Quando nel 1890 Voltairine de Cleyre tenne la sua conferenza, Sex Slavery, La schiavitù del sesso (femminile, ovvio), davanti all’affollata platea della Philadelphia’s Unity Congregation aveva 24 anni. La sua domanda si levava come un grido:

"Che le donne si chiedano: perché sono schiava degli uomini? Perché dicono che il mio cervello non è pari al loro? Perché non ottengo la loro stessa paga?".

L’anarchica statunitense, nata a Leslie, nel Michigan, non era certo la sola a porsi il problema della disuguaglianza delle donne negli anni in cui le masse lavoratrici rivendicavano crescenti diritti.

Ma il suo approccio era senz’altro originale. Per due motivi: con grande lungimiranza Voltairine scorgeva l’origine della schiavitù femminile nell’impari contratto matrimoniale, nel quale le donne cedevano tutti i loro diritti, il possesso del loro corpo e la podestà sui figli, in cambio di un “nome” e di un mantenimento, imposto dal divieto di procurarsi altrimenti di che vivere. In secondo luogo, Voltairine non era interessava al voto femminile, attivo e passivo. Questo atteggiamento era in effetti meno originale e accomunò, a sinistra, le anarchiche e, più tardi, diverse comuniste che indicavano nella rivoluzione, e non nella democrazia parlamentare, la fonte dei diritti.

Oggi Voltairine de Cleyre è poco nota, soprattutto in Europa. Eppure, nella sua epoca, fu forse altrettanto famosa di Emma Goldman. E non solo tra i circoli anarchici e progressisti.

Il padre era un artigiano francese emigrato in America. Si sentiva senz’altro illuminato visto il nome che diede alla figlia. In realtà restò deluso alla sua nascita: era convinto che al terzo parto sua moglie Harriet Elizabeth gli avrebbe “dato” un maschio e avrebbe potuto chiamarlo Voltaire. Non proprio congruamente, nel 1880, Hector De Claire spedì la figlia, quando gli fu affidata, in un istituto religioso dell’Ontario.

Voltairine De Cleyre (dal nome americanizzato del padre) aveva allora 14 anni e della sua breve, difficile e tormentata esistenza (sarebbe morta nel 1912), quei tre anni tra le suore rimasero tra i più bui e dolorosi.

Tentò di fuggire, addirittura a nuoto. Ma il padre la rispedì indietro. Ne uscì diplomata con la medaglia d’oro, ma in piena rivolta contro la Chiesa. Avrebbe poi commentato:

"La questione dell’anima è ormai vetusta, rivendichiamo i nostri corpi ora! Siamo stanche delle vostre promesse, Dio è sordo e la sua Chiesa è il nostro peggior nemico. Essa è la forza morale (o immorale) che si nasconde dietro la tirannia dello Stato."

Era anche arrabbiata con il padre, benché le sue idee socialiste l’avrebbero influenzata. Anche la madre veniva da una famiglia anti-schiavista. Nonostante il clima dell’istituto religioso, Voltairine era riuscita ad accumulare un buon bagaglio di studi, frutto soprattutto della sua inesauribile curiosità intellettuale.

Dal 1883, o poco dopo, prese avvio la sua coraggiosa e instancabile esistenza di intellettuale anarchica e paladina dei diritti delle donne, che le sarebbe costata feroci persecuzioni.

Visse sempre sull’orlo della miseria. Nel 1902 fu colpita in modo gravissimo (e per motivi inspiegabili) da un suo seguace ed ex alunno, Herman Helcher, che le sparò a bruciapelo. Lei lo perdonò subito, sostenendo che non si potesse mandare in carcere una persona malata di mente. Le rimasero comunque gravi danni fisici e alla fine morì di meningite settica. Ma soprattutto di stenti.

Nonostante la salute sempre precaria e una situazione economica ancor più delicata, dedicò tutta la vita al riscatto degli ultimi. E delle donne.

Fermamente anarchica, Voltairine sperava in un naturale ritorno a un’agricoltura di sussistenza come quella dei pionieri americani. In questo, il suo progetto socio-economico era fragilissimo. Ma lei era persuasa che, cessato lo stato di necessità, gli uomini non avrebbero commesso più alcun crimine. A tanta ingenuità, si contrapponeva un’analisi della società americana e soprattutto della condizione femminile di grande attualità.

Voltairine sottolineò quanta schiavitù e quanti falsi bisogni creasse il capitalismo e quanto ipocrita fosse la pretesa delle istituzioni di “difendere la libertà” reprimendo tutte le forme di opposizione.

La sua denuncia più vibrante, però, riguardava la schiavitù perenne delle donne e la falsità delle teorie “positiviste” e perfino di alcuni “progressisti” che si andavano sostituendo alle credenze religiose e politiche antiche nel riaffermare la “naturale” inferiorità della donna. Voltairine individuò nel matrimonio una forma di prostituzione e di vendita del proprio corpo e della propria mente in cambio di un “mantenimento” che le donne avrebbero potuto procurarsi da sole. Denunciò in modo chiaro le trappole della presunta “onorabilità”, l’assurdità di leggi che privavano le madri di tutti i diritti sui figli e le mogli di qualsiasi diritto su se stesse. Sosteneva la “libertà della maternità” e la “libertà dell’amore” e rivendicava per tutte le donne gli stessi diritti umani e civili degli uomini.

In particolare evidenziò che soltanto una maternità consapevole avrebbe limitato l’alta mortalità infantile e che quindi denunciò l’idea secondo la quale, se le donne avessero potuto lavorare, le nazioni sarebbero scomparse era pura ipocrisia: le donne autonome avrebbero fatto meno figli, ma li avrebbero fatti sopravvivere.

Come abbiamo accennato, non rivendicava però il diritto di voto: nel suo mondo ideale, nessuno avrebbe delegato a qualcun altro il diritto di decidere per sé. Credeva invece, fermamente, nella cultura come strumento di riscatto dai pregiudizi, come mezzo fondamentale per uscire dalla miseria e dalla sottomissione. Voltairine sapeva che gli uomini, di loro iniziativa, non avrebbero mai concesso la libertà alle donne. Era alle donne che toccava rivendicarla e pretenderla:

"Non c’è rifugio sulla Terra per il sesso schiavizzato. Al punto in cui siamo, qui dobbiamo scavare le nostre trincee, e vincere o morire",

scrisse in Sex Slavery. Un fronte di donne autonomo, pugnace, ma non cruento, perché Voltairine era anche una convinta sostenitrice della non violenza.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Voltairine de Cleyre

Lorenzo Molfese (a cura di), Voltairine De Cleyre. Un’anarchica americana, Elèuthera, 2017

Valeria Palumbo, Piuttosto m’affogherei. Storia vertiginosa delle zitelle, Enciclopedia delle donne, 2018

Lorenzo Pezzica, Le magnifiche ribelli 1917-1921, Elèuthera, 2017

Eugenia DeLamotte, Refashioning the Mind: The Revolutionary Rhetoric of Voltairine de Cleyre, Legacy, Vol. 20, No. 1/2, Special 20th Anniversary Double Issue (2003), pp. 153-174, University of Nebraska Press

Catherine Helen Palczewski, Voltairine de Cleyre: Sexual Slavery and Sexual Pleasure in the Nineteenth Century, NWSA Journal, Vol. 7, No. 3 (Autumn, 1995), pp. 54-68, The Johns Hopkins University Press

Margaret S. Marsh, The Anarchist-Feminist Response to the "Woman Question" in Late Nineteenth-Century America, American Quarterly, Vol. 30, No. 4 (Autumn, 1978), pp. 533-547, The Johns Hopkins University Press

Referenze iconografiche: Voltairine de Cleyre, 1900 circa. Autore: Kuebler of 1210 Chestnut Street, Philadelphia, Pennsylvania. Fonte: http://anarcoefemerides.balearweb.net/. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2020

Ultimo aggiornamento: 2023