Nota come la «Gentile Signora» corrispondente per un trentennio di Carlo Emilio Gadda (Lettere a una Gentile Signora, Adelphi, Milano, 1983) Lucia Morpurgo fu innanzitutto una colta e raffinata epistolografa nonché lettrice attenta e informata sugli sviluppi delle letterature straniere in un’epoca di cieca autarchia, infine traduttrice – soprattutto dall’inglese ma anche dal tedesco – e, in alcuni rari ma preziosi casi, consulente e collaboratrice segreta di alcuni importanti scrittori del Novecento.

Originaria di Trieste, dove era nata il 25 novembre del 1901, Lucia Morpurgo era figlia di Giulio, importatore di coloniali, caffè e droghe, discendente da una famiglia ebrea di origine tedesca, e di Olga Samaya, nata a Trieste nel 1867, figlia di Giacomo e di Elisa Tobia (di origini venete, proprietaria di alcuni terreni in quella regione). Giacomo Samaya era sensale e nel 1874 aveva ottenuto l’autorizzazione a operare nel Porto Franco di Trieste dal padre Salomon Abram. Durante l’estate del 1913 Giulio Morpurgo, per ampliare il suo traffico commerciale e scongiurare le tensioni sul fronte austriaco, decise quindi di trasferirisi a Genova. Qui Lucia completa i suoi studi ottenendo il diploma magistrale nel 1920 presso la Regia Scuola Normale Femminile Lambruschini (frequentata anche dalla sorella maggiore Enrica e da Marianna Montale, sorella del poeta, di sette anni più grande di Lucia). La vita a Genova dovette apparirle immediatamente provinciale se messa a confronto con la Trieste mitteleuropea in cui era cresciuta e che le aveva permesso, prima di approdare in Liguria, di iniziare lo studio delle lingue moderne. Non paga della sua nuova condizione, nel 1925 partì per un lungo viaggio in Olanda e in Francia, alla ricerca di stimoli culturali e intellettuali.

Dopo il diploma, Lucia si iscrive all’Accademia Ligustica di Belle Arti di Genova dedicandosi con profitto allo studio del disegno dei gioielli e al ricamo tanto che nel 1925 e nel 1927 i suoi lavori sono esposti nelle sale liguri della II e III Mostra Internazionale delle Arti Decorative di Monza di cui era direttore Mario Labò, dal 1918 marito di sua sorella Enrica. A metà degli anni ’20 frequenta quindi una ricca schiera di giovani pittori e artisti che si radunano ai margini della città, negli studi dei fratelli Fausto e Oscar Saccorotti, in via Cabella, e di Paolo Stamaty Rodocanachi, in via Montaldo. Proprio nello studio di Cian (soprannome di Paolo Rodocanachi, nato a Genova nel 1891, figlio del Console greco Dimitri Stamaty) Lucia incontra, oltre agli scultori Arturo Martini e Francesco Messina, e i pittori Emanuele Rambaldi e Nanni Servettaz, anche alcuni poeti: Camillo Sbarbaro in primis, ma anche Eugenio Montale – che di lì a poco avrebbe pubblicato da Gobetti Ossi di seppia – e Adriano Grande poi, più tardi, Angelo Barile. Saranno loro i corrispondenti epistolari, e in seguito i frequentatori di più lunga durata, di Lucia quando, dopo aver sposato Paolo Rodocanachi nel 1930, i due si trasferiscono ad Arenzano, nella riviera ligure di Ponente. Dalla loro «casetta rosa su due piani, costruita e arredata su progetto di Paolo fra il 1934 e il 1935 nel parco della villa della contessa De Singe, là dove l’abitato lasciava il passo alle fasce ad ulivi, sul promontorio che a levante chiude la vista di Genova» (Federica Merlanti, Lucia Rodocanachi tra arte e letteratura, in Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, a cura di Franco Contorbia, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2006, p. 18), Lucia intrattenne una fitta corrispondenza con le amiche scrittrici (tra cui Gianna Manzini, Irene Brin, Orsola Nemi – pseudonimo di Flora Vezzani – Lola Grande, Ottavia Menzio e Elena Vivante) e con molti dei più importanti letterati e artisti che negli anni ’30 popolarono il panorama culturale italiano, mantenendo con questi rapporti di amicizia e di collaborazione che proseguirono fino alla sua scomparsa, il 22 maggio del 1978.

Il corpus che conserva questi documenti raggiunge le 2.700 unità: si tratta per lo più di lettere e cartoline che, dal 2001, sono state depositate, ordinate e catalogate nel Fondo Morpurgo-Rodocanachi della Biblioteca Universitaria di Genova. Tra i carteggi più notevoli, da segnalare quello con Camillo Sbarbaro, composto da quasi settecento carte tra lettere, cartoline e biglietti inviati dal poeta a Lucia e, in misura minore, al marito tra il 1929 e il 1967 (Catalogo delle lettere di Camillo Sbarbaro a Lucia e Paolo S. Rodocanachi. 1929-1967, a cura di Carla Peragallo, introduzione di Franco Contorbia, S. Marco dei Giustiniani, Genova, 2006); mentre quello con Eugenio Montale è contenuto nelle 167 lettere spedite dal poeta alla donna, a Genova e ad Arenzano, tra il 28 aprile del 1928 e dicembre del 1947. Fu proprio Montale a promuovere l’incontro di Lucia con gli altri scrittori del gruppo: nel 1935 con l’americano Henry Furst del «New York Times» – poi marito di Orsola Nemi – l’anno successivo con il critico Carlo Bo e, ancora prima, nel 1933, con Sebastiano Timpanaro, Carlo Emilio Gadda e Elio Vittorini conosciuti durante un importante viaggio della donna a Firenze e, non da ultimo, Bobi Bazlen nel 1939 insieme con il poeta Sergio Fadin, poi scomparso prematuramente per tisi nel 1942. Nella casa di Arenzano, Lucia Morpurgo e Paolo Rodocanachi accolsero gli amici ad appuntamenti fissi, uno il 26 dicembre, a Santo Stefano, l’altro il Lunedì dell’Angelo, come ricorda lei stessa nel 1977 in uno dei suoi rari interventi pubblici:

Erano ancora gli anni in cui Sbarbaro ci invidiava la nostra qualità di cittadini stranieri in un paese dittatoriale, vantaggio tanto duramente pagato da tutti e due; ma già in quegli anni di apparente consenso si delineavano tutti gli indizi che avrebbero presto fatto addensare le nuvole e generato esclusioni e isolamenti. Fu forse questa una ragione di far desiderare di riunirsi in una casa amica, e a dare inizio a quei ritrovi il giorno di Santo Stefano e il lunedì dell’Angelo (compiuti i doveri famigliari del giorno precedente) per dar modo così a Montale, venuto da Firenze, di incontrare gli amici liguri. (L. Rodocanachi, Amici degli anni Trenta, in Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, cit., pp. 33-34.)

Nel 1940 la guerra si abbattè sul gruppo di amici ma, in particolare, sulla coppia che in un primo momento fu costretta al domicilio coatto a causa delle origini greche di Paolo, poi rischiò l’internamento per le incerte e ignote origini di Lucia la quale, per un breve periodo, fu anche incarcerata a Genova. Salvata in extremis, i due furono costretti a lasciare la casa di Arenzano e, ad agosto del 1944, si rifugiarono in valle di Cantarena, sfollati con altre persone nell’abitazione di Checchin Morandi. Solo un anno dopo, nell’estate del 1945, riuscirono a rientrare in possesso della propria abitazione che nel frattempo era stata occupata prima dai tedeschi e poi dagli americani. Nel 1958 la scomparsa di Paolo Rodocanachi fece sprofondare Lucia in una vasta solitudine, alleviata solo dall’intensificarsi dell’attività artistica e letteraria, dalle visite sempre più rare di alcuni amici e dalla passione per la botanica. La traduzione letteraria, a cui si dedicava già dagli anni ’30, e la sue vaste letture le permisero però di mantenere e sviluppare negli anni un suo singolare ruolo di consulente segreta di scrittori, editori e amici letterati.

A questo ruolo di ignota suggeritrice contribuì anche il suo carattere, restio ad apparire in pubblico, riservato e portato per natura a svolgere e a coltivare le proprie passioni in modo volontariamente appartato, lontano dai clamori della società. Proprio in relazione alla sua attività di traduzione, nel 1978 ha destato particolare scalpore il racconto di Giuseppe Marcenaro, primo custode delle carte e attento biografo di Lucia Rodocanachi, sui rapporti di collaborazione intrattenuti da quest’ultima con Elio Vittorini. In un suo articolo, uscito sulla rivista «pietre» (G. Marcenaro, Lucia Rodocanachi, in «pietre», IV, 4-5, aprile-maggio 1978), lo studioso rivelava infatti per la prima volta quale era stata la portata di quella collaborazione iniziata nel ’33 e il ruolo decisivo, e non riconosciuto, della "signora di Arenzano" nelle traduzioni di autori stranieri pubblicate e firmate dal solo Vittorini. I risvolti reali di questa vicenda sono stati poi ricostruiti nel dettaglio da Andrea Aveto nel momento in cui è stato possibile consultare l’intero corpus del carteggio Vittorini-Rodocanachi (A. Aveto, Elio Vittorini e Lucia Rodocanachi, in Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, cit., pp. 153 -192) e sono state in parte ridimensionate alcune accuse mosse allo scrittore siciliano, anche in seguito alla pubblicazione delle lettere di Vittorini (E. Vittorini, Si diverte tanto a tradurre? Lettere a Lucia Rodocanachi 1933-1943, a cura di Anna Chiara Cavallari, Edoardo Esposito, Archinto, Milano, 2016).

Resta il fatto che Lucia Rodocanachi veniva periodicamente interpellata da Vittorini, ma anche da Montale, Gadda e Sbarbaro, sulla possibilità di fornire capitoli o interi lavori di traduzione di autori inglesi e americani e di suggerire nuove letture per ulteriori pubblicazioni. Accadde per la celebre antologia Americana, curata da Vittorini per Bompiani nel 1941, ma anche per le prime tre traduzioni di David Herbert Lawrence su cui i due lavorarono insieme, ma furono firmate dal solo Vittorini che le pubblicò nella collezione «Medusa» della Mondadori tra il 1933 e il 1935, senza peraltro che la Rodocanachi ricevesse il dovuto compenso. Ma Lucia fu anche traduttrice in proprio e, dopo aver firmato nel 1943 per Bompiani la sua versione italiana di Die Elixiere des Teufels di Hoffmann, nel dopoguerra collaborò con importanti case editrici quali Garzanti, Longanesi, Frassinelli ed Einaudi firmando tra l’altro per i «Gettoni» la traduzione italiana del Ritratto di giovane artista del poeta gallese Dylan Thomas, pubblicato nel 1955 nella collana diretta dallo stesso Vittorini.

Per tutti questi scrittori Lucia Rodocanachi fu sempre la "Gentile Signora" di Arenzano, ospite accogliente ed esperta di arti culinarie, la "Sévigné del nostro tempo" come la definiva Montale il 3 giugno del 1933: «[…] lei diverrà la Sévigné del nostro tempo … mi scusi se le scrivo così malamente, mentre le sue lettere si fanno sempre più degne d’antologia …Ormai nessuno la salva più dall’antologia des femmes des lettre» (G. Marcenaro, La casa rossa, C. E. Gadda, Lettere a una gentile Signora, cit., p. 27), dall’essere stata per più di cinquant’anni la colta e raffinata confidente, la Musa segreta, di una folta schiera di scrittori.


Fonti, risorse bibliografiche, siti su Lucia Morpurgo Rodocanachi

Giuseppe Marcenaro, Una amica di Montale. Vita di Lucia Rodocanachi, Camunia editrice, Milano, 1991

Carlo Emilio Gadda, Lettere a una gentile Signora, Adelphi, Milano, 1983

Lucia Rodocanachi: le carte, la vita, a cura di Franco Contorbia, Società Editrice Fiorentina, Firenze, 2006

Elio Vittorini, Si diverte tanto a tradurre? Lettere a Lucia Rodocanachi 1933-1943, a cura di Anna Chiara Cavallari, Edoardo Esposito, Archinto, Milano, 2016.


Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024