«Prima fra le donne bolognesi a impugnare le armi per la lotta nel nome della libertà, si batté sempre con leonino coraggio. Catturata in combattimento dalle SS. tedesche, sottoposta a feroci torture, non disse una parola che potesse compromettere i compagni. Dopo essere stata accecata fu barbaramente trucidata e il corpo lasciato sulla pubblica via. Eroina purissima degna delle virtù delle italiche donne, fu faro luminoso di tutti i patrioti bolognesi nella guerra di liberazione.»
— Lapide commemorativa a Meloncello, 14 agosto 1944.

La storia di Irma “Mimma” Bandiera è ancora oggi la testimonianza di come le partigiane italiane parteciparono al Movimento di Liberazione Nazionale, spesso sacrificando la loro vita in nome della libertà, e non solo in qualità di staffette. Un murales nelle scuole Bombicci in via Turati, vicino alla casa della famiglia, è dedicato alla partigiana bolognese.

Irma Bandiera nasce a Bologna l’8 aprile del 1915, dove frequenta la scuola dell’obbligo. La famiglia è composta dal padre Angelo, capomastro in un cantiere edile, dalla madre Argentina Ferrati, e da una sorella minore, Nastia. Dino Cipollani, “Marco”, giovane partigiano di Argelato sopravvissuto alla guerra e divenuto medico, afferma che quella di Irma era una famiglia di persone che lavoravano sodo e che stavano bene economicamente. Già durante il Ventennio, il padre manifesta una chiara insofferenza per il fascismo e Nastia ha, sempre secondo Cipollani, “una cultura antifascista sorprendente per l’epoca”. Mimma è da lui descritta come una bella ragazza, allegra ed elegante, capace di confezionare da sé i propri vestiti, arte che ha appreso insieme alla sorella e ritenuta all’epoca una dote per un buon matrimonio.

La famiglia è composta anche dalla nonna materna Filomena, vedova ma benestante e con un’attività in proprio (un negozio di drogheria e tabacchi) nel paese di Funo, dove Mimma è solita trascorrere le estati in compagnia anche della zia materna Brunilde, sposata con Giuseppe Marzocchi e senza figli. Ed è proprio a Funo che si rifugia periodicamente la famiglia quando si intensificano i bombardamenti su Bologna (il negozio di alimentari che gestiscono in città non ha l’autorizzazione alla chiusura). Irma ha un monolocale a lei riservatole dalla nonna nella borgata di sua proprietà, a S. Giobbe, e la casa di Dino Cipollani, già impegnato in un’intensa attività antifascista con altri compagni come Araldo Tolomelli e Oreste Frabetti, dista solo un centinaio di metri dalla sua. Dino e Irma si conoscono e diventano amici nell’estate del 1942, parlando della guerra ma anche dei loro sogni; lei, nata nel 1915, chiamerà sempre lui e gli altri compagni di lotta “i miei ragazzi” perché più grande di loro.

La giovinezza di Irma è segnata molto presto da un tragico evento: il fidanzato Federico Cremonini viene fatto prigioniero dai nazisti dopo l’8 settembre del 1943 e imprigionato nell’isola di Creta. La nave che lo trasporta nei campi di prigionia tedeschi viene bombardata dalle Forze Alleate di fronte al Pireo il suo corpo dato per disperso. Irma si impegna, anche attraverso l’aiuto di autorità internazionali e religiose, per continuare le ricerche insieme alla famiglia, ma il corpo di Federico non verrà ritrovato. La cagnolina “Lillina” che compare in alcune foto è un dono di Federico fatto a Irma prima della partenza. Il caos generato dall’Armistizio sprona Irma ad interessarsi sempre di più a questioni politiche. Dapprima rifornisce di vettovaglie i giovani renitenti alla leva nascosti nei cascinali, - e a fornirle i beni di prima necessità e le sigarette sono i negozi dei suoi genitori e dei suoi zii, che l’aiutano volentieri - poi chiede direttamente la militanza nella Resistenza, dove viene rinominata col nome di battaglia “Mimma” e dove entra a far parte, come Dino, delle formazioni “Garibaldi” che fanno capo al Partito Comunista Italiano e che costituiscono secondo Cipollani “la spina dorsale della Resistenza”.

Il Capodanno del 1943 i giovani e le giovani di Funo lo festeggiano proprio nel monolocale di Irma, e la maggior parte di loro è già organizzata nei gruppi di combattimento contro il nazi-fasiscmo e la sua guerra: è un’occasione di amicizia e di mobilitazione alla lotta ed è l’ultima festa vissuta da Irma. Grazie a questi giovani così attivamente impegnati (tra loro Araldo Tolomelli, Oreste Frabetti, Mario Bernardi), Funo, un paese di campagna di soli mille abitanti comprese le persone sfollate, si guadagnerà durante la Resistenza l’appellativo di “Piccola Stalingrado”. Della rete che si forma fa parte anche una professoressa sfollata da Bologna, Ena Frazzoni, “Nicoletta”, che diventerà la coordinatrice delle staffette del Comando Unico Militare dell’Emilia-Romagna. Spesso “Marco”, “Mimma” e “Nicoletta” si incontrano alla fontana del paese con il pretesto di prendere l’acqua ma in realtà per scambiarsi informazioni e organizzare la rete di aiuti. Nel 1944 Dino, che da universitario ha ottenuto il rinvio della leva, viene convocato dal locale dirigente del “fascio repubblichino” con l’intimazione a non allontanarsi da Funo. Il giovane suo malgrado si vede costretto a entrare in semi-clandestinità e Mimma diventa la sua staffetta: viene elevata a partigiana combattente come aveva sempre voluto, entrando nella brigata d’assalto e allestendo la base logistica nella sua casa in Via Gorizia a Bologna, pur continuando a muoversi tra il capoluogo e Funo.

L’attivismo di Mimma tra le file della Resistenza non tarda ad avere pesanti ripercussioni su di lei. Nell’agosto del 1944, la Resistenza bolognese è attiva e funzionante. Il 7 agosto, Mimma porta armi e munizioni nella base della brigata di Castelmaggiore, sfuggendo brillantemente a un posto di blocco: la stessa sera, viene arrestata insieme ad altri due compagni a casa dello zio, a Funo. Essendo mezzanotte, Mimma al momento dell’arresto è a letto, indossa una vestaglia rossa a pois bianchi, mette sopra un soprabito verde scuro, un foulard colorato e gli zoccoli di legno. Durante l’arresto vengono sequestrati vari effetti personali e di famiglia tra cui regali del fidanzato Federico. La zia Brunilde si mette in cerca della giovane, e riesce a stabilire un contatto con lei attraverso lo zio: la giovane si trova nelle scuole di San Giorgio in Piano. Una staffetta informa la madre che, saputo dell’arresto, riesce a bruciare tutti i documenti sospetti presenti nella casa di Via Gorizia a Bologna.

La notte dell’8 agosto, un ufficiale tedesco e un comandante delle brigate nere vengono uccisi dalle forze partigiane. Ciò determina una rappresaglia fascista il 9 agosto; Mimma viene subito trasferita a Bologna, dove è interrogata, torturata e seviziata per sette giorni dalla Compagnia Autonoma Speciale, guidata dal Capitano Renato Tartarotti. Nonostante abbia con sé documenti cifrati, non rivela nulla ai torturatori fascisti: non i capi del movimento né le basi partigiane. La mattina del 14 agosto, Mimma viene trasportata dai fascisti sotto casa, in zona Andrea Costa, a Bologna. Ormai priva di forze, gravemente ferita e ridotta alla cecità da colpi di baionetta inflitti dai torturatori, la ragazza si rifiuta di fornire le informazioni che le vengono richieste. Perciò, sotto la finestra dei genitori, Irma Bandiera viene trucidata da una raffica di mitra e lasciata lungo il marciapiede, prima di essere spostata ed esposta a poche centinaia di metri da casa sua.

Durante la settimana di prigionia, i genitori, la sorella e la zia Brunilde avevano cercato Irma tra caserme, centri di smistamento e Questura, senza successo. La sorella Nasia, incinta di una bambina che Irma diceva avrebbe voluto educare ai valori civili, si era convinta che Irma fosse detenuta nel quartier generale delle SS in Via S. Chiara, avendo ricevuto da un giovane militare in servizio di guardia qualche indizio della sua presenza, ma poi era stata da questi mandata via ed era andata persino in preghiera a San Luca, nel vano tentativo di ricevere aiuto. Nella tarda mattinata del 14 agosto viene comunicato da un'anziana cliente del negozio di Sergio, il cognato di Irma, che il corpo della ragazza è stato esposto lungo il selciato di una fabbrica, non distante dalla casa dei Bandiera. Effettuato il riconoscimento ed appurato dalla perizia legale che Irma ha subìto pesanti torture, viene seppellita al Cimitero Monumentale della Certosa, accompagnata dai familiari e da qualche amica.

Immediatamente dopo la sua morte, il PCI bolognese pubblica un volantino che viene distribuito illegalmente: si ricorda il sacrificio della partigiana, il quale deve fungere da impulso per continuare la resistenza antifascista. La 1a Brigata Garibaldi prenderà il nome di Irma Bandiera e, alla fine della guerra, viene riconosciuta partigiana e decorata con la Medaglia d’Oro al Valor Militare. A Bologna, è ricordata in una lapide in via Irma Bandiera, nel quartiere Saragozza, oltreché nel Sacrario di Piazza Nettuno e nel Monumento alle Cadute partigiane a Villa Spada.

* Voce a cura di Maria Barbone e Giovanni Belardinelli – Laureato a Trento in Sociologia, sta frequentando la Laurea Magistrale in Psicologia presso il Dipartimento di Psicologia e Scienze Cognitive dell’Università degli Studi di Trento. Durante l’infanzia e l’adolescenza frequenta il Corso teatrale per ragazzi del Teatro Stabile delle Marche. Animatore presso i centri estivi comunali di Ancona, ora svolge interventi psicoeducativi come educatore presso la Cooperativa Impronte di Rovereto. Partecipa al gruppo SCRIBUNT: gruppo di Scrittura e Biografie - Università di Trento. (referenti: Maria Barbone, Susanna Pedrotti, Lucia Rodler).


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Irma Bandiera

Albertazzi, A., Arbizzani, L., & Onofri, N. S. (1985). Gli antifascisti, i partigiani e le vittime del fascismo nel bolognese : (1919-1945). V. 3. Istituto per la storia di Bologna.

Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024