Io dipingo per istinto e dipingo per passione, e per ira e per violenza e per tristezza, e per un certo feticismo, e per gioia e malinconia insieme, e per rabbia specialmente.

Olga Carolina Rama nasce, vive e muore a Torino, per quasi un secolo nella città famosa prima come Capitale del Regno d'Italia, poi come città della FIAT, poi come "capofila delle lotte operaie", infine come "meta turistica del terzo millennio" (per aver ospitato le Olimpiadi Invernali del 2006); in ultimo, centro di quel dissenso resistente e di quella controcultura qui mantengono ancora grande capacità aggregatrice. Per non parlare della presenza viva e integrata del mondo islamico.
Secondo il musicologo Massimo Mila, torinese e amico della pittrice: È noto che Torino, la più regolare, la più pignola, la più svizzera città d'Italia, produca ogni tanto dei matti che più matti non ne esistono in tutto il mondo. [...] In questa razza di matti subalpini spetta un posto d'onore alla pittrice Carol Rama

Olga Carolina, diventata in arte Carol, fu infatti un tutt'uno con Torino e come Torino cambiò pelle più e più volte restando sempre se stessa; così come fu tutt'uno con il percorso accidentato dell'arte italiana del Novecento. Cambiare pelle come fanno i serpenti: l'immagine del serpente non è azzardata parlando di lei, perché nei famosi acquerelli degli anni ‘30- ’40 le immagini femminili deformate, arrossate e guizzanti di serpentelli-lingua o serpentelli-pene o serpentelli-cacca popolano la sua pittura in maniera provocatoria e provocante, scandalizzando le 'madamine' dei salotti della Torino 'bene' di cui prima faceva comunque parte, ma dai quali, dopo la rovina economica della famiglia, sarebbe stata tenuta a distanza.

Olga Carolina Rama nasce in una famiglia borghese, guidata da un padre industriale che ha una fabbrica di ruote e pneumatici la cui floridezza è garantita dal nascente mercato dell'automobile.
Madre e padre, Marta e Amabile, lui originario di Burolo (paesino tra Torino e Biella), lei del vercellese, dal 1911 al 1917 vivono a Buenos Aires, (ai tempi mèta molto ambita sia da chi voleva fare fortuna, sia da chi fuggiva dalla miseria); tornati a Torino verso la fine della guerra, mettono al mondo la loro terza figlia Olga Carolina.
La piccola mostra fin da subito una personalità forte e bizzarra, scorrazza per la campagna biellese durante le vacanze, si lascia attaccare le sanguisughe sulle gambe per rivenderle al farmacista del paese, pasticcia con la terra e bazzica spesso nelle officine del padre a curiosare tra attrezzi e strani macchinari. Ha bisogno di mettere le mani ovunque e di frugare il mondo con gli occhi, quegli occhi che saranno, anche in senso materico, una presenza costante nei suoi lavori futuri.

Il suo primo contatto con la pittura avviene quando, bambina, si presta come modella alla pittrice Gemma Vercelli che occupa un atelier nella stessa strada della fabbrica di Amabile. In quello studio il mondo dei colori e dei segni irretisce irrimediabilmente la piccola Rama, lì dentro ruba i rudimenti del disegno e della pittura: in quell'atelier diventa Carol Rama o Carolrama tutto attaccato, come amava firmare i suoi quadri.
Come lei stessa racconta, il suo percorso d'artista inizia a tredici anni; disegna ogni cosa le capiti a tiro; ritrae le spalle, i piedi e le gambe delle amiche e delle compagne di scuola, le scarpe della madre, le protesi di braccia e gambe (di cui il padre fabbricava anche i prototipi), la dentiera della nonna Carolina, i pissoir e tutti i più strani – e scabrosi – oggetti che vedeva in giro.
"...dipingere per me era una cosa che mi dava il capogiro..." dirà Carol in un'intervista.

Gli oggetti e i corpi. Mai i paesaggi o il mondo esterno. La natura non attrae il suo sguardo d'artista, la sua pittura è rigorosamente pittura da studio, e questo l'allinea alle tendenze novecentesche che si allontanano sempre più dalla pittura en-plein-air rifugiandosi in spazi mentali.
La Carol matura ammetterà di detestare la natura e gli spazi aperti, tanto che nella mansarda-studio di via Napione (diventata oggi un museo), dove si gode di una magnifica vista sul Po e sulle Colline, appenderà pesanti tendaggi neri per non goderne e impedire anzi alla luce esterna di entrare.

La sua formazione artistica avviene in totale autonomia e, per scelta o per caso, resterà sempre un'autodidatta, anche se da giovanissima avrà come 'tutori' nientemeno che Felice Casorati, Maestro incontrastato del mondo artistico torinese e la moglie Daphne Maugham, pittrice anch'essa, che la sosterranno e la spingeranno a continuare.
"Sei ignorante, non hai studiato, ma hai talento" le diceva Casorati, permettendole intanto di respirare l'odore non solo della pittura fresca, ma anche quello di un giro di intellettuali e pittori, dai quali la giovane Carol assorbirà parecchio.

In realtà Carol ci prova a entrare nel mondo dell'arte dalla porta principale, chiedendo l'ammissione all'Accademia Albertina, ma non verrà ammessa: la sua, ovvia, grande delusione non basterà però a fermarla, anche se la sua esistenza privilegiata è nel frattempo finita. Infatti la crisi del 1929 ha travolto anche Amabile, la sua fabbrica e i suoi progetti; la famiglia Rama perderà lo status di famiglia 'bene' iniziando a vivere in una “povertà aristocratica”; il padre poco a poco cadrà in una zona d'ombra che lo porterà a una morte violenta; la madre, dopo una forte depressione che la costringerà a una lunga degenza in ospedale, si reinventerà come pellicciaia e modista; fratello e sorella poco alla volta lasceranno Torino per tornare in Argentina.

Ma Carol, nonostante la povertà, resta a legata a Torino, non cambia strada, non smette di dipingere, non si butta in un matrimonio d'interesse; non lavorerà mai, se non al tavolo da disegno, vivendo sempre un po' al di sopra delle sue possibilità (da qui la bassa considerazione che godeva nei salotti), barattando a volte i propri lavori in cambio di cene, anche accettando, col tempo, il mecenatismo di un paio di ricche famiglie, vivendo in dignitosa semplicità.

I suoi primi lavori da adulta, negli Anni Trenta, dicevamo, sono acquerelli di atmosfera memori di certe atmosfere fauve o espressioniste, in cui la linea contorta s'impone sul colore sfumato e gareggia in provocazione con il rosso vivo di lingue, vulve, labbra, corpi di donna in pose impudiche che ricordano Schiele.
"A ogni tempo la sua arte, a ogni arte la sua libertà"
era il motto della Secessione Viennese, movimento che a cavallo tra due secoli aveva contribuito a liberare l'arte dal soffocante accademismo in cui versava da tempo. E proprio tra Schiele e il suo maestro Klimt sembrano posizionarsi quelle donne che, pur discinte e scomposte, portano tutte sul capo coroncine di fiori e rami intrecciati (unica concessione nei lavori di Carol alla natura) quasi trasformate in martiri dell'era moderna: molte di quelle donne infatti sono i ritratti delle degenti del reparto femminile di quell'ospedale (in realtà un manicomio) dove la madre venne ricoverata. Sdraiate o legate ai letti, abbandonate su sedie a rotelle, acciambellate sul pavimento, mutilate e discinte, queste donne attraggono l'attenzione della giovane pittrice in quanto, sebbene legate con cinghie, le appaiono libere nella loro fisicità e prive di costrizioni morali.
In quel periodo anche l'ospedale catalizza la sua visione d'artista: alambicchi, bacinelle, dentiere volanti, forme di piedi e di gambe, fluttuanti sulla pagina, liberi nello spazio.

Certo la pittura di Carol Rama non era, e non sarà mai, pittura da salotto, semmai punto d'incontro di visioni surreali e realtà distorte volte a rinnovare e ribaltare ogni volta il gesto artistico, e proprio per questo la sua fortuna e i riconoscimenti avverranno quando l'Italia si libererà degli stereotipi del bello e del reale.
"Carol elabora i linguaggi protagonisti delle varie epoche" (A.Bonito Oliva) e li fa suoi, li rielabora al buio del suo studio torinese: da Schiele a Kandinskij, da Casorati a Klee, dal ready-made ai bricolage con gli occhi di vetro e le camere d'aria del secondo Novecento.

Per ogni artista lo spazio in cui lavora e crea è anche il luogo in cui si identifica: per Carol quella casa-studio è stata qualcosa di più; già museo mentre ci viveva, spazio con le tende nere come in una camera oscura o come sul palcoscenico di un teatro, luogo dove il vivere quotidiano, il lavoro artistico e il confronto con gli amici si mischiano senza soluzione di continuità, dove ogni oggetto ha sempre un preciso valore affettivo, una propria storia e una collocazione precisa quasi a comporre la scenografia di uno spettacolo che è la vita.

Carol ha tante personalità che si intrecciano, che emergono con lo scorrere del tempo e prendono consapevolezza di se stesse poco alla volta: prima di tutto c'è il bisogno viscerale di dipingere, il riconoscere dell'irrazionalità del fare artistico, solo dopo viene la consapevolezza della propria poetica; lei non è un'intellettuale, anche se la sua curiosità nei confronti del mondo culturale e di quello reale è immensa, onnivora. Carol legge tutto, si informa di tutto, vuole sapere tutto, anche se è chiusa nel suo studio non è fuori dal mondo.

Carol va spesso al cinema, ama il teatro. E la teatralità è un'altra caratteristica importante nell'esistenza dell'artista; se da un lato pare un'autodidatta emarginata, dall'altro si 'esibisce' perennemente con atteggiamenti provocatori, da 'strega urbana', sia nel pubblico, che nel privato, ben consapevole di aver costruito nel tempo il personaggio di "un capitano di ventura dell'arte" (A.Bonito Oliva). Solitaria, ma anche salottiera; riceveva gli amici nel suo studio-mansarda costringendoli a 'pagare il pegno', giocoso, ma inevitabile, di lasciare le impronte dei piedi sulla carta per la sua collezione; usciva di sera e andava a cantare jazz nella Birreria Boringhieri giocando a fare la Édith Piaf. Poi di notte lavorava.

Aderì per un periodo al MAC, Movimento Arte Concreta fondato nel 1948 da artisti come Soldati, Munari, Dorfles, Sottsass, per dare impulso all'arte astratta in opposizione al figurativismo; ma non durò a lungo: le presenze femminili nell'arte erano ancora mal digerite, soprattutto se 'rompicoglioni' come lei.

Il lavoro, la pittura, per me, è sempre stata una cosa che mi permetteva poi di sentirmi meno infelice, meno povera, meno bruttina, e anche meno ignorante…
Dichiarò di avere sempre avuto un pessimo rapporto sia con gli uomini che con le donne.
Ci sono stati grandi amici, sì, come il poeta Edoardo Sanguineti, il suo gallerista Anselmino, il tutore Casorati, gli incontri con Man Ray, Picasso, Andy Warhol, perfino un eterno fidanzato di gioventù mai diventato marito, ma mai un compagno dietro cui posizionarsi.

Nemmeno si può si può dire che sia stata femminista, che abbia avuto affinità o complicità con le altre pittrici; le amicizie con i pittori citati erano perlopiù conoscenze della maturità, brevi confronti; Carol è individualista, non ama gli altri pittori, inutile negarlo: l'unica che dichiarerà di stimare è Meret Oppenheim, la surrealista tedesca che, come lei, riusci ad emergere in un movimento di maschi, anche senza essere moglie di nessuno e con la quale ebbe in comune l'attrazione feticista per le scarpe. E poi Louise Bourgeois, con la quale condivise esposizioni, affinità creative e longevità.
La longevità, appunto.

Sono incazzata perché mi hanno scoperta da vecchia
Anche questa è una cosa che rende unica Carol, il fatto di essere diventata una figura di riferimento per i giovani artisti a un'età abbastanza avanzata e di esserlo rimasta fino alla fine. Ma non appariva certo come la vecchia nonnina buona che disegna acquerelli, piuttosto una strega punk e sboccata che gareggiava in stramberie con i più giovani, scarabocchiava alla maniera dei graffitari su pagine di libri e di volantini pubblicitari. Carol è un omaggio vivente alla vecchiaia indomita e alla creatività senza limiti anagrafici.

Dopo anni di gavetta e di semi-miseria, ma di dedizione assoluta e ostinata alla propria arte, ottiene la massima consacrazione ufficiale grazie ad un riconoscimento di valore internazionale come il Leone d'Oro alla carriera alla Biennale di Venezia del 2003. È la svolta dopo un lungo percorso.
La prima esposizione dei suoi lavori è stata alla Galleria Faber di Torino nel 1945; nel '48 la prima partecipazione alla Biennale; negli anni a venire resta a Torino, poi poco a poco espone a Roma, nel 1980 viene inserita da Lea Vergine nella grande esposizione "L'altra metà dell'avanguardia" (mostra che segna un punto di svolta nella consapevolezza dell'esistenza di artiste femmine nei movimenti pittorici del Novecento); nel 1993 torna alla Biennale con una sala dedicata; nel 1998 un'antologica allo Stedelijk Museum di Amsterdam la consacra a livello internazionale.

Il primo lavoro di Carol è datato 1936, l'ultimo 2005: settanta anni di creatività, settant'anni di storia dell'arte vissuta prima ai margini poi in groppa a un Leone e sempre con l'aria beffarda di chi 'se ne fa un baffo'.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Carol Rama

Lea Vergine - L'altra metà dell'avanguardia - 2005 Il Saggiatore

A. Bonito Oliva - Dal presente al passato 1994-1936 – 1994 Bocca Editore

C. Mundici/B. Ghiotti Carol Rama. Il magazzino dell'anima-Skira 2014

L. Vergine (a cura di) - Carola Rama – Mazzotta 1985

P. Fossati (a cura) Carol Rama catalogo – 1989 Allemandi

E. Sanguineti Carolrama. Luogo e segni- 1976 Galleria Anselmino

M. Vallora Carolrama (catalogo) – 1998 Masoero Edizioni

Videografia:

"Torino. Una donna"- Regia di Edmo Fenoglio 1982


Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2024