La scultrice dorgalese Caterina Lai si è formata attraverso canali molto diversi fra loro, richiamando l’attenzione della critica e inserendosi in gallerie nazionali ed estere; in passato ha interagito anche con Maria Lai (1919-2013), celebre artista sarda di cui condivideva il cognome - pur senza legami di sangue - e da cui ha ricevuto diversi apprezzamenti.

Caterina è figlia d’arte, essendo nata dal ceramista Simeone e da Luisa, sorella dell’artista Salvatore Fancello, morto neanche venticinquenne durante il secondo conflitto mondiale. Questo zio, che fu scultore, disegnatore satirico e pittore, era amico di Costantino Nivola e con lui aveva lasciato la Sardegna per completare gli studi; a Milano aveva aderito al gruppo “Corrente” conquistando la stima di Adriano Olivetti, Giulia Veronesi, Maurizio Calvesi, Anna Mazzucchelli e Giulio Argan.

Caterina, pur non avendo fatto in tempo a conoscere lo zio, lo ammirava perché aveva introdotto nel mondo della ceramica una visione d’avanguardia; ma l’esempio le veniva spesso proposto dalla famiglia come inimitabile, soprattutto per lei che era una femmina. Di conseguenza la giovane scultrice conservò per molto tempo una particolare soggezione nei confronti di lui e osò proporsi sulla scena artistica pubblica solo dopo la morte dei propri genitori.

Caterina aveva frequentato sin da piccola i laboratori di Dorgali, uno dei maggiori centri ceramici della Sardegna; da ragazzina si era recata spesso anche nella bottega dello zio paterno Ciriaco Piras, allievo dell’altro grande artista sardo Francesco Ciusa. Con il padre e questo zio Caterina ebbe modo di osservare l’applicazione delle prime tecniche, anche se per molto tempo lei rivestì solo incarichi da apprendista: era suo compito ripulire il pavimento dalla polvere, aiutare ad eliminare le impurità dall’argilla, scaricare il forno e spazzolare le terrecotte dalla cenere. Simeone Lai considerava come vero erede l’unico figlio maschio che tuttavia morì ancora bambino, lasciando il padre talmente sconfortato da decidere di eliminare del tutto il colore dalla propria produzione. Solamente dopo la maggiore età Caterina è stata autorizzata anche a modellare la creta; tuttavia non ha mai praticato la tornitura dei vasi, in parte perché la tradizione di questa tecnica era ancora prettamente maschile, in parte perché il suo obiettivo era già quello di andare oltre la ceramica d’uso per esplorarne invece le possibilità artistiche.

La famiglia offrì dunque a Caterina un terreno ricco di stimoli, ma contemporaneamente tendeva a limitarne le aspirazioni. Anche la madre, a cui pure era stato impedito di ricevere l’istruzione riservata ai maschi di casa, rimaneva legata alla memoria del fratello e guardava con occhio scettico le prime prove della figlia. Eppure proprio dalla madre Caterina deriva una parte importante della propria forza: Luisa Fancello era ricca di iniziativa e dotata anche lei di capacità artistiche, che le avevano permesso di diventare una ricamatrice particolarmente richiesta nel nuorese e dintorni; affiancando sua madre nelle consuetudini domestiche e nella panificazione, la futura scultrice ha appreso una manualità che avrebbe applicato alla ceramica con risultati decisamente originali. Tuttavia, a causa delle ridotte possibilità economiche dei genitori, Caterina dovette attendere che l’altra sorella terminasse gli studi in città per potervisi recare a sua volta. In breve tempo prese il diploma di Liceo Artistico a Cagliari con lo scultore Italo Antico, che la incoraggiò ad approfondire ulteriormente. Caterina continuò a spostarsi: a Salisburgo frequentò l'Accademia con lo scultore Ralph Brown, a Firenze si formò nel campo del restauro, a Venezia ha studiato con Teresa Vasi diverse tecniche per le vetrate artistiche; ancora a Cagliari si è specializzata con l’incisore Giovanni Job e il prof. Enk De Kramer, infine ha frequentato un corso con il ceramista Giovanni Cimati di Faenza.

Oltre a maturare le varie esperienze, Caterina Lai è diventata insegnante per meriti artistici presso il suo stesso liceo e nel passaggio al nuovo millennio ha contribuito a fondare il gruppo delle Mutanti, tutte donne impegnate nella ricerca e nella promozione d’arte.

Il pieno ritorno della scultrice alla ceramica artistica risale agli anni ‘90. “Se la tocchi non la lasci più” dice dell’argilla:“Mi piace, mi fa vivere; senza questo elemento, io non potrei stare”. Oggi Caterina Lai si considera più artista che artigiana, pur nella convinzione che comunque non si possa essere artisti se alla base non c’è una solida preparazione tecnica. Infatti la scultrice si cimenta continuamente con soluzioni antiche e nuove, sfruttando l’ossido riduzione per il bucchero di tradizione etrusca, il raku, il gres al sale, le terre caolinate; di solito Lai produce lastre e rilievi, graffiti e installazioni, più raramente si dedica alla decorazione del vasellame, affidato a collaboratori esterni per la tornitura.

Le sue ceramiche hanno l’aspetto di pietre di lava e ossidiana, in cui si evidenziano i contrasti lucido-opaco, levigato-granuloso, compatto-graffiato. Spesso le superfici si corrugano: spaccature e increspature suggeriscono mappe accidentate di fondali marini e paesaggi, a volte diventano accenni di figure e lasciano spazio alla scrittura. Miti e proverbi popolari riemergono incisi in lingua sarda, affermando un legame insopprimibile fra materia - terra e cultura madre.

Ultimamente le installazioni di Caterina Lai propongono come moduli elementari i Licuccos. Si tratta di oggetti-scultura dalla forma biconica, ispirati ai ciottoli scuri delle spiagge dorgalesi ma capaci anche di risvegliare altre memorie legate al lavoro e all’esistenza delle donne: i Licuccos sono nati dalla stessa procedura di manipolazione usata per fare pani e dolci, appresa per via materna; essi ricordano le fusaiole nuragiche, le trottole, i bottoni d’oro dell’abbigliamento tradizionale sardo; diventano a loro volta dei monili, una volta appesi a tratti di spago che ne sottolineano l’estetica rude e minimale e permettono perfino una sonorità inattesa.

Ognuno di questi Licuccos ha dimensione e superficie diversa. Possono presentarsi ruvidi, zigrinati o lucidati e sono prevalentemente neri, ma hanno tonalità sorprendenti; esse sono il risultato di quello che la scultrice definisce il mistero della cottura in riduzione: l’assenza di ossigeno nel forno annerisce la ceramica, ma apre anche ad una grande varietà di grigi, facendo nascere riflessi argentei e incredibili iridescenze. Questi sono gli effetti imprevedibili che Caterina chiama “i colori del nero” e che rendono ogni manufatto unico anche nella ripetizione delle forme.

Voce pubblicata nel: 2022

Ultimo aggiornamento: 2023