetto più ampio per un documentario con la regista russo-olandese Aliona van der Horst, che la porterà tra l’altro negli Urali (dove suo padre fu internato in diversi campi) e in Normandia (dove, prigioniero dei tedeschi, lavorò alla costruzione del vallo atlantico). Una nuova immersione nella memoria personale e storica per far conoscere la verità sui prigionieri di guerra sovietici ricostruendo, conservando e trasmettendo un passato recente che già rischia di essere rimosso e cancellato – di cui in Russia, peraltro, si era cominciato a parlare solo nel 1994.

Valiulina scrive in olandese e in russo, ma nessuna delle due è la sua lingua madre in senso stretto. Fino ai sei anni ha parlato il tataro e l’estone, ed è stata sua madre a insegnarle il russo per poterla mandare alla scuola russa. Questa è la lingua in cui Sana ha compiuto gli studi e l’apprendistato letterario, tanto che lei stessa la considera la sua lingua madre. Scrivere in olandese, invece, è stato naturale: “Sono venuta in Olanda a ventiquattro anni, ho iniziato una nuova vita [...] con una nuova lingua, con una nuova cultura. Quindi è stato abbastanza naturale iniziare a scrivere in olandese”, come spiega lei stessa in un’intervista del 2017 al giornale online «lenta.ru». Imparare l’olandese è stata la prima cosa che ha fatto, quando è arrivata ad Amsterdam, perché “la lingua è molto più che solo una lingua. Rende accessibili un paese, gli altri, te stessa”.

A volte non scrivere nella mia lingua madre mi sembra molto grave, ma al tempo stesso mi dà libertà. Sono cresciuta all’ombra dei grandi, se avessi scritto in russo sarei stata paralizzata dalla paura del fallimento.

Ho scritto tutti i romanzi in olandese. Fino all’ultimo, che nell’edizione russa si intitola Non ho paura di Barbablù e in olandese Figli di Brežnev. L’ho scritto prima in russo, poi l’ho tradotto in olandese.

Motiva così questo passaggio: “Per un immigrato, un problema può essere tanto la mancanza di integrazione quanto un’assimilazione troppo veloce. A un certo punto io ho avuto paura di non avere una lingua madre”, di perdere la mia lingua, di finire come una senza lingua”. Una brutta prospettiva per chi, come Sana, ha “sempre cercato la parola”, l’unica che cosa che permette di “sapere che cosa ti sta succedendo”.

Ho dovuto scrivere in russo Non ho paura di Barbablù. È la comprensione del mio passato, è il paese dove sta la mia origine. Io sono una persona che pensa scrivendo: per capire una cosa, ho bisogno di scriverci sopra. Così è stato con questo romanzo. Ho pensato: perché sono ciò che sono? E ho iniziato a capire. Ed era importante pensarci in russo.

Così ha arricchito due letterature, come hanno evidenziato i critici olandesi e russi. I primi hanno a cuore anche l’aspetto linguistico, che non è scontato come per uno scrittore madrelingua: Didar en Faroek “combina l’influenza della tradizione narrativa russa con un olandese vivace e convincente [...] un romanzo di cui la letteratura olandese può andare orgogliosa”; secondo il poeta e giornalista Wim Brands, “con il suo romanzo russo Kinderen van Brezjnev, Sana ha arricchito la letteratura olandese”. Non a caso entrambi i romanzi sono stati candidati a prestigiosi premi letterari nazionali, rispettivamente il Libris e lo Opzij, quest’ultimo promosso dall’omonima rivista femminista e riservato alle donne scrittrici. Il premio è arrivato nel 2017 con lo Jan Hanlo Essayprijs per le riflessioni di Winterse buien, of Ben ik wel geïntegreerd genoeg? (Temporali invernali, ovvero Sono abbastanza integrata?), che raccoglie gli articoli e i saggi pubblicati nel corso degli anni su quotidiani e riviste, e altri inediti.

L’olandese di Sana è una lingua ricca e precisa, di ampio respiro, quasi aulica. Specialmente riguardo a Didar en Faroek, mi sembra che si possa riconoscere in queste parole che Orhan Pamuk scrive su Salman Rushdie: “Come molti autori che non scrivono nella propria, ma nella loro seconda lingua – si pensi a Nabokov, a Cabrera Infante –, anche Rushdie ama i giochi di parole, le rime interne e le assonanze, le parole rare e desuete e i neologismi inventati” 2. E, con tutte le differenze e le necessarie distinzioni, vorrei azzardare un accostamento a Romain Gary, come lei di origine baltica, “uno di quegli scrittori prodigiosi, come Joseph Conrad e Vladimir Nabokov, che sanno servirsi fino alla perfezione di una lingua [il francese] che non è la loro lingua madre” 3, un’altra caratteristica che lo accomuna a Sana.

Mentre all’inizio la lingua olandese, con “la sua sintassi analitica”, è stata la sua salvezza letteraria, che l’ha aiutata a “tenere a freno l’esasperata introspezione russa” e a mantenere uno stile asciutto e concreto, con il recupero del russo nell’ultimo romanzo Sana ha “la sensazione di tornare a casa”: “I nostri genitori ci hanno cresciuto nella letteratura russa e mondiale. E io sono una persona con due culture che cercano di unirsi nei miei libri”.

In ogni caso, le sue radici affondano “nella letteratura russa, è con questa che provo affinità, specialmente con Andrej Platonov [...] il più grande scrittore russo del Novecento”, che racconta “l’essere umano così com’è, con nient’altro che il suo corpo nudo”.

Valiulina scrive su grandi temi come tradimento, desiderio, morte, sui valori eterni, dell’amore e dell’amicizia. Al centro c’è sempre l’essere umano, con le sue debolezze e la sua gloria, l’individuo che si sforza di rimanere in piedi di fronte alla forza soverchiante della Storia. L’esplorazione di questa interazione, della reciproca influenza tra l’essere umano e il suo tempo, è iniziata con il romanzo sulla vicenda dei suoi genitori: “la Storia incarnata”, tanto indissolubilmente la loro vita è intrecciata con la storia della Russia. Didar en Faroek è il trionfo dell’umanità:

Faroek si confronta con un sistema che mira alla disumanizzazione, senza essere particolarmente attrezzato: non è particolarmente istruito, non è un dissidente, è puramente istintivo. Rappresenta ciò che chiamo ‘vitalità morale’, l’unica cosa che rimane in un’epoca di annientamento fisico di massa, quando non si può fare altro che cercare di restare umani. Ed è moltissimo.

Quella stessa vitalità morale anima il personaggio del contabile nell’ultima parte di Kinderen van Brezjnev. Anche qui, oltre a temi come “l’eterno ritorno dell’impero come male inestirpabile [...] la bestialità dell’essere umano e l’indistruttibile volgarità sovietica” 4, troviamo ancora una volta “esseri umani sotto pressione che devono scegliere tra la lealtà e il tradimento”.

Note


1 Sana Valiulina, Didar e Faruk, p. 426.
2 Altri colori, trad. G. Bellingeri e Ş. Gezgin, Einaudi 2008.
3 Jan Brokken, Anime baltiche, trad. C. Cozzi e C. Di Palermo, Iperborea 2014.
4 Nikolai Aleksandrov, «lenta.ru».

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Sana Valiulina

Le parole di Sana Valiulina riportate tra virgolette nel testo sono tratte da diverse interviste rilasciate alla stampa e televisione olandese e russa in occasione dell’uscita dei suoi libri.

OPERE

Het kruis, 2000

Vanuit nergens met liefde, 2002

Didar en Faroek, 2006; tradotto in tedesco da Ilja Braun, 2007. Tradotto anche in italiano per Rizzoli/Sonzogno, ma non portato in libreria

Honderd jaar gezelligheid, 2010

Kinderen van Brezjnev, 2014; versione russa: Ne boius Sinei Borody (Non ho paura di Barbablù), 2017; uscita (luglio 2018) la versione estone

Winterse buien of ben ik wel geïntegreerd genoeg, 2016

Root and branch (trad. Polly Gannon), in «Granta» (Essay & Memoir), 143, 3 marzo 2018

www.letterenfonds.nl/nl/schrijver/328/sana-valiulina

Wij maken ons genoeg illusies, intervista di Marja Pruis, «De groene Amsterdammer», 13 luglio 2002 (https://www.groene.nl/artikel/we-maken-ons-genoeg-illusies)

Don’t take reality lying down, intervista di Elsbeth Etty, «NRC Handelsblad», 12 maggio 2006, trad. Barbara Backer-Grayn (http://www.letterenfonds.nl/images/dossier/Valiulina_DidarFaroek_screen.pdf)

Heimwee is niet genoeg voor een boek, intervista di Jeroen Vullings, «Vrij Nederland», 14 luglio 2007 (https://www.vn.nl/sana-valiulina-heimwee-is-niet-genoeg-reden-voor-een-boek/)

Marja Pruis, Ik wil dat de hele wereld dit weet, «De Groene Amsterdammer», 12 maggio 2006, n. 19

Hans Boland, Maar het goede overwint toch, «Trouw», 13 maggio 2006

Joost de Vries, Onstuimig enthousiast, «De Groene Amsterdammer», 13 gennaio 2010, n. 2

Rinskje Koelewijn, Angst is goed, «NRC Handelsblad», 2 luglio 2016 (https://www.nrc.nl/nieuws/2016/07/02/angst-is-goed-2993925-a1505184)

Natalia Kochetkova, Nikolai Aleksandrov, «U tebya otopleniye, stiral'naya mashinka – ty takaya schastlivaya». Sana Valiulina o tatarskoy sem'ye, sovetskoy Estonii i sovremennoy Gollandii, «Lenta.ru», 4 agosto 2017 (https://lenta.ru/articles/2017/08/04/boroda/)

https://otr-online.ru/programmy/figura-rechi/sana-valiulina-29311.html, 17 dicembre 2017, conversazione con il critico letterario Nikolai Aleksandrov

All heroes of my books are victims of the Soviet totalitarian system, intervista di Galina Zaynullina, 5 marzo 2018 (https://realnoevremya.com/articles/2240-interview-with-writer-sana-valiulina)

Referenze iconografiche: Sana Vaniulina (foto Otto Snoek).

Voce pubblicata nel: 2019

Ultimo aggiornamento: 2023