La sua è una famiglia numerosa: due sorelle e sei fratelli, di cui solo uno è ancora a Guayaquil, con la madre e il padre. Gli altri l’hanno raggiunta a Milano, uno dopo l’altro.
Claribel in Ecuador ha studiato contabilità e lavorato come impiegata. La sua amica Gloria parte per l’Italia. Claribel rimanda. I suoi per aiutarla chiedono un prestito alla banca, ma dubitano che parta davvero: a 26 anni Claribel non era come la vedo oggi, rapida, sicura, vivace, ma piuttosto fragile e soggetta a buscarsi influenze e piccoli malanni. Una persona da proteggere.
Al costo del biglietto si aggiunge una “tangente” mascherata da lasciapassare: il corrispettivo di 8.000 euro dato in contante a una “garante” svanita all’aeroporto di Guayaquil. A parte questo imbroglio Claribel parte fiduciosa; la sua amica l’aspetta a Milano e, le ha detto tante volte al telefono, potrà ospitarla in attesa che si sistemi. A pochi giorni dal suo arrivo, però, Gloria è già insofferente. Claribel per non disturbare vaga tutto il giorno, spaesata, delusa, senza sapere una parola di italiano. In piazza Duomo incontra altri ecuadoreni, più donne che uomini, che hanno tutti lo stesso problema. Così decidono di dormire insieme, sopra lo scalone dell’Arengario, proprio di fianco alla cattedrale, riparati dalla vista dei passanti. Per non dare troppo nell’occhio chiacchierano fino a tardi, poi sistemano lì i loro cartoni per svegliarsi all’alba. Scherzano un po’: «questo è il tuo letto, questo il mio, non me lo toccare che il mio è più morbido…».
Claribel racconta che in quegli anni (siamo nel 1997) in piazza Duomo si cerca e si offre lavoro: filippini, ecuadoreni e peruviani, ciascun gruppo in un punto diverso della piazza. Lì “compra” la sua prima occasione: le viene venduta per 500 mila lire da una sua connazionale, Margarita. Va a colloquio con una signora che ha bisogno di assistenza per sua madre. Si piacciono. «Vieni lunedì», le dice. Però il lunedì ci trova un’altra ragazza, che ha già pagato Margarita. La cosa poi s’aggiusta e Claribel oltre al lavoro trova anche aiuto e protezione presso Rosa, anche lei ecuadorena allora 40enne, che assiste un’altra donna anziana e sola. Aspettano che la signora vada a dormire, e di nascosto Rosa lascia entrare Claribel che può dormire, lavarsi, mangiare.
D’estate Claribel è libera, perché madre e figlia partono per quattro mesi di vacanza. Quattro mesi con un solo stipendio. Cerca altri impieghi: deve guadagnare non solo per se stessa, ma per estinguere il debito dei genitori verso la banca. Nei molti momenti di sconforto, è questo argomento a trattenerla dal ritornare a casa. Momenti e disavventure. Un egiziano recluta per un lavoro lei e un’amica, ma le porta in un albergo di Portofino in macchina, con ben altre intenzioni: per fortuna c’è anche Rosa a proteggerla e a difenderla. Fra i brutti ricordi anche il disagio di una convivenza con alcune prostitute che lavoravano in casa. Fra i belli un signore gentile, che aveva perso la moglie e il figlio, e assunto lei e altre due ragazze per pulire dei cinematografi del centro: portava loro la colazione, il pranzo, la cena, e in questi piccoli gesti ritrovava insieme a queste ragazze il filo della simpatia, della dolcezza che può tenere vicine le persone.
Claribel preferisce le pulizie alla clausura dell’assistenza. La “sua” signora, che l’aveva messa in regola dopo la sanatoria del 1997, le dice solo: «trovami una tua amica», e a malincuore la lascia andare. Viene assunta in una cooperativa e la sua posizione si stabilizza finalmente con il permesso di soggiorno.
Lavora, in quel periodo, dalle 5 del mattino alle 16 e poi dalle 18 alle 24, e vive in un monolocale occupato da 20/30 persone: ciascuna paga 150 euro. Lei torna così tardi che non le vede, dorme e riparte all’alba. Data la situazione, mangia solo panini in giro per la città.
Quante case ha cambiato Claribel in 13 anni!
Nel fine settimana, quando non lavora, frequenta i suoi connazionali al parco di Bruzzano. Lì conosce Pablo. È della sua stessa città, eppure non si sono mai incontrati. Lui lavora, ma non è in regola e non ha il permesso di soggiorno. Dopo solo un mese si sposano, e questo risolve la situazione. Lei, dice, è ancora contenta di questa scelta: lui l’aiuta molto, è presente con la loro bambina, le affida completamente la gestione famigliare. Fra loro però ci sono anche motivi di discussione. Pablo risente del giudizio degli amici e parenti, che rimproverano a Claribel di “comandare” il marito, e a lui di non essere abbastanza libero, perché non tira tardi con loro, non quanto farebbe un latino, bevendo e giocando fino all’alba… È difficile far quadrare le proprie aspettative, i modelli che si hanno in mente, e farsi capire, farsi accettare.
Claribel e Pablo hanno una bellissima bambina, Anita, nata nel 2006. Vivono nella casa che hanno acquistato con un mutuo nel 2005, non lontano da via Padova, nella speranza che il lavoro di Pablo si faccia un po’ meno precario di quanto sia oggi.
Il governo ecuadoreno ha stanziato un incentivo per chi costruisce un appartamento in patria, e Claribel e Pablo hanno deciso di cogliere questa opportunità. Ma su quella casa si agitano desideri diversi: Pablo spera di tornare presto. Claribel non è sicura, perché non condivide (jo no comparto è una delle sue frasi più frequenti) i modi di vivere. Quando torna a trovare i suoi, quasi ogni due anni, loro sanno che «oggi Claribel arriva, domani vuole partire».
Sono entrambi consapevoli che, nel caso, si dovrà tornare prima che Anita senta come lacerante il distacco dalle sue nuove, giovani, radici. Fra le amicizie di Claribel e Pablo gli italiani sono rari; anche la scuola non ha ancora agito in questo senso.
«Dicono che sono dura, ma io non mi sento dura. Solo oggi non riesco più a piangere. Se esce qualche lacrima chi mi conosce sa che allora è grave».
Non sopporta la lamentazione: «chiedi, datti da fare, non piangere!».
Claribel ha saputo dare solidità, decoro e anche futuro alla sua vita e a quella della sua famiglia. È una solidità che poggia tutta sulle sue piccole spalle, le sue giornate di lavoro fitte come un mosaico in cui ogni piccola tessera tiene tutto insieme. Ecco perché non se la sente, ancora, di mettere al mondo l’altro bambino che vorrebbe.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2012