Simba è di origini afro-caraibiche; è una foto-reporter, narratrice multimediale e attivista per i diritti umani. Ha vissuto sette anni in strada e mentre imparava l'arte della fotografia da autodidatta, lavorava come pony express e donna delle pulizie.

Il suo primo incarico fu a Timor Est e successivamente documentò questioni sociali nelle Filippine, nella Corea del Sud, negli Stati Uniti, ad Haiti, in Giappone, a Dubai, in Egitto ed infine in Libano.

Simba arrivò in Libano nel novembre del 2006, subito dopo la guerra contro Israele. Inizialmente, priva di risorse finanziarie, andò a lavorare in una eco-farm nelle Chouf Mountains. Senza un soldo e senza contatti, cominciò a leggere e a cimentarsi nella scrittura. Un amico la mise in contatto con l’Inter Press Service (IPS) e un altro, oltre a prestarle del denaro, le procurò alcuni servizi fotografici per conto del Nature Conservation Center for Sustainable Future (IBSAR) presso l’American University di Beirut.

Fu in questo periodo che Russeau conobbe la situazione delle immigrate e si trovò a faccia a faccia con le pesanti condizioni e le quotidiane violazioni dei loro diritti.

Tre anni dopo Russeau costruisce il suo blog Witnessing Life dove racconta le loro storie. Quella di Amina, per esempio, originaria del Congo. Per quattro anni, Amina è rimasta confinata nell'appartamento dei suoi datori di lavoro, potendo uscire solo per buttare la spazzatura, costretta a lavorare senza pause per 18 ore al giorno e trattata come una schiava.

Amina è solo una delle 200.000 collaboratrici domestiche – occupazione che le donne arabe considerano degradante - presenti in Libano, in gran parte originarie dell'Africa, delle Filippine e dello Sri Lanka.

All'arrivo in Libano, il datore di lavoro confisca alla propria collaboratrice domestica il passaporto e altri documenti d’identità, che le vengono restituiti solo al momento del “rilascio” al termine del contratto. Tale provvedimento è visto dai libanesi come una garanzia sul loro investimento; le collaboratrici domestiche non rientrano in nessuna delle categorie di lavoratori e non sono protette dalle leggi vigenti nel paese. Sono a tutti gli effetti considerate serve.

I primi tempi del soggiorno in Libano sono difficili per Russeau, continuamente fermata dalla polizia e malvista persino nei locali pubblici. Si rende tuttavia conto che molti dei problemi scaturiscono da incomprensioni e differenze di cultura, abitudini e lingua; arriva alla conclusione che una delle strade più efficaci per favorire l’integrazione sia il ricorso ai linguaggi universali del cibo, della musica e dell'arte. Anziché urlare “razzismo” e protestare contro le continue discriminazioni, decide così di organizzare dei momenti chiamati“Taste Culture” cui partecipano donne africane e asiatiche che, con la preparazione e la vendita di piatti tipici della loro cucina danno voce alla loro cultura, potendone anche ricavare un guadagno. Taste Culture contribuisce a creare situazioni positive e un’atmosfera rilassata, nella quale si attutiscono gli stereotipi e i pregiudizi verso gli immigrati. Con questa ed altre iniziative culturali da lei organizzati (concerti, dibattiti e mostre), Russeau spera di instaurare un dialogo durevole con i libanesi, ed è grazie al lavoro suo e di altri come lei, che i temi dell'immigrazione, dei profughi e del razzismo stanno attirando una crescente attenzione da parte delle organizzazioni non governative così come dei media libanesi.

Russeau ha tenuto conferenze nelle università libanesi sui temi del razzismo e della discriminazione. Ha inoltre condotto numerosi workshop con bambini di strada, ex-carcerati, figli di immigrati e rifugiati sull’uso della fotografia e dell’intervista come strumento di rafforzamento delle minoranze per affrontare le tematiche del razzismo, della povertà, dei pregiudizi e della pace. Per il coraggio e l’impegno sociale nel denunciare questa situazione inaccettabile Russeau subisce costantemente pressioni dalla polizia e dal governo, è accusata di spionaggio e da più di due anni le è stato confiscato il passaporto.

I suoi lavori sono stati pubblicati da «World Enviromental Magazine», «Rolling Stone», «Sowar Magazine», «Le Monde», «Internazionale», «the Guardian Weekly», «Interpress Service» e «Irin News Agency». Come operatrice cinematografica ha lavorato per la BBC, l'attore Tim Robbins ed il regista indipendente John Alpert.

Le sue foto e i suoi articoli sono comparsi nelle mostre online di Global Reporting Initiative e dell'International Museum of Women. Di recente è entrata nella rosa dei trenta giornalisti candidati al Every Human Has Rights Media Award.

[continua...]

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2019