Enrico VIII, re d’Inghilterra e signore d’Irlanda, sposò la giovane Kathryn Howard nel luglio del 1540, incoronandola così sua regina. La fece decapitare per alto tradimento un anno e mezzo più tardi, nel febbraio del 1542.

Tutto ebbe inizio quando lo zio di Kathryn, Sir Thomas Howard terzo duca di Norfolk, la introdusse alla corte di Londra quale damigella d’onore della quarta sposa del sovrano, la tedesca Anna di Clèves.

Kathryn aveva perso la madre all’età di nove anni, e il padre, Lord Edmund Howard, l’aveva affidata alla zia, la duchessa Agnes Howard, vedova del secondo duca di Norfolk. Nella grande magione di Horsham, nell’incantevole campagna del Sussex, Kathryn crebbe con molta libertà, scarsa istruzione, e poco controllo da parte dell'anziana zia.

A tredici anni ebbe un breve legame con il suo maestro di musica, Henry Mannox. La duchessa li trovò che si baciavano in un sottoscala del palazzo: s'infuriò con entrambi, e cacciò via lui.

Kathryn iniziò allora una relazione con un gentiluomo del luogo, Francis Dereham, che avrebbe voluto sposarla. Ma quando si trasferì a Londra nella dimora della zia in Lambeth Road per essere presentata a Corte, e diventare damigella d’onore della regina Anna di Clèves, il rapporto s’interruppe: la fanciulla aveva più alte ambizioni. Quando divenne regina, Kathryn nominò Francis suo segretario.

Kathryn non era una bellezza come sua cugina Anne Boleyn, la sventurata seconda moglie di Enrico VIII. Ma era giovane, fresca, gli occhi color cielo, i bei capelli di rame, e una cert’aria disinvolta che stuzzicò l’interesse del sovrano. Ben presto infatuato di lei, Enrico fece dichiarare nullo il matrimonio con la sua quarta moglie, Anna di Clèves, e sposò Kathryn.

Lei fu gentile con lui, ormai anziano e forse incapace di procreare. Le sue attenzioni lo portarono a pensare che la nuova sposa davvero lo amasse. Si sentì ringiovanire, la piaga al polpaccio di cui soffriva da anni – infetta, purulenta, curata con medicazioni di perle macinate e cauterizzazioni che gli strappavano urla – sembrava rimarginarsi. Ed era felice. “Kathryn è la mia rosa senza spine”, ripeteva trasognato davanti a tutta la corte. La copriva di regali, disegnava nuovi gioielli per lei, le donava proprietà, castelli, e perfino, sembra, la splendida dimora di Hampton Court.

Tra i valletti di camera al servizio del sovrano ce n’era uno, il bellissimo e ambizioso Thomas Culpeper. Kathryn se ne innamorò e lui ne approfittò, forse nella speranza di darle un figlio che avrebbe potuto diventare re. A corte cominciarono i pettegolezzi e le allusioni alle spalle di Enrico.

Durante una visita dei sovrani nelle contee del Nord, Kathryn inviò a Thomas una lettera compromettente. Lui era malato e lei gli scriveva “Mi fa morire il cuore quando penso che non posso essere con voi. (...) Venite da me quando c’è Lady Rochford, perché così sarà più facile essere insieme. (…) Vorrei che voi siete con me a vedere la fatica che ci metto a scrivervi (...)”.

Lo scandalo esplose nell’inverno del 1541, in seguito alla lettera di un’amica, tale Joan Bulmer, che aveva condiviso con Kathryn gli anni di Horsham, e che la ricattava. Ormai tutti a corte sapevano, tranne Enrico. L’Arcivescovo di Canterbury Thomas Cramner sentì il dovere di darne notizia al sovrano, anche se si rendeva conto che quella rivelazione gli avrebbe spezzato il cuore. Durante la preghiera serale di Compieta nella splendida cappella reale dal soffitto azzurro trapunto di stelle dorate di Hampton Court, gli fece deporre uno scritto accanto all’inginocchiatoio. Quando il re lesse quel foglio paglierino non volle credere alle accuse: inveì contro Cranmer, gridò al complotto, all’invidia, alla menzogna contro l’innocente Kathryn. Minacciò vendette, impiccagioni, roghi. Ma quando Cranmer gli descrisse in dettaglio fatti e circostanze – Horsham, Lambeth Place, la relazione con il maestro di musica, con il segretario Francis Dereham, gli incontri notturni con Culpeper durante la visita reale nel Nord e perfino lì, a Hampton Court, i convegni di quelle ultime notti – ordinò che si nominasse una commissione, e che non si avessero riguardi per nessuno.

L’inchiesta confermò i fatti, le ragazze che avevano condiviso con Kathryn gli anni di Horsham furono generose di particolari. Thomas Culpeper dichiarò che, diventata regina, era stata lei a venirlo a cercare. Frugando tra gli oggetti personali di Thomas furono trovate le lettere imprudenti, e allora l’accusa di rapporti prematrimoniali si trasformò in quella tremenda di adulterio. Pena, la morte.

Quando le guardie del re andarono ad arrestarla a Hampton Court, lei era nelle sue stanze, e stava provando dei passi di danza con il maestro di musica. Non le spiegarono nulla, tranne che il re non voleva più vederla. Le portarono via i bauli, i forzieri, gli scrigni. Quando si rese conto di non avere più speranza, sfuggì alle guardie e corse verso le stanze del sovrano, convinta che lui l’amasse ancora, che l’avrebbe perdonata. Gridò, bussò delirante alla sua porta. Enrico non le aprì.

La rinchiusero a Brentford, nel vecchio monastero di Syon House. Qualche giorno dopo le dissero che doveva morire.

La trasferirono a Londra, nella Torre. Quando la barca passò sotto il London Bridge lei vide le teste impalate e putride di Dereham e Culpeper. Erano lì da due mesi, il tanfo era insostenibile, lo spettacolo orrendo.

La mattina dell’esecuzione, quando la condussero nel cortile della Torre era così debole che un guardiano dovette sostenerla. Il patibolo era parato di stoffa nera e cosparso di paglia. In quel terribile momento dovette rendersi conto che non c’era nessuno che la difendesse, nessuno che le fosse affezionato.

Volle salire gli scalini da sola, chiese perdono delle proprie colpe, esortò a obbedire al re. Forse sperò fino all’ultimo nel suo perdono, e si guardava intorno per vedere se arrivasse qualche messaggero. Non fu così.

Con un sol colpo di scure le mozzarono la testa. La raccolsero, l’avvolsero in un telo, stesero un drappo nero sulla sua figura ancora inginocchiata, nell’attesa che venisse portata una bara. Non aveva ancora vent’anni.

Trasportarono poi testa e corpo nella cappella della Torre, dove era sepolta sua cugina Anne Boleyn.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Kathryn Howard

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Cressy, David, Birth, Marriage and Death: Ritual Religions and the Life-Cycle in Tudor and Stuart England, Oxford University Press, Oxford, 1977

Herbert, Edward, 1st Baron of Cherbury, The Life and Reign of King Henry VIII, Andrew Clark, London, 1672

Plowden, Alison, Tudor Women, Queens & Commoners, 1979 Weidenfield & Nicolson; Sutton Publishing Ltd, Stroud, Gloucestershire, 2007

Wilson, Derek, In the Lion's Court: Power, Ambition, and Sudden Death in the Reign of Henry VIII, St Martin's Press, New York, 2002

Wriothesley, Charles, A Chronicle of England during the Reigns of the Tudors, from 1485 to 1559, Camden Society, London, 1885

Referenze iconografiche: Probabile ritratto di Kathryn Howard, miniatura di Hans Holbein the Younger, 1540 circa. Fonte: Royal Collection. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2017

Ultimo aggiornamento: 2023