Le notizie biografiche su Ottavia Mellone Vitagliano sono scarse: raramente raccontò di sé e gli altri raccontarono ancor meno di lei. È tuttavia possibile tracciare il suo profilo ripercorrendo la produzione della casa editrice che diresse in tempi per nulla benevoli verso le donne, a maggior ragione se a capo di aziende. Le scelte che operò sono, di fatto, un aiuto per la ricostruzione della sua personalità.

Ottavia Mellone nacque a Milano il 27 febbraio 1894 in una famiglia di modeste condizioni. Il padre Igino era usciere presso la Cassa di Risparmio di Lombardia, la madre, Giulia Piacentini, casalinga. Ottavia ebbe certamente un fratello e una sorella di nome Settimia.

Assunta dapprincipio come dattilografa, divenne segretaria di Antonino (Nino) Vitagliano (Palermo 1885-Milano 1933) quando questi, dopo una breve esperienza lavorativa come editore, maturata prima a Palermo e in seguito a Napoli, decise di trasferire l’attività a Milano. Alla passione per il teatro, che lo aveva spinto a fantasticare una carriera da regista, Nino aveva unito l’interesse per il cinema e poi per la carta stampata avviando, nel 1918, una casa editrice specializzata in tali filoni. Il 1° luglio 1920 fondò l’omonima società in nome collettivo a cui si associò il conterraneo Enrico Cavacchioli, commediografo, giornalista e poeta futurista.

Nino e Ottavia, che si sposarono il 26 ottobre 1916, ebbero due figli: Rossana (Milano 1917- ivi 1971) e Giovanni (detto Gionni, Milano 1918-ivi 1973). Con il matrimonio Ottavia abbandonò definitivamente il suo cognome per adottare solo ed esclusivamente quello del consorte, certamente per uniformarsi alla legge – che però contemplava la possibilità di utilizzare in combinata entrambi i nomi di famiglia –, ma forse pure nella speranza di cancellare così un passato che non amava ricordare.

La nascita dei bambini la dissuase dal separarsi dal marito: una mente brillante per quanto concerneva l’editoria, non solo teatrale e cinematografica, ma assolutamente incapace di amministrare in modo proficuo il lavoro dal punto di vista finanziario. A conferma di tale incapacità gestionale, nel 1921, Nino fu costretto a cedere l’azienda alla Bemporad che, nel 1924, la pose definitivamente in liquidazione.

Nonostante il tracollo, Vitagliano non rinunciò a occuparsi del settore e già nel 1921 avviò un ulteriore progetto: la Casa Editrice Italiana Gloriosa. Rispetto alla precedente in questa seconda esperienza egli puntò tutto su autori popolari come Ponson du Terrail, Xavier de Montépin, Alexandre Dumas ed Emilio Salgari. Furono confermati, o entrarono in “scuderia”, come illustratori di libri per grandi e piccini, Antonio Rubino, Sergio Tofano, Filiberto Scarpelli, Enrico Sacchetti, Domenico Natoli e il pittore Guido Tallone.

Il maggiore impulso fu però dato alle pubblicazioni periodiche, in primis a quelle di cinema, inteso come mito hollywoodiano. «Cine-Cinema» (1924) fu, infatti, uno dei primi rotocalchi popolari dedicati agli appassionati del genere. Tutta la produzione originò a sua volta una miriade di supplementi monografici e seriali che ampliarono ulteriormente la platea dei fruitori. Di grande rilievo fu altresì «Excelsior» (1926), un mensile, poi settimanale, molto illustrato dove le notizie di cinema, teatro, moda, sport, i consigli di bellezza e le immancabili novelle, avevano un peso preponderante.

All’iniziale direzione di Nino Vitagliano e poi del palermitano Giuseppe Faraci seguì, nel 1929, quella di Ottavia. Fu con questa testata che il nome di Ottavia, divenuta giornalista pubblicista nella seconda metà degli anni Venti, entrò a far parte del mondo dell’editoria con un ruolo di primo piano. Non va per nulla esclusa, infatti, una sua antecedente partecipazione alla gestione della casa editrice, almeno dietro le quinte. Il grande fiuto per gli affari che la contraddistingueva, sostenuto dal carattere d’acciaio di cui era dotata, contribuì alla sua “scalata” nell’amministrazione dell’impresa che necessitava, con sempre maggiore urgenza, di una figura dirigenziale in sostituzione di quella del marito, il cui precario stato di salute andava via via aggravandosi. Tali qualità sopperirono al suo insufficiente bagaglio culturale.

A «Excelsior» seguì nel 1930, «Zenit» (dal 1938 «Le vostre novelle»), un settimanale di novelle e romanzi per il pubblico femminile, ormai consolidato bacino di utenza di Vitagliano. Il giornale rimase in edicola fino al 1961. Anche in questo caso la direzione venne affidata a Ottavia, dopo essere stata prima di Nino e poi di Faraci. Negli anni «Le vostre novelle», fino al 1946 diretto dalla signora Vitagliano, seppe stemperare, insieme ad autori nazional-popolari, firme come quelle di Arthur Schinitzler, Tristan Tzara e Aldous Huxley.

Il successo della rinnovata casa editrice è confermato dalla bozza di un’informativa della Questura datata 22 gennaio 1933. La Gloriosa, si legge, dava impiego a una ventina di persone e consentiva alla proprietà di abitare in un appartamento per il quale pagava un canone d’affitto di 20mila lire annuali e di disporre di personale domestico, cuoca e autista. Grazie alle vendite, compresi «Zenit» ed «Excelsior» che da soli raggiungevano le 110mila copie di diffusione, Vitagliano riottenne il marchio originario ceduto a Bemporad, e acquisì un’officina tipografica, le cui dimensioni necessitavano di molto più personale di quello utilizzato rispetto a prima, sempre secondo la succitata bozza. L’officina permise all’impresa di emanciparsi dalla tipografia Rizzoli da cui dipendeva. Anzi rovesciò i ruoli. Ora era lei che stampava per la concorrenza.

Nino morì a Milano il 12 settembre 1933 e Ottavia divenne titolare dell’azienda a tutti gli effetti. In una intervista, forse l’unica, che rilasciò al «Corriere della Sera», sostenne che alla scomparsa del marito si trovò a un bivio: liquidare la ditta e vivere con una piccola rendita oppure rimboccarsi le maniche – quindi occuparsi di rotative, salari, costi di produzione, rivendite, ecc. – e confermare quello che Nino, da tempo, pensava di lei, ovvero che fosse perfettamente in grado di sostituirlo. Il suo impegno, persino nel dare la propria impronta all’impresa, fu totale.

Avvalendosi della stampa a rotocalco, che tanto contribuì all’espansione del settore periodico, lanciò alcune testate sportive come «Cosmos», acquisita in occasione dei mondiali di calcio del 1934, e «Azzurri» (1934). Ma a godere di un nuovo input furono, ancora una volta, i settori dei femminili e dei cinematografici.

Oltre alla diversa concretezza nel dirigere la società, i coniugi differivano nel sostegno a Mussolini: tiepido per lui (nonostante l’iscrizione al Partito Nazionale Fascista dal 1924 e il ricevimento, nel 1930, della Commenda dell'Ordine della Corona d'Italia), partecipato per lei, ma sempre tenendo ben separati fede e portafogli. Paradigmatico, per delineare la figura di Ottavia, è il settimanale «Eva» uscito nell’aprile 1933, ceduto a Rusconi nel 1964 divenne «Eva Express» nel 1969. La “rivista per la donna italiana” venne proposta a lei, e non a Nino, sebbene ancora in vita, da Rosa Menni Giolli, colta e originale proto-designer interessata al tessile, all’architettura e all’arredamento, e da Rina Simonetta, giornalista di moda e direttrice di «Fior di eleganza». Secondo i ricordi del nipote di Vitagliano, la pubblicazione di questo femminile venne avallata dalle alte gerarchie romane a conferma degli ottimi rapporti di Ottavia con le autorità. Tra quelle di peso vi fu Roberto Farinacci, suo amico e legale anche in una negoziazione che sfociò nel dopoguerra in un complesso procedimento giudiziario che comprese il fallimento della CEM, la casa editrice di Cino Del Duca, l’utilizzo dell’annessa tipografia e la stampa di due fogli di regime, «Donna rurale» e «Tempo». Del Duca in quell’occasione mise in serie difficoltà l’impero Vitagliano, la cui difesa fu sostenuta nel 1948 da un collegio di principi del foro, tra i quali Piero Calamandrei.

La sincera adesione al fascismo non fu di ostacolo nemmeno al legame lavorativo con Menni la cui avversione alla dittatura era nota. La bontà del progetto, confermato dalle più di 100mila copie vendute già a luglio, fece slittare in secondo piano le eventuali divergenze politiche e caratteriali tra le due donne. Come avvenne per «Excelsior» e «Zenit», Vitagliano, che si incaricò della direzione di «Eva» celandosi dietro lo pseudonimo a lei caro di Sonia, firmò la rubrica della posta. La corrispondenza con i lettori, donne e uomini, non fu mai una sezione marginale. Menni racconta, nella sua autobiografia, del numero spropositato di missive che arrivavano al giornale, prova che, nonostante la durezza di carattere sfoderato nella vita reale, Ottavia sapeva giungere al cuore del pubblico. Tramite «Eva», l’editrice ingaggiò una sorta di competizione con gli altri periodici femminili, in particolare con la coeva «Lei» di Rizzoli. Competizione giocata non solo sui diversi argomenti trattati – ad esempio il cinema per «Eva» e il teatro per «Lei» –, ma pure sui toni e i comportamenti indicati come modelli da seguire, più impertinenti per «Eva», più discreti per «Lei». «Eva», come molta della produzione della casa, puntò parecchio sulla fotografia. Tra le autrici delle copertine emergono due delle fotografe più ricercate del decennio: Ghitta Carell Klein, ebrea ungherese naturalizzata italiana, e l’inglese Eva Barrett. Mentre quelle di moda furono talvolta affidate agli scatti di Mario Camuzzi e Mario Crimella, altri nomi di grido.

In catalogo comunque non mancarono pubblicazioni fortemente orientate come Libro e Moschetto, un volume per i giovani dedicato ai principi del fascismo e, dopo l’8 settembre 1943, «Donne d’Italia», un numero unico a cura dei gruppi femminili fascisti repubblichini.

Dopo la Liberazione, ricorda il nipote, Ottavia sfuggì a una condanna a morte per i suoi trascorsi politici grazie all’intervento di amicizie non compromesse con il regime.

La linea editoriale del secondo dopoguerra continuò a essere all’insegna del cinema e delle novelle. Uscirono «Hollywood» (1945), «Novelle film» (1947) e «Festival» (1953), tutti e tre diretti da Adriano Baracco, e «Cineromanzo» (1950). La rivista «Cinema», più specialista, in passato guidata anche da Vittorio Mussolini, venne assorbito da Hoepli nel 1948. La redazione, con a capo Guido Aristarco, fu guidata prima dal fedele Baracco e poi, dal 1953, da Vitagliano. La testata cessò nel 1956.

Di grande rilievo fu l’acquisto, nel 1951, di «Settimo giorno», il settimanale di attualità politica e varietà di Gianni Mazzocchi, che aveva lavorato per due anni come collaboratore di Nino, amico di padre Giovanni Semeria, fondatore, con Gio Ponti, di «Domus», la rivista di architettura assorbita da Mazzocchi nel 1929.

Il 1957 fu l’anno di «Football» che ebbe come responsabile Carlo Caracciolo, futuro fondatore della Società Editoriale La Repubblica. Il 1958 fu quello di «Rossana» (1958), che portava il nome dell’amatissima figlia che lo diresse. Con «Cronos» (1958) l’impresa entrò in uno dei settori che conobbero maggiore fortuna in quegli anni, quello enciclopedico.

La fama, consolidata da tempo, fece guadagnare a Ottavia diversi riconoscimenti. Nel 1953 fu insignita del titolo di Commendatore dell’Ordine al Merito della Repubblica Italiana, nel 1955 venne eletta presidente del Soroptimist di Milano, un’associazione mondiale di donne professioniste. E nel maggio 1961, il Club 71, costituito dagli ex allievi del collegio San Carlo, la premiò per l’attività svolta. La cerimonia venne persino ripresa dall’Istituto Luce.

A testimoniare ulteriormente la bontà delle scelte operate, tra gli anni Cinquanta e Sessanta, lo stabilimento rotocalcografico venne rinnovato con macchinari modernissimi dove trovarono lavoro una cinquantina di impiegati e circa duecento operai. Era la stessa tipografia dove Ottavia, durante gli anni della guerra, aveva saputo tenere testa al potente Mondadori che, pur stimandola, spesso si era lamentato dei risultati scadenti delle sue rotative.

Oltre a essere editrice e imprenditrice Ottavia fu pure autrice. A parte alcuni libri per ragazzi, scrisse Proibito sognare, un’opera dal titolo non casuale, tra il romanzo e l’autobiografia, ma priva di riferimenti concreti e quindi di difficile uso per ricostruire le vicende personali e dell’azienda, eccetto per la definizione che diede di se stessa come dotata di un’intelligenza più maschile che femminile. L’opera uscì nel 1965 per i tipi della N.E.V. (Nuova Editrice Vitagliano) avviata l’11 marzo 1965 probabilmente al solo scopo di pubblicare quell’unico volume.

Salvator Gotta, uno degli autori più amati tra le due guerre, nel suo Almanacco la descrisse dotata di straordinaria energia e di forte intelligenza. Fu una grande combattente, da sempre politicamente orientata a destra, dispotica fino al punto di tessere, persino con i familiari più stretti, un travagliato legame. Costantemente alla ricerca del successo, anche quando questo significò attirare l’inimicizia di molti, fu pronta a sostenere aspri contrasti, come avvenne con le organizzazioni sindacali. Ciononostante seppe ugualmente instaurare un clima di rispetto con colleghi e maestranze. Fu prodiga con molti enti di beneficenza tanto da ricevere la medaglia d’oro dell’Ente comunale di assistenza di Milano, e dell’Associazione volontari del sangue. Come tanti imprenditori del suo campo, primi tra tutti Rizzoli e Mondadori, si era fatta da sé, e forse come loro, talvolta era ricorsa a manovre non sempre corrette, abusi che, a sua volta, subì. Negli ultimi anni di lavoro, e non solo a causa di figure poco limpide del settore economico-finanziario con cui era entrata in contatto, perse gran parte del patrimonio accumulato. Oltre che con l’editoria, il dissesto è imputabile a investimenti sbagliati in campo edilizio – come amministratore unico della Spa Immobiliare Vitagliano e della Spa Immobiliare Maffei, come gerente dell’accomandita semplice Esperia, un’impresa attiva nel campo della grafica – e in campo alberghiero, come proprietaria dell’Imperiale Palace Hotel di Santa Margherita Ligure.

A ciò si aggiunse il dolore per la perdita dei figli: Rossana, affetta dalla stessa malattia ereditaria che uccise il padre, scomparve nel 1971 a 54 anni, e Giovanni, con cui ebbe un rapporto tempestoso che ebbe inizio a causa del rifiuto, da parte del giovane, di partire volontario per il fronte russo, si spense nel 1973 a 55 anni. Ottavia Vitagliano morì a Milano l’8 aprile 1975.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Ottavia Vitagliano

Archivio di Stato di Milano, Prefettura, Gabinetto, 1 Versamento, fasc. Vitagliano comm. Antonio casa di editrice

P. Caccia, M. Mingardo, Rosa Menni Giolli: le arti e l’impegno, Milano, Enciclopedia delle donne 2020

C. Carotti, La casa editrice Vitagliano anche Gloriosa, «Wuz», 2007, n. 5, pp. 16-22

C. Carotti, Da Nino a Ottavia, la Gloriosa Vitagliano, 1933-1965, in «Wuz», 2007, n. 6, pp. 20-24

Dizionario biografico delle donne lombarde, 568-1968, a cura di R. Farina, Milano, Baldini & Castoldi 1995

Forme e modelli del rotocalco italiano tra fascismo e guerra, Milano, 2-3 ottobre 2008, a cura di Raffaele De Berti e Irene Piazzoni, Milano, Cisalpino 2009

S. Gotta, L'almanacco di Gotta, Milano, A. Mondadori 1958

M. Serra, Parlano due signore a capo di grandi aziende, «Corriere della sera», 4 dicembre 1958

Soroptimiste, colte, impegnate, generose, donne nella Milano del '900, a cura di M. Sami e L. Vergnano Pecorella, Milano, Società per l'enciclopedia delle donne 2018

Referenze iconografiche: copertine di riviste dell'epoca, collezione privata.

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2023