Ha modellato un diverso volto del jazz e del pop, con coloriture blues, anche costringendo i musicisti a seguirne le tracce stilistiche inconsuete, a volte spiazzanti.

Eleanora Fagan nasce il 7 aprile 1915 a Philadelphia, città nella quale da qualche tempo si era trasferita Sarah Julia “Sadie” Fagan, la madre diciannovenne. Contrariamente a quanto dichiara inizialmente quest’ultima, il padre risulterà essere Clarence Ernest Holiday, diciassettenne-diciottenne musicista (chitarra e banjo), anche con l’orchestra di Fletcher Henderson, che si sposa, non con Sarah, un paio di volte negli anni ‘20.

Nel ‘36 riesce a suonare con la figlia, insieme al sassofonista Lester Young, di cui lei diverrà molto amica. L’anno dopo Clarence muore a causa di una polmonite: viene ricoverato troppo tardi, molto probabilmente per il fatto di essere nero.

Intanto Sarah, a sua volta figlia illegittima, si è sposata, e ora in vario modo cerca di stare vicino alla figlia, portandola con sé anche quando lavora in posti poco raccomandabili. A volte invece la lascia da conoscenti o parenti (dove la ragazzina, ritrova “seconde madri e nonne”).

Ad un certo momento l’affida a un istituto di suore cattoliche. A tutte le “ospiti” viene assegnato un nuovo nome: Eleanora diviene Madge (non Theresa, come scriverà nell’autobiografia).

Da tempo la ragazza è anche oggetto di attenzioni e vessazioni di carattere sessuale. A undici anni subisce uno stupro, e ne ha tredici quando la madre se ne va da Baltimore, lasciandola di nuovo anche in case d’appuntamento, dove Eleanora lavora come inserviente e ad Harlem, subirà il suo primo arresto (insieme alla madre).

Nel ‘29, quattordicenne, Eleanora viene inviata in un riformatorio, per poi ritrovarsi a lavorare in un ambiente dove si appassiona alla musica dei 78 giri che ha occasione di ascoltare e cercare di imitare. Le rimangono particolarmente impressi gli stili e le voci jazz e blues di Louis Armstrong e di Bessie Smith: il fraseggio strumentale del primo, la potenza espressiva della seconda, i quali tra l’altro avevano inciso insieme St. Louis Blues e Careless Love. Ecco che, pian piano, scopre di avere un talento vocale.

La dinamica della sua voce non è particolarmente estesa, ma ha una grande espressività, con sfumature e tratti stilistici inconsueti, tanto che poi metterà in difficoltà alcuni musicisti, usi a un fraseggio vocale più “disciplinato”.

Comincia ad esibirsi in qualche locale e sceglie un nome d’arte: mette insieme il nomignolo “Bill”, col quale la chiamava scherzosamente il padre, di cui mantiene il cognome, e la passione per l’attrice Billie Dove: ecco Billie Holiday.

In uno di quei locali, accompagnata dal pianista Bobby Henderson, attrae l’attenzione di John Hammond, talent scout e produttore discografico: ne rimane affascinato e convince la Columbia a firmarle un contratto.

Nel ‘33, diciottenne, Billie entra per la prima volta negli stessi studi in cui Hammond ha diretto le ultime registrazioni di Bessie Smith. Ora, tra i musicisti della session c’è Benny Goodman, leader e clarinettista dell’orchestra, col quale lei avrà una breve relazione. I primi due brani registrati sono Your Mother’s Son In Law e Riffin’ the Scotch.

L’anno successivo, ha modo di conoscere il sassofonista Lester Young (detto “Pres” o “Prez”): diverranno grandi e sinceri amici. Sarà lui a chiamarla “Lady Day”.

Man mano, viene sempre più apprezzata e ricercata dalle varie formazioni jazz, e nel ‘35 viene ingaggiata per recitare e cantare in “Symphony in Black”, filmato di cui è autore e musicista Duke Ellington.

Seguono diverse sedute con l’orchestra del pianista Teddy Wilson, mentre con quella a proprio nome inciderà anche la cover di Summertime e la delicata ballad Billie’s Blues (I Love My Man), di sua composizione.

1937. E’ la volta di Carelessly, che ne diverrà il più grande hit pop della carriera, e la sua popolarità cresce quando come cantante della band di Count Basie va in tour, pur con un certo disagio, essendo la sola donna del gruppo.

L’anno dopo è con l’orchestra del clarinettista Artie Shaw. È l’unica nera e spesso subisce umiliazioni da parte del pubblico e dei gestori di locali e alberghi: è anche costretta a mangiare separatamente, prendere un montacarichi anziché l’ascensore e subire altre vessazioni razziste. Lasciata l’orchestra, a fine anno partecipa all’inaugurazione del “Café Society”, locale newyorkese gestito da Barney Josephson, denominato “The wrong place for the Right people” (la “R” maiuscola è voluta, a sottolinearne il significato socio-politico),

Il 1939 è un anno cruciale. Si convince ad incidere Strange Fruit, immaginifica accusa contro i linciaggi di neri, delitti che all’epoca erano ancora diffusissimi. L’autore del brano è Abel Meeropol, in arte Lewis Allan, insegnante, scrittore e attivista.

Controversa è la storia della sua accettazione e convinzione a registrarlo, pure se avversata dallo stesso Hammond, che pensa alle conseguenze mediatiche e di popolarità di una tale “denuncia razziale”. Comunque le ottiene il permesso di inciderla per la Commodore. Quel brano - che le procura guai mediatici, nonché persecuzione da parte di FBI e polizia - diviene storico, e sarà comunque uno dei più richiesti dei suoi concerti. Nel 1999, il magazine “Time” la proclamerà “canzone del XX secolo”.

Nel “ lato B” del 78 giri c’è Fine and Mellow, eccellente ballad, composta da lei stessa: uno dei suoi standard. Poco prima, per la Columbia aveva inciso Long Gone Blues che, un po’ sorprendentemente “recita”: “...da quando sono la tua baby, sono stata la tua schiava… ma prima che tu mi lasci, ti vedrò nella tomba”. Un brano che riprenderà col titolo Billie’s Blues. Altri gioiellini sono Them There Eyes e, con l’apporto di Lester Young, Night and Day e The Man I Love.

Nel ‘40 mentre esce Body and Soul, l’FBI alimenta il file a suo nome, dopo che si è esibita con Over There (The Yanks Aren’t Coming), considerata “antipatriottica”.

Dell’anno successivo – quando si sposa con Jimmy Monroe - sono la scintillante All of Me e la sofferta God Bless the Child, ispirata a un litigio con la madre per questione di soldi. In tema profondamente doloroso, lei riprende Gloomy Sunday, desolante “canzone del suicidio” di origine ungherese, già da tempo bandita da molte stazioni radio inglesi e statunitensi.

Nel ‘42, mentre diviene sempre più dipendente da narcotici e alcol, Billie lascia la Columbia. Si lega al trombettista Joe Guy, iniziando un lungo periodo di traversie personali: subisce violenze fisiche, ricatti e altro, anche di stampo masochista, pur di sentirsi in qualche modo “protetta”.

Nel ‘44 approda alla Decca che, a partire da Lover Man, la propone con arrangiamenti orchestrali di un certo peso, tra cui anche l’amara Don’t Explain, ispiratale dal ritorno a casa del marito con tanto di rossetto sulla camicia. L’anno dopo muore la madre.

Di lì a poco incide Good Morning Heartaches e poi va Hollywood per le riprese di “New Orleans”, mediocre film dove fa la parte di una cameriera-cantante: ma è anche l’occasione per ritrovare Louis Armstrong.

Nel ‘47, sempre più intossicata, decide di ricoverarsi in una clinica di New York; viene poi arrestata e rinchiusa per alcuni mesi in un riformatorio federale. Il Dipartimento di Polizia di New York decide di ritirarle la “cabaret card”, vietandole così di esibirsi nei locali che vendono alcolici. Non le verrà più restituita ma, John Levy, comproprietario dell’”Ebony Club” si accorda con la polizia per ingaggiarla comunque: un altro modo per ricattarla. In breve, Levy diviene il suo ennesimo uomo-boss (protezione, sfruttamento e violenze) e si accorda con la Narcotici affinché venga pedinata e controllata. Un compito affidato al nero Jimmy Fletcher.

Un aiuto le arriverà dall’attrice Tellulah Bankhead (occasionalmente pure sua amante), grazie anche alla confidenza che quest’ultima ha con J.E. Hoover, famigerato capo dell’FBI.

Nel ‘49, Billie riprende due brani significativi della grande Bessie Smith: Ain’t Nobodys Business If I Do e Gimme a Pigfoot (and a Bottle of Beer), e intanto ritrova ancora l’amico Armstrong col quale registra un paio di brani.

Nel ‘50, a Chicago, incontra Miles Davis, con cui in futuro si esibirà alcune volte. L’anno successivo dopo una discussione, probabilmente legata al proprio uso delle droghe pesanti, litiga duramente, per la prima volta, con Lester Young. La loro amicizia si ricomporrà tre anni dopo, al festival di Newport, quando Young deciderà di salire sul palco col sax dicendo “… è meglio che vada a dare una mano alla Lady”.

Sempre nei primi anni del decennio, incide alcune cose pregevoli, tra cui Blue Moon e I Only Have Eyes for You, ma comincia a manifestare segni di deterioramento della voce. Intanto si scontra con la censura mediatica, interpretando Love for Sale di Cole Porter, considerato un messaggio ammiccante di una prostituta.

Nel ‘54 effettua il suo primo tour europeo, con buoni riscontri.

Nel ‘56 esce “Lady Sings the Blues”, autobiografia in vario modo “fantasiosa”, scritta con di William Dusty. Avrebbe dovuto intitolarsi “Bitter crop” (“amaro raccolto”), ispirato al testo di Strange Fruit. L’intricata corsa della versione cinematografica si realizzerà solo nel ‘72, con l’interpretazione di Diana Ross. Dopo il divorzio da Monroe, nel ‘57 Billie sposa Louis McKay, mentre manifesta segni di un deciso declino psico-fisico.

A fine anno, con un gruppo di grandi strumentisti - tra cui il pianista Mal Waldron, i sassofonisti Coleman Hawkins, Ben Webster e Gerry Mulligan, il bassista Milt Hilton e il batterista Osie Johnson -, registra il filmato TV “Sound of Jazz, gioiello musicale e visivo che ha il suo momento magico in Fine and Mellow. 1958. Il nuovo contratto con la Columbia la porta negli studi, con la direzione di Ray Ellis e l’apporto di archi e cori. Sono sessioni molto faticose che fruttano l’accattivante, quanto abbondantemente arrangiato Lady in Satin. Con sforzi notevoli, voce sofferta e rugginosa, riesce a far risaltare i sentimenti espressi da alcune canzoni, tra cui You’ve Changed e soprattutto I’m Fool to Want You, scritta da Frank Sinatra.

In novembre è a Milano, allo Smeraldo: una serata disastrosa, in un clima da avanspettacolo (ballerini, saltimbanchi, giocolieri…). Viene fischiata e insultata, fino all’interruzione della performance. A lenire le ferite ci pensano l’invito alla Taverna Messicana” e al “Teatro Gerolamo”, accompagnata da musicisti jazz, italiani. L’insuccesso l’aspetta però anche a Parigi.

Nel marzo del ‘59 è di nuovo in studio con Ray Ellis. Ne uscirà un discreto Billie Holiday, ultimo album della sua carriera, comprendente due brani di Sinatra: All the Way e l’emblematico I’ll Never Smile Again.

Il 15 marzo, a New York, muore Lester Young. Due mesi dopo lei effettua l’ultima session in cui c’è anche il pianista Mal Waldron, con cui intanto compone Left Alone; ma non arriverà ad inciderla.

Il 31 maggio, mentre si trova a New York, ha un collasso e viene ricoverata, al “Metropolitan Hospital”, dove un’infermiera troverà una bustina di eroina nella sua stanza. Viene piantonata, mentre le sequestrano fumetti, dischi e giradischi.

Muore il 17 luglio, alle prime ore del mattino. I funerali verranno tenuti il 21 luglio, mentre è diffusa la sua Strange Fruit. Viene seppellita in un cimitero del Bronx.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Billie Holiday

Billie Holiday, La signora canta il blues, Universale Economica Feltrinelli, 1996

Ken Vail, Lady Day’s Diary, Castel Communications, 1996

Stuart Nicholson, Billie Holiday, Indigo, 2000

Farah Jasmine Griffin, If You Can’t Be Free, Be a Mistery, Free Press, 2001

Alexis De Veaux, Una canzone per Billie Holiday, Selene Edizioni, 2003

David Margolick, Billie Holiday eseguirà… Strange Fruit, Arcana 2006

Julia Blackburn, Lady Day – La vita e i tempi di Billie Holiday, il Saggiatore, 2007

Gianni Del Savio, Cent’anni di solitudine, Buscadero, Agosto 2015

John Szwed, Billie Holiday, il Saggiatore, 2015

Riferimenti iconografici:

[Portrait of Billie Holiday, Downbeat, New York, N.Y., ca. Feb. 1947], Public Domain Mark 1.0

 

Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2023