“Una donna ribelle, insofferente, ansiosa di sapere, giramondo: l’internazionalità, la fama, erano nel suo destino, che fosse una donna d’azione lo dimostrano le sue stoffe e l’industria che intorno a lei è andata crescendo e che negli anni Sessanta, fu di un’eccezionale vastità. Il binomio arte-lavoro ha dominato la sua vita“.
Così la stilista Biki descriveva, in una intervista, Fede Cheti, una delle sue più affezionate clienti.
Federica era nata a Savona, nel 1905, ma, dopo aver studiato in Francia, alla morte del padre negli anni ’30 si trasferisce a Milano con la madre. Qui con un telaio artigianale inizia a tessere i primi tappeti e alcune stoffe di arredamento per una ristretta cerchia di clienti. Dai suoi disegni originali passa poi ad acquistare i bozzetti da diversi artisti diventandone proprietaria tanto da imprimervi solo il marchio Fede Cheti ad eccezione di René Gruau, che mantenne la firma sulle proprie realizzazioni.
La sua partecipazione alla Triennale fu assidua e costante dal 1930 al 1957 anche se è ufficialmente documentata solo dal Catalogo della IV Triennale del 1936.
È del 1936 la fondazione, a Milano, della Scuola di tappeti e di tessitura Fede Cheti. Di quegli stessi anni l’incontro con Giò Ponti, destinato a trasformarsi in un’amicizia che durò tutta la vita.
Le creazioni di Fede Cheti si fanno apprezzare e riconoscere per originalità (caratteristico il suo gusto per i grandi fiori), eleganza e funzionalità. Ne è un esempio una proposta presentata alla IX Triennale del 1951: “La Garretta”. Si legge su Domus numero 259 del giugno 1951.
“La “Garretta” si chiama questa tenda da week-end di Fede Cheti, che è una delle cose che più hanno attratto e incuriosito i visitatori della Triennale. È una tenda circolare in cinz progettata da Fede Cheti e da Gianni Ratto […]. È una leggera e smontabile tenda per signore, che possono farla innalzare qui o là nel giardino, o sulla spiaggia, o nel bosco, o portarsela dietro in un week-end non molto avventuroso […]. La struttura metallica che sorregge questo cilindrico padiglione, semplicissima, è composta da due cerchi, l’uno alla base, l’altro alla cima, collegati da cinque o sei persone sedute – non occupa più spazio, né ha maggior perso, di un ombrellone chiuso. I sedili per gli ospiti che partecipano al picnic o alla conversazione, sono delle piccole e ottime poltroncine da campo in due pezzi, ideate dall’arch. Zanuso, con struttura in legno, braccioli in tessuto plastico, imbottiture di sedile e schienale in cuscini di cinz di Fede Cheti […]. Su questo elegantissimo cinz essa si è certamente divertita a comporre, in bianco e nero, un paesaggio di copertine romantiche e comiche di Toulouse-Lautrec […]. Oltre al grande tema verticale della “colonna di fiori” coloratissima, sul fondo bianco della stoffa – tema ormai suo classico – qui appare – in nuovi bellissimi esemplari – il grande motivo unico orizzontale: sono paesaggi boscosi romantici, tratti con la freschezza e la libertà di una immensa gouache che pare si sia appena asciugata sulla tela, e con la sapienza della monocromia o del colore appena accennato […]. Dopo simili stoffe, non si desidera se non che ne vengano inventate altre e altre ancora, come nuovi spettacoli. “(p. 61-64).
Ma la presenza, sua e delle sue creazioni, non si limitano solo al campo tessile. Le sue attività vanno a intrecciarsi con il mondo dell’architettura e del design e la rendono una figura di rilievo nel panorama culturale e intellettuale del dopoguerra.
La signora dei tessuti, alta, sottile, chiara, sempre assorta nel suo lavoro, creava tendenza. Le sue sperimentazioni nella tecnica di stampa su stoffa e i suoi disegni contribuirono a creare il gusto dell’arredamento di interni dell’Italia degli anni Cinquanta.
Parecchi i riconoscimenti: nel 1948 a New York la ditta Fede Cheti è presente all’importante mostra Italy at Work: Her Renaissance in Design Today; nel 1950 alla Biennale di Venezia i suoi tessuti artistici furono premiati con la medaglia d’oro e nel febbraio 1960, a Londra, Fede Cheti fu l’unica donna e l’unica italiana a partecipare ai festeggiamenti per il centenario dei grandi magazzini Sanderson, la più importante casa inglese per stoffe d’arredamento.
Collaborò con alcuni degli artisti italiani più affermati: Giorgio de Chirico, Fausto Melotti, Massimo Campigli, Renato Guttuso, Filippo de Pisis, Raoul Dufy, Raymond Peynet, Mario Sironi e Giò Ponti.
E amava lavorare con le donne. In un’intervista del 1975 dichiarò:
“[…] Lavoro esclusivamente con donne, sono ottime collaboratrici (la mia segretaria, con la quale ho parlato prima, è qui da ventotto anni), validissime, puntuali […]. D’altra parte riesco a inquadrare perfettamente la mia vita essendo molto attiva, alzandomi presto al mattino e riordinando bene le ore di lavoro: questo mi permette di non trascurare mai me stessa, di badare a tutto, di conciliare lavoro-casa-vita culturale (amo molto la musica, il concerto, il teatro), di coltivare i miei hobby che consistono nella raccolta di cose preziose, nelle collezioni africane (ventagli, maschere, costumi della Costa d’Avorio da 1200 a 1500), di pietre, secondo il momento e le tendenze […]. Ma si! sono femminista: al cento per cento; anche se possiedo una buona dose di femminilità – che non voglio trascurare! – perché adoro i vestiti, i fiori, tutto quanto – come prima ho detto – viene dalla natura o la rappresenta; e desidero non indurire il mio temperamento per una vita commerciale.
Perché la donna, indubbiamente, può dedicarsi a qualsiasi attività ritenuta “maschile” senza perderla, la propria femminilità. Ed oggi, in generale, è simpaticissima, emancipata, sa quello che vuole: abbiamo donne che possiamo portare ad esempio agli uomini”.
Lavorò sempre, fino alla fine. Morì a Genova il 18 novembre 1978. La ditta Fede Cheti è stata rilevata dopo la sua morte ed è attiva ancora oggi. Presso la sede storica, in Via Manzoni 23 a Milano, è conservato l’archivio dei disegni e delle stoffe creati dalla fondatrice.