Coloro che rifiutano di ascoltare i draghi sono probabilmente condannati a passare la loro vita nella rappresentazione degli incubi dei politici. Ci piace pensare di vivere nella luce del sole, ma il mondo per metà è sempre nelle tenebre; e la fantasia, come la poesia, parla il linguaggio della notte.

 

Con la famiglia con cui cresciamo non impariamo soltanto una o più lingue e tradizioni, impariamo storie e leggende, condividiamo memorie e sogni.

Ursula era figlia di Alfred L. Kroeber, antropologo e fondatore della disciplina insieme, tra gli altri, a Claude Levi-Strauss e Bronislaw Malinowski, e di Theodora Kracaw Kroeber, antropologa e scrittrice, ricordata soprattutto per il libro dedicato a Ishi, l’ultimo componente della tribù californiana degli Yahi. La famiglia Kroeber abitava in una bella e tipica casa californiana progettata dall’architetto Bernard Maybeck che credeva nel dialogo continuo tra il costruttore e gli abitanti delle sue case. In questa casa tipicamente americana molti dei mobili erano cimeli di famiglia e Ursula dormiva in un letto che era appartenuto alla nonna materna. Non è difficile immaginare queste stanze, i camini e le stufe e al contempo Ursula e i suoi tre fratelli intenti ad ascoltare miti, leggende e favole. Lettrice e scrittrice precocissima, la bambina scrisse a nove anni il suo primo racconto di fate. Le leggende dei nativi americani, che il padre le raccontava per sollecitare la sua immaginazione, si mescolarono alla lettura dei libri di Lord Dunsany, autore soprattutto di opere di narrativa fantastica. Fu invece sua madre a farle leggere Piccole donne, Orgoglio e pregiudizio e Una stanza tutta per sé. Il suo primo tentativo di pubblicare un racconto risale al 1939, quando decenne, invia un racconto su un viaggio nel tempo alla rivista “Amazing Stories”. Il racconto non venne pubblicato e lei, delusa e indispettita, si ripromette di non cercare di pubblicare più nulla sino all’età adulta. Studentessa della Columbia University, abbandona la letteratura di genere per dedicarsi a quella considerata “maggiore” e si laurea in storia della letteratura francese e del Rinascimento italiano. Con una borsa di studio si trasferisce a studiare in Francia dove conoscerà il marito Charles A. Le Guin, storico e docente universitario con cui vivrà a Portland e con cui avrà tre figli. Negli anni Sessanta un amico le consiglia di leggere Harlan Ellison, Philip K. Dick, e Theodore Sturgeon e queste letture le permettono di capire che anche il mondo della fantasy e della fantascienza stanno cambiando. Il primo racconto pubblicato, che sarà una sorta di preludio al futuro romanzo Il mondo di Rocannon, apparirà sulla stessa rivista che le aveva respinto il racconto infantile. Quando ricomincia a scrivere sono pochissime le scrittrici di fantascienza e le protagoniste femminili erano principesse stritolate tra le molte braccia di un alieno, o belle ragazze che sbattevano le ciglia davanti a un valoroso Capitano e gli chiedevano di spiegare loro come funzionasse il “figilatore temporale”. È la stessa Le Guin a riconoscere che per parecchio tempo non si era posta domande sulla questione femminile e sul femminismo e aveva accettato il predominio maschile anche in letteratura come un dato di fatto. Ma non per sempre, perché dopo avere pubblicato già diversi libri diventa consapevole delle “quattro tecniche o dispositivi comuni (spesso, anche se non sempre, impiegato in modo del tutto inconsapevole) per escludere la narrativa femminile dal canone letterario libro per libro, autore per autore. Questi dispositivi sono: denigrazione, omissione, eccezione e scomparsa. Il loro effetto cumulativo è la continua emarginazione della scrittura femminile”.

Scrittrice eclettica e prolifica, scriverà per tutta la sua carriera poesie, saggi e romanzi di fantasy e fantascienza navigando con una maestria impagabile tra i generi. Alcuni dei libri fondamentali del Ventesimo secolo sono usciti dalla sua penna e se ha dichiarato amore sconfinato per un collega lo ha fatto solo parlando di Mark Twain. Ironica e tagliente si è sempre stupita delle genealogie attribuite ai suoi romanzi e anche schernita chiedendosi: “Mio Dio! Io ho veramente pensato tutto ciò?”. Le radici della sua narrativa affondano nelle sue tesi di laurea e dottorato, la prima dedicata a La metafora della Rosa nella letteratura italiana e francese dell’epoca rinascimentale e L’idea della morte nella poesia di Ronsard. Tutto qui, vita e morte, la loro lotta e contrapposizione sono la linfa di quel che ha scritto perché “ciò che fa di un romanzo un romanzo è qualcosa di non intellettuale, sebbene non semplice: qualcosa di viscerale, non di cerebrale”. Questo dualismo emerge molto bene nelle sue due opere maggiori: La mano sinistra delle tenebre, dove l’ambiguità sessuale degli abitanti del pianeta Inverno trova la sua apoteosi nella battuta “Il Re è incinto” e nel romanzo più politico I Reietti dell’altro pianeta, dove gli abitanti di Urras e Anarres, terra e luna, capitalisti, comunisti e anarchici, rappresentano una dimensione complementare, anche se contrapposta, alle possibili forme di convivenza e di ordinamento politico dell’umanità. È proprio dopo la pubblicazione dei Reietti che Le Guin è sfinita e pensa che non riuscirà mai più a scrivere e passa i diciotto mesi successivi a leggere Jung e a consultare I Ching. La profonda conoscenza delle culture native e delle loro mitologie le dà gli strumenti per scrivere la serie dei romanzi del ciclo hainita dove lo sviluppo delle culture è messo in relazione alle influenze dell’ambiente e all’incontro con altre civiltà. Un altro elemento importante della sua narrativa è la dialettica tra individuo e società e tra scoperta del mondo intorno a sé e del mondo dentro di sé, la ricerca di un io profondo e archetipico.

Nella sua dualità è anche fondamentale la dialettica tra natura e cultura e le interazioni degli umani con la natura stessa. Anche le ragioni della psiche e del sogno sono rappresentate con un punto di vista originale, così che i protagonisti de Il nome del mondo è foresta vivono la dimensione onirica come un’altra e diversa forma di realtà. Oltre a Genli Ai, inviato dell’Ecumene galattico su Inverno, e allo scienziato Shevek abitante di Anarres, tra i numerosi e indimenticabili personaggi che Le Guin ha creato va ricordato anche Ged il mago protagonista delle vicende di Terramare, l’arcipelago Earthsea, dove la magia è pratica quotidiana. Fuori dai canoni della fantascienza tecnologica, i mondi della Le Guin si sviluppano su trame più letterarie e intimistiche dove sono i singoli protagonisti a creare l’atmosfera delle storie mentre vivono nelle Terre Interiori. Lei è ben consapevole che “gli Americani, e non solo, hanno paura dei draghi”  ma che l’immaginazione  e l’uso che se ne fa, soprattutto nella narrativa, permettono al bambino che siamo stati di sopravvivere nell’adulto che siamo diventati e che attraverso affermazioni come “C’era una volta un drago” o “In una caverna sotto terra viveva uno hobbit” che gli essere umani possono arrivare alla verità. Benché abbia scritto molto intorno alla sua scrittura e candidamente confessato di non sapere cosa fosse “il blocco dello scrittore”, e che non aveva bisogno di stimoli esterni per scrivere perché tutto quello che le serviva era nella sua testa, Le Guin non amava raccontare fatti privati o della sua famiglia. “Il mio sé pubblico è nei miei libri e il mio sé privato è e dovrebbe essere di reale interesse solo per me e la mia famiglia”. 

Sulla sua routine quotidiana ideale sappiamo cosa disse a un intervistatore polacco nel 1988: 

“5:30: svegliarsi e restare sdraiata a pensare.

6:15: alzarsi e fare colazione (abbondante).

7:15: mettersi al lavoro  e scrivere, scrivere, scrivere.

Mezzogiorno-pranzo.

13:00-15:00: lettura, musica.

15:00-17:00: corrispondenza, forse pulizia della casa.

17:00-20:00: preparare la cena e mangiarla.

Dopo le 20:00, tendo a essere molto sciocca e non ne parleremo”.

 

La ricchezza dei suoi riferimenti culturali, politici, antropologici e psicologici non è da meno della rete di amici e ammiratori che hanno voluto ricordarla nel momento della sua scomparsa tra cui le scrittrici Rosa Montero,  Zadie Smith e Robin Morgan e gli scrittori Neil Gaiman, Jonathan Lethem  e George R.R. Martin, oltre al critico Harold Bloom. Tra le sue amiche scrittrici di fantascienza vanno ricordate anche James Tiptree Jr., pseudonimo di Alice Sheldon e Vonda N. McIntyre.

Scrivere fantascienza e fantasy le ha permesso di inventare pianeti: “È una faccenda misteriosa, creare mondi dalle parole… Come si scrive fantascienza? E chi lo sa? Gridò l’alacre demiurgo, e si mise senza indugiare al lavoro”.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Ursula K. Le Guin

K. Le Guin, Il linguaggio della notte, Editori Riuniti 1986

Caimmi e P. Nicolazzini, Ritratto di Ursula Le Guin, in Robot Rivista di Fantascienza 1978

K. Le Guin, La mano sinistra delle tenebre, Editrice Nord 1984

K. Le Guin, I reietti dell’altro pianeta, Editrice Nord 1976

K. Le Guin, Il mago di Earthsea, Editrice Nord 1979

K. Le Guin, The wave in the mind, Shambhala Press 2012

K. Le Guin, Words are my matter, Small Beer Press 2016

K. Le Guin, No Time to Spare, Hougthon Mifflin Harcourt 2017

K. Le Guin, The Last Interview and other Conversations, Melville House Publishing 2019

www.ursulakleguin.com

Referenze iconografiche: Ursula Le Guin. Photo by Marian Wood Kolisch. Creative Commons Attribution-Share Alike 2.0 Generic license.

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2023