I lavori tessili di questa artista e attivista sono molto richiesti, ma non abbiamo ancora dati precisi circa il suo giorno di nascita. Nel novembre 2023 si è presentata così a chi la intervistava:

“Donna indigena del popolo Gunadule-kuna o Tule, vengo dal comune di Necoclí, zona di Urabá, comunità di Caiman Nuevo, la mia competenza è nella produzione del tessuto chiamato molas, un tessuto ancestrale della nostra cultura”.


In origine le popolazioni Guna (Kuna fino al 2010 in base ad una trascrizione ora accantonata) erano organizzate in città–stato; oggi vivono in territori di piccola estensione, soprattutto nello Stato di Panama (isole di San Blas) e in minima parte in Colombia; in molti villaggi manca ancora la fornitura di energia elettrica. Secondo la cosmogonia GunaDule, la Terra sarebbe nata dall’incontro fra il principio femminile e quello maschile, energie complementari che si riflettono in ogni dualismo: notte e giorno, acqua e fuoco, suono e silenzio.

Nella società GunaDule sono le donne a scegliere il proprio compagno, che va a vivere nella casa del suocero; la discendenza è matrilineare: quando il padre di lei scompare, è la figlia maggiore a ereditare la casa e le altre famiglie che vivono nel nucleo dovranno separarsi per organizzare la loro nuova casa. La vita delle donne ruota intorno al canto e alla tessitura: si canta per loro quando sono incinte, al momento del parto, durante le principali cerimonie dell’esistenza. Dopo il parto il cordone ombelicale viene sepolto per favorire la connessione del neonato con la terra e le piante medicinali; nella “festa dell’ago”, ad un anno circa dalla nascita, il naso della bambina viene forato per inserire un anellino d’oro che l’accompagnerà per tutta la vita; verso i tre anni la piccola comincia a maneggiare filo, ago e telaio; con l’arrivo della prima mestruazione viene istruita sull’età adulta stando in uno spazio speciale, circondata da canti e profumi: qui l’adolescente consuma una dieta particolare per circa otto giorni, si sottopone al taglio dei capelli e si decora con una sorta di henné; dopo alcuni anni viene ammessa a tutte le attività comunitarie attraverso una grande festa. Dalle bambine alle più anziane, tutte le donne GunaDule vestono abiti decorati con le molas, che interpretano il pensiero mitico e i saperi di questo popolo.

“Fin da piccoli impariamo a conoscere il mestiere come parte fondamentale delle nostre tradizioni, con questa tecnica raccontiamo la nostra legge d'origine e i cambiamenti che la cultura ha avuto nella storia”.


In America Centrale l’arte che produce le molas costituisce il cardine di un movimento che si batte per restituire dignità alla cultura GunaDule, che le continue colonizzazioni hanno tentato di spodestare e far scomparire. Si tratta di una cultura fondamentalmente comunitaria, all’interno della quale è piuttosto difficile isolare qualche protagonista specifica, ma due figure sono state oggetto di un rinnovato interesse da parte dei media, le tessitrici Gloria Esperanza Martínez (area panamense) e Amelicia Santacruz (area colombiana). Per quanto possa sembrare arbitraria la scelta di isolarne qui una in particolare, questa identificazione sembra comunque opportuna per evitare che le differenti personalità restino annebbiate in un panorama indistinto, sia pure solidale.

Amelicia Santacruz Alvarez è cresciuta in un villaggio GunaDule lungo la costa della Colombia. Terza di cinque figli, da piccola incontrava il biasimo di molti conterranei per il suo desiderio di frequentare la scuola e studiare; tuttavia è stata la prima della tribù a laurearsi, conseguendo poi anche un Master in Educazione; nel contempo ha vissuto la fase della lotta identitaria tra i gruppi indigeni della sua regione, i quali hanno ottenuto dallo Stato il riconoscimento di numerosi diritti, migliorando le condizioni di vita di una comunità che è passata dalle 8mila persone di una quarantina di anni fa oltre 40mila. Attualmente Amelicia è rappresentante legale dei cinque popoli che costituiscono l’OIA (Organizzazione Indigena del dipartimento di Antiochia), e come tale si impegna a valorizzare l'importante ruolo che le donne indigene svolgono nei processi organizzativi delle popolazioni: esse sono protagoniste nel perseguire la tutela delle bambine e dei bambini, dei territori, dell’acqua, dei luoghi sacri e della vita nel suo complesso, praticando la convivenza pacifica.

Ma ad Amelicia l’attività nei centri della rappresentanza non è sembrata sufficiente: l’esperienza l’ha convinta del fatto che solo il ritorno alle proprie origini, fra le anziane della tribù, avrebbe completato la sua formazione e reso più efficace l’azione politica. Nella sua comunità Amelicia ha ritrovato senso e appartenenza, imparando dalle donne più sagge e studiando le molas: queste sono descritte da lei (che oggi si dedica anche via web a spiegarne il processo elaborativo) come una vera e propria biblioteca di testi che svolgono la funzione di memoria collettiva, dove oltre 1.500 simboli trasmettono tradizioni e storie di vita.


“I motivi geometrici comunicano energia, suggerendo le direzioni cardinali della terra e il percorso unico di ogni persona. Portano con sé tutta la nostra storia, i nostri valori, la nostra identità. Se ci portassero via le nostre molas sarebbe come bruciare la nostra biblioteca. Ecco come scriviamo”.

Le molas sono manufatti tessili multicolori che misurano circa 30 X 40 centimetri. Ogni blusa presenta una mola cucita sul davanti e una sul retro, eseguite con la tecnica dell’appliqué inverso: strati di stoffe di differente colore vengono sovrapposti, quindi si comincia dall’ultimo a ritagliare e orlare il tessuto secondo forme che lasciano apparire il colore sottostante; all’interno di queste aperture si prosegue a incidere gli strati successivi, talvolta inserendo altri ritagli e fissandoli con l’ago, fino a comporre il motivo decorativo scelto.

Nell’insieme risultano forme e geometrie che si aprono l’una sull’altra. Si tratta quindi di veri e propri libri cuciti, che possono essere distinti in due tipologie fondamentali: quelli destinati alla protezione simbolica, con forme più astratte, e quelli che narrano la vita quotidiana, con figurazioni più realistiche.


“I disegni de las molas de protección sono una forma di scrittura GunaDule, con un nome e un canto associato a pratiche di cura fisica e spirituale. Questa scrittura insegna il modo corretto di vivere”.

Molti disegni derivano dalla tradizione dei tatuaggi, anch’essa appannaggio femminile. Altre molas sono ispirate alla natura, anche se assumono andamenti stilizzati. Possono esservi rappresentate vicende di tutti i giorni, anche con spunti umoristici. Alcune scene descrivono rituali comunitari, miti e leggende Guna, ma dopo la diffusione del Cristianesimo sono comparsi anche motivi biblici; con la modernità si sono aggiunti perfino soggetti del mondo globalizzato, come Babbo Natale o personaggi dei cartoni animati.

La blusa può essere confezionata sia a mano che a macchina, mentre la mola è sempre solo cucita a mano. Se la blusa si consuma, la mola verrà riutilizzata su un nuovo capo, oppure venduta da sola o nell’appaiamento originario. Infatti le molas riscuotono molto successo tra i turisti e grazie a questo è nato un commercio utile all’indipendenza finanziaria delle donne GunaDule.

Tra le indigene di queste comunità l’amore per la geometria si manifesta in molti modi: decorando gambe e braccia con un fitto giro di fili colorati e perline, oppure sottolineando la simmetria del volto, per esempio attraverso una linea nera tracciata lungo il profilo del naso; a questo scopo si usa la jagua, una pianta della foresta che tinge la pelle. È forse l’ultima manifestazione delle pitture che in altri tempi ricoprivano il corpo dei GunaDule, e che hanno probabilmente ispirato il disegno delle prime molas: esse nacquero a metà del XIX secolo con l’arrivo degli europei e dei missionari, che favorirono la trasposizione su tessuto dei motivi tatuati. Nei primi anni del secolo successivo le autorità tentarono di vietare anche altri usi tradizionali, causando una rivolta che ottenne l’autonomia degli indiani Guna, ratificata nel 2002 con la legge del Regime Speciale di Proprietà Intellettuale, riguardante i diritti collettivi dei popoli indigeni.

Oggi le donne che studiano o lavorano in città vestono all’occidentale, ma una volta rientrate sulla loro isola riprendono il proprio costume tradizionale, vissuto come un legame con gli spiriti delle origini.

Nonostante si tratti di esemplari unici, le molas risultano accomunate dalla vivacità del colore e dalla quantità dei simboli. La fitta decorazione e la ricerca di equilibrio esprimono il desiderio collettivo di coesione ed armonia. Il linguaggio insiste sulla simmetria e sull’organizzazione labirintica dello spazio, come labirintico è spesso il pensiero umano; la densità dei disegni rispecchia il modo in cui nella vita umana gli eventi si susseguono incessantemente, ma si collega per diversi aspetti anche all’arte contemporanea. Nelle sue apparizioni pubbliche Amelicia spiega in particolare il concetto dei “semi della vita” che accomuna il valore dato alla gravidanza, alla nascita e ai diversi processi di cura, accompagnati da erbe medicinali e del canto, secondo rituali di guarigione e di equilibrio.

Si narra che un tempo i sistemi d’esecuzione e i motivi delle molas fossero custoditi in luoghi sacri e misteriosi, finché una profetessa GunaDule non ottenne l’accesso a questi segreti e decise di tramandarli alle proprie figlie.

L’apprendimento deve rispettare modalità rigorose: il silenzio, l’ascolto, l’osservazione; tutto avviene attorno al fuoco. I colori privilegiati sono il nero e il rosso cupo, per ricordare il ventre materno dove hanno origine anche i primi suoni percepiti dall’essere. La prima forma insegnata alla bambina non è figurativa ma concettuale: si tratta della spirale perché tutto nasce con questa forma, che viene ripetuta anche nella disposizione delle persone presenti durante i rituali.


"Ognuno di noi ha il proprio percorso a spirale da percorrere, ma tutti i nostri percorsi ci portano a casa, a chi siamo veramente, a come apparteniamo tutti a questo fragile pianeta".


Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024