Marija ha solo dieci mesi quando perde suo padre, giovane avvocato di Sumy, nel nord-est dell’Ucraina.

Sua madre, bella, vedova, ventiduenne, si risposa pazzamente innamorata con un tedesco, tanto brillante quanto mascalzone: dopo qualche anno la abbandona portandosi via ogni bene, lasciandola coi loro figli Anatolij di tre anni e Liza appena nata. Marija ha solo sei anni. Per sopravvivere i tre bambini e la mamma pregano la nonna di accoglierli nella sua casa. La vecchietta non si perde d’animo e organizza un pensionato per gli studenti del ginnasio di Sumy. Dopo tre anni la mamma muore di tubercolosi e Marija, che è la sorella più grande, deve occuparsi dei fratellini, conciliando i lavori in casa con lo studio al ginnasio che ama moltissimo. Comincia a guadagnare i primi rubli – cinque al mese – dando lezioni private. A scuola conosce Lelija, ricca e bella, colta e sincera. Con lei si abitua a pensare, a discutere, a esprimere i propri pensieri. Marija sente però il limite di non essere capace di avere tenerezze – in famiglia mai un gesto d’affetto – e così sarà anche verso Nikolaj Nikolaevic, il futuro marito, e verso i figli. Ma questo non le impedirà di avere fiducia e amicizia verso persone che la ricambiano con aperta simpatia. Come Lina, Kapitolina Michailovna Kiricek, che ad agosto del 1885 arriva a casa della nonna, povera e desiderosa di studiare. Ha dodici anni e viene accolta come un membro della famiglia.

La cerchia di affetti di Marija si apre a zia Litvinova, sorella della mamma, al cugino Vitija, della sua stessa età e alla cugina Sasa. Maggiore di soli cinque anni, Sasa riesce a studiare nonostante il tracollo finanziario della famiglia. A diciotto anni insegna già in un villaggio, sistemando al meglio la scuola. Marija stessa la frequenta, felice e ben accolta, diventando a sua volta insegnante. D’inverno prende il servizio postale su slitta, si avvolge nella pelliccia della nonna, mette i suoi stivali foderati e per venticinque chilometri solo neve, chiaro di luna, silenzio. Purtroppo anche questi due affetti la lasciano: Vitija, divenuto medico, muore di tifo, poco dopo muore Sasa.

Marija partecipa e si adopera in un gruppo di letture collettive di testi letterari e di critica. Il lascito di un anziano signore che girava per le campagne per istruire il popolo fornisce una piccola raccolta di libri, una discreta biblioteca. Marija si getta con entusiasmo a fare qualcosa di buono e di utile e fa suo il motto letto in un libro di uno scrittore russo: Bisogna affrettarsi. Organizza piccole biblioteche nella campagna intorno a Sumy, utilizzando libri trovati in case abbandonate. È pronta ad aiutare un’insegnante al confino che diventerà sua ottima amica.

Dopo l’ottavo anno a scuola Marija riceve la medaglia d’oro e può fare gli esami di ammissione ai corsi parauniversitari, a Pietroburgo. Le donne non potevano frequentare l’università.

Con la nonna e la sorella Liza si occupa sempre dei pensionati, insegna nel ginnasio femminile di Sumy: a diciotto anni riesce ad aiutare tutti i familiari col suo lavoro. Proseguono gli incontri di lettura e le discussioni sulla situazione di quei tempi. Al gruppo si unisce un dottore che indaga sulle condizioni di vita e di lavoro nel vicino zuccherificio: ne esce un quadro terribile, Marija sente che bisogna protestare e lottare. Il dottore vorrebbe sposarla, promette di farsi carico della sua famiglia. Marija inizialmente acconsente, poi segue la sua scelta: andrà a Pietroburgo.

Il primo settembre 1896, sul treno: nuove facce, nuovi corsisti, discorsi, cibo casalingo diviso tra tutti. E Pietroburgo, il pensionato nello stesso edificio dei corsi, bellissime camere a due letti, l’incontro con Marija Vasil’evna sua coinquilina, la sicurezza di aver guadagnato abbastanza rubli per sopravvivere per sei mesi. Marija si butta nello studio, ascolta ogni lezione, ogni professore. Di sera segue la nuova amica a conferenze, frequenta ambienti colti, vede per la prima volta il futuro marito, Nikolaj.

Dopo l’inverno deve lasciare il pensionato, lavora per pochi rubli come copista, dà ripetizioni ed è costretta a trasferirsi in una stanza-cimiciaio, proprietaria una poverissima e simpaticissima vecchietta finnica. Qui resterà per tre anni.

Proseguono le serate di letture e di relazioni, anche sulle condizioni terribili degli operai negli zuccherifici, per l’atteggiamento criminale dei padroni, dell’amministrazione e delle commissioni sanitarie.

Primavera. Esami. In estate lo zio Michail, fratello prediletto della mamma, invita Marija a Poltava (Ucraina), dove lavora all’Ufficio di Statistica, frequenta gruppi di sinistra di varie correnti, marxisti e populisti. Incontra vecchi confinati coi quali discute, come Ivan Bunin (Nobel per la letteratura nel 1933).

Nel 1897 di nuovo nel cimiciaio. Marija si alza alle sei per arrivare al giornale «Mir Bozyj» (rivista mensile letteraria di divulgazione scientifica). Ma la lunga camminata, un’ora e mezza, non la stanca: ha modo di ripensare al Capitale di Marx, che legge, capitolo per capitolo ogni sera, che ripete mentalmente. Dopo il giornale le lezioni, poi a casa, dove la aspettano la vecchietta finnica col samovar, alcune giovani amiche, prima tra tutte Marija Vasil’evna che spesso va a trovarla.

1898, di nuovo esami, superati facilmente. Incontri, notizie tristi provenienti dal confino in Siberia. Marija è cambiata: la vita indipendente e la più eterogenea gioventù influiscono sulla sua interiorità spirituale: "Chi sono?" "Cosa voglio fare?" "Chi mi darà risposte e aiuto?" sono le domande più frequenti. Ecco la prima spinta: una studentessa di nome Vertova era stata arrestata e rinchiusa nella fortezza Petropavlovskaja e si era data fuoco. Nessun chiarimento sulla sua morte, in un luogo in cui era impossibile accedere al cherosene. Tutti rimangono colpiti, in quel momento i socialisti rivoluzionari hanno un ruolo sempre più importante e riscuotono solidarietà e simpatia. Proprio allora Marija decide di occuparsi della scuola operaia, situata nella zona del porto, per bambini, donne e uomini, anziani e giovani. Sa rendere vive le lezioni, e costituisce pian piano una grande famiglia. Sente la necessità di fare un giornale operaio. Propone ai suoi alunni di scrivere come se fosse sul giornale. Compare il nome di Lenin, molto popolare tra gli operai più anziani. Marija entra nelle file dei socialdemocratici e sente sempre più fare il nome di un tale, come fosse l’erede di Lenin: è Nikolaj Nikolaevic.

Nel novembre 1898 o 1899 una forte inondazione invade Pietroburgo. Marija si prodiga per salvare i bambini nel porto, aiutata dagli altri studenti e dai minatori. Viene organizzato il soccorso, sistemati letti, recuperati viveri con grande energia fisica e morale.

Scioperi e assemblee si organizzano a Pietroburgo, a Mosca e in altre città. La tensione è alta. Marija è in Finlandia da dove concretizza il primo giornale operaio, grazie al redattore del giornale, un operaio finnico.

Mentre porta le copie del secondo numero in Russia, Marija viene arrestata. Quasi un anno dura il suo isolamento, in tre diverse prigioni, un periodo di tempesta dentro e fuori di sé, di sofferenze ma anche di tempo per libri, rapporti umani, nuove amicizie. In carcere impara l’“alfabeto” dei battiti sulle inferriate. Il tubo di piombo è il modo di comunicare, anche con Marija Vasil’Evna, reclusa come lei. Quando esce dal carcere, in attesa della sentenza, Marija va a Sumy, dove è accolta con gioia, poi a Poltava. Dal confino erano rientrati Lenin e i suoi collaboratori. Centinaia di arresti, pogrom antiebraici, stragi.Una sera si presenta Nikolaij, le dà un bacio con la promessa che di lì a tre mesi sarebbero stati insieme. Seguono lettere purtroppo perse: da quel giorno, fino al 7 giugno 1948, saranno quasi cinquant’anni di vita in comune.

Dopo due settimane, di nuovo Marija è sbattuta in carcere, in una cella pulita, ma senza neanche un libro. Solo donne delinquenti che se la prendono selvaggiamente con una giovane detenuta. Di nuovo un trasferimento: a Ekaterinoslav. Pianti, angoscia, tristezza, per mesi, una sorvegliante-mostro volgare, durissima. Mentre una sentinella per 15 giorni ascolta le parole di Marija sul socialismo. Poi una rivelazione: il mostro la accompagna nella sua stanza, dove accudisce una giovane operaia ebrea molto malata.

Un giorno finalmente esce dal carcere, grazie all’intervento dello zio, ispettore tributario. Tornata a casa, la aspetta Nikolaij, che propone a Marija di scappare con lui perché è destinato al confino per 4 anni.

Inizia un’odissea: Vil’no (Vilnius), la Lituania, Berlino, dove Nikolaij frequenta i Musei, Ginevra, grande delusione coi socialisti rivoluzionari. Nikolaij comincia a dipingere paesaggi, nel 1902 si trasferisce a Parigi dove si dedica interamente all’arte, ai musei, ai dipinti. Seguono la Svizzera, Bruxelles, Londra, dove Nikolaij passa le notti a dipingere. Nel 1905 nasce Boris, nel 1906 l’amnistia concede loro di fare ritorno a Pietroburgo. Marija all’inizio si sente molto sola, ma continua i suoi corsi, insegna al ginnasio, la sera alla scuola operaia. Va a concerto e a teatro. Nikolaij riceve ordinazioni dal Museo di Stato di Mosca: è un periodo felice per la coppia.

Nel 1911 si trasferiscono a Firenze, dove Nikolaij affitta uno studio nella via degli Artisti. Ma ogni anno tornano in Finlandia per le feste natalizie, dove incontrano gli amici russi.

Qui termina l’autobiografia di Marija. Ma le parole del nipote Nicolò ci parlano di lei e di Nikolaj.

L’intenso lavoro del marito che spesso lo porta a soggiornare fuori Firenze (Vicenza, Siena, Assisi…) e la nascita di Lidia (mamma di Nicolò) allietano questi anni. Sovvenzioni pubbliche e private permettono un tenore di vita abbastanza confortevole e Nikolaj può portare avanti il proprio lavoro. Questa serenità viene interrotta bruscamente dalla guerra e dalla rivoluzione di ottobre, che segnano la fine di qualsiasi finanziamento. Le gravi difficoltà economiche spingono Nikolaj a rivolgersi alla committenza privata, prevalentemente inglese e americana.

Anche questa risorsa si esaurisce rapidamente con la grande crisi economica della fine degli anni Venti. Marija si assume il compito di garantire la sicurezza e la salvaguardia delle opere del marito conservate nello studio, di mostrarle ai numerosi visitatori stranieri, di impedirne la dispersione. Marija è diventata intanto il punto di riferimento della comunità russa di Firenze. La morte del marito nel 1948 la colpisce profondamente. Continua a vivere nel vecchio studio, circondata dalle opere del marito, nella triste consapevolezza di non poterle sistemare in Russia come avrebbe voluto Nikolaj. L’aggravarsi delle condizioni di salute la costringono a trasferirsi dalla figlia a Milano, dove muore nel 1965.

Questa voce è stata raccolta da Lucia Carla Castelli, grazie alla traduzione dell’autobiografia di Marija Mitrofanovna Sizareva, per opera del nipote, Nicolò Cruciani.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Marija Mitrofanovna Sizareva

Referenze iconografiche: immagine proveniente dall'archivio familiare.

Voce pubblicata nel: 2019

Ultimo aggiornamento: 2023