Nasce in una famiglia borghese di emigrati in Tunisia. Il padre Renato, avvocato, collaborava con la stampa locale antifascista; i fratelli Loris, Ruggero e Diana erano tutti iscritti al Partito Comunista. La militanza in questo partito valse al fratello Ruggero la persecuzione e al marito di Nadia, Velio Spano, anche lui comunista e dirigente del partito arrivato a Tunisi per sostenere il movimento antifascista italiano, due condanne a morte in contumacia. Prima a Tunisi – città multietnica e variegata per l’apporto di italiani e francesi, ebrei e musulmani, comunisti e gollisti, suore e liberi pensatori – poi in Italia, Nadia si impegnò attivamente nella Resistenza al nazifascismo tanto che, sotto il regime collaborazionista di Petain, durante l’occupazione tedesca della Francia, fu condannata per la sua attività politica. Come il marito anche lei sfuggì alla cattura e, raggiunta fortunosamente l’Italia, divenne protagonista e testimone del processo di rifondazione dello Stato e della nascita della Repubblica. Infatti, fu tra le donne elette all’Assemblea Costituente, parlamentare comunista dal 1948 al 1958, tra le fondatrici dell’Unione Donne Italiane (UDI), presieduta fino al 1958, e del settimanale «Noi Donne» che ha diretto fino al 1945; è stata inoltre attiva nella presidenza dell’ANPPIA (Associazione Nazionale Perseguitati Politici Italiani Antifascisti). Sempre dalla parte dei più deboli, impegnata nello sviluppo del Mezzogiorno, sostenne la questione femminile non come uno dei tanti problemi, ma come “il” problema del Paese. Ecco nel suo ricordo l’esercizio del diritto di voto delle donne: «Il voto alle donne in Italia da parte dei partiti fu un riconoscimento unanime in forza dei meriti acquisiti durante la guerra, cioè l’aver retto l’intelaiatura della società in anni in cui gli uomini erano assenti. Noi donne abbiamo accettato questa impostazione, anche se avremmo dovuto affermare invece il principio del diritto naturale. Tutta la propaganda elettorale per l’assemblea costituente e per il referendum si rivolgeva alle donne che dovevano votare per il prigioniero o per il bambino, per la saggezza amministrativa, cioè sempre per gli altri. Nessun richiamo, mai, era al diritto per sé. Per le donne andare a votare fu comunque importante anche se a sinistra si diceva «mia moglie vota come dico io» e nelle parrocchie il prete ammoniva ‘Dio ti vede, tuo marito no’ ma, nella cabina elettorale le donne per la prima volta hanno scelto di dare la fiducia o magari anche da chi farsi influenzare, ma hanno scelto. Sono state libere» (testimonianza Nadia Spano, intervista rilasciata al giornale «Noi donne»).

La Gallico infatti sapeva bene che gerarchie e logiche d’apparato, per quanto necessarie, contano infinitamente meno di quelle cellule di società giusta che lei ha costruito con gli altri pazientemente, per tutta la vita e a latitudini diverse.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Nadia Gallico Spano

Referenze iconografiche: Nadia Gallico Spano, 1946. Fonte: dati.camera.it.  Creative Commons Attribution 4.0 International license.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023