Siviglia fu il più popoloso centro spagnolo fino alla peste del 1649, durante la quale gli abitanti si ridussero da circa 120 mila a 60 mila. Da allora ebbe inizio una fase di declino economico e sociale, con profondi mutamenti anche nel settore artistico. La società scampata all’epidemia divenne più sensibile e partecipe, dimostrando di apprezzare un’arte più empatica rispetto al passato. Dopo aver conosciuto i chiaroscuri naturalistici di Velasquez e le rappresentazioni fastose e decorative del primo Barocco, la produzione figurativa locale espresse un sentimentalismo sempre più accentuato, che si tradusse nel cosiddetto Barocco pietista. Questa svolta è rappresentata per esempio dalla pittura di Esteban Murillo, con il quale la scultrice nota come la Roldana ebbe molti punti di contatto.

Nel 1652 Luisa nacque da Teresa de Jesús Ortega y Villavicencio e da Pedro Roldán, scultore tardo rinascimentale che istruì le figlie nella sua arte; mentre le sorelle di Luisa si dedicarono soprattutto alla colorazione e alla doratura delle statue paterne, lei volle imparare a disegnare e a modellare in modo autonomo. Poiché essendo donna non poteva effettuare studi anatomici dal vero, la giovane apprendista li sostituì con la copia da stampe di opere famose, giungendo così a padroneggiare anche la descrizione del corpo umano.

Il lavoro di Luisa contribuì notevolmente al lustro della bottega paterna, che se ne giovò anche dal lato economico. Probabilmente il padre non voleva che la giovane diventasse autonoma proprio per questo: infatti si oppose decisamente al suo matrimonio con Luís Antonio de los Arcos, anche lui artista. Le cronache del tempo riferiscono che Luisa aveva un carattere introverso, incline alla tristezza ma determinato; tanto è vero che si appellò al giudice, ottenendo di sposarsi nel 1671. Con il tempo la Roldana recuperò i rapporti con il padre; ebbe poi sette figli, diversi dei quali morti precocemente, e una vita segnata dalle difficoltà economiche.

Fino al matrimonio le opere di casa Roldan erano tutte a firma paterna, ma gli studiosi notano comunque alcune differenze di stile: mentre il padre conservava una visione tradizionale delle figure e delle composizioni, la figlia si soffermava anche sui dettagli del panneggio e delle espressioni, ottenendo maggiore resa patetica e dinamismo. Dopo sposata Luisa lavorò per qualche tempo con il marito, che ne curava l’amministrazione, ma anche allora l’intervento della scultrice si distinse per il tono commovente e per il modellato più dolce e naturale.

La Roldana, pur senza mettere in discussione il rapporto con il marito, iniziò a firmare le proprie opere dopo il trasferimento a Cadice, dove raccolse molta stima da parte dei committenti. Siccome una donna non poteva praticare l’arte se non dietro la protezione di un padre o di un consorte, l’artista tentò di iscriversi all’associazione che garantiva i diritti di mestiere; ma questa respinse la sua richiesta, lasciandola senza tutela per quanto riguarda il rispetto dei contratti e dei pagamenti. Infatti, nonostante gli apprezzamenti, Luisa Roldan non conobbe mai la tranquillità economica: in questo periodo i continui problemi della sua famiglia sono attestati anche dalla vendita di una schiava (in Spagna la schiavitù fu abolita solo sul finire dell’Ottocento) e dell’argenteria.
Le cronache non dicono più di tanto a proposito della decisione della Roldana di abbandonare la sicurezza della firma congiunta per presentarsi da sola; ma è evidente che questa assunzione di responsabilità esprimeva una forte consapevolezza di sé: per quanto persino controproducente dal punto di vista sindacale e finanziario, la firma autonoma rimase per la scultrice una conquista irrinunciabile.

Tra le opere eseguite a Cadice si segnala la scultura in legno dell’Ecce Homo. Questa evidenzia - pur sottoposta negli anni ad alcuni rimaneggiamenti, dovuti probabilmente alla deperibilità del materiale - i tratti salienti del linguaggio di Luisa: l’anatomia naturalistica, i dettagli mossi delle capigliature, la policromia, la resa del pathos.

A Madrid, dove si spostò nel 1688, l’artista richiamò l’attenzione dei Reali che le commissionarono diverse opere. Il suo S. Michele vittorioso sul demonio ottenne particolare successo e le procurò la nomina come Scultrice di Corte, prima e unica donna a rivestire questa funzione durante il regno di Carlo II e Filippo V. La minima rendita assegnata alla Roldana, tuttavia, non migliorò la sua condizione finanziaria; anche la domanda dei clienti era orientata sempre più spesso verso opere devozionali, piccole ed economiche rispetto ai grandi gruppi scultorei. Eppure proprio questi lavori meno retribuiti costituiscono la parte più significativa della sua opera.

Nel 1706 Luisa Roldan venne ammessa all’Accademia romana di S. Luca, onore che mai prima né dopo fu concesso ad un’artista spagnola. Ma la scultrice non fece in tempo ad esserne informata perché morì a Madrid nel giorno stesso della nomina; aveva cinquantadue anni ed era consumata dalle tribolazioni e dalla miseria, tanto che sentendosi alla fine aveva firmato una dichiarazione di povertà per ottenere una sepoltura dignitosa.

La produzione di Luisa comprende soprattutto lavori in legno o terracotta policroma. Le sue figure si segnalano in particolare per l’empatia e l’espressività, accompagnate da delicatezza di esecuzione e panneggio accurato. Nel gruppo con L’estasi di Maria Maddalena, per esempio, la santa è raffigurata al momento della morte, circondata da angeli e da numerosi simboli che raccolgono le diverse tradizioni che riguardano questo personaggio: la base rocciosa indica il deserto dove Maddalena trascorse gli ultimi anni in penitenza, il serpente rappresenta Satana con le sue tentazioni, il recipiente con l’unguento ricorda le mollezze della precedente vita dissoluta, il Libro si riferisce alla Conoscenza, la lucertola che cerca il sole allude all’anima in cerca della luce divina, i gigli sono simbolo di purezza mentre i conigli rappresentano la lascivia, il teschio rammenta la precarietà della vita e ne promette una nuova nell’aldilà.

La Roldana sapeva rinnovare in maniera originale la composizione e l’iconografia dei suoi soggetti; questi erano per lo più religiosi ma presentavano tratti fortemente umanizzati e per molti aspetti segnati dall’appartenenza di genere: in scene tipiche della tradizione - come la nascita di Cristo o della Vergine, l’allattamento del Bambino, l’educazione di S. Anna, l’accudimento di alcuni personaggi durante la malattia o la morte e il compianto durante la loro sepoltura - la scultrice trasferiva la propria esperienza di donna, protagonista di numerosi eventi drammatici affrontati nel corso della vita. Per Luisa anche la resa tridimensionale delle lacrime, del sudore e del sangue, contribuiva a narrare il complesso rapporto fra umano e sovrumano.
Di fronte alla crisi stringente del mondo che la circondava, la Roldana interrogava il passato con occhi nuovi e attraverso l’emozione rendeva ogni vicenda attuale, comprensibile e condivisibile. Ricondurre il trasporto mistico e spirituale dei personaggi ad un’esperienza insieme corporea fu un modo efficace di rivitalizzare la raffigurazione tradizionale, che spesso si era tradotta in una idealizzazione della realtà.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Luisa Ignacia Roldan

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Voce pubblicata nel: 2023

Ultimo aggiornamento: 2023