Santuccia dei nobili Terrabotti di Gubbio (1235-1305), una Serva della Vergine Maria, fu in grado di destreggiarsi fra i potentati religioso-politici (egemonici tra il finire del XIII e gli inizi XIV secolo), tanto da sganciare completamente la nuova congregazione benedettina, da ella stessa fondata, dalla subordinazione all’abate dell’omologa comunità religiosa maschile eugubina di San Pietro (riformata dal Beato Sperandìo da Gubbio) e persino da quella al vescovo diocesano. Riuscì, in tal modo, a prendere ordini esclusivamente dal Papa, attraverso l’unico tramite di un cardinale protettore.
Lo stesso Pontefice Clemente IV la ritenne in grado di poter riformare quel ramo femminile dell’Ordine benedettino che, proprio da lei istituito, prese, successivamente, il nome di “Ordo Santucciarum”, semplificato, poi, in “Santucce”.
Armatasi, così, del bastone pastorale, nelle vesti di “Generalessa”, ossia di Superiora generale di tutte le sue consorelle, Santuccia divenne fondatrice di un nuovo modo di intendere la spiritualità delle donne ed il loro ruolo nel grembo della Chiesa.
Segno evangelico di contraddizione, volta a volta ammirata, temuta, schernita, osteggiata, scomunicata (pare dal successore stesso del Beato Sperandìo, nel medesimo monastero di San Pietro in Gubbio), insostituibile e scomoda ad un tempo, Santuccia fu una vera e propria “Imprenditrice dello Spirito”, una sorta di “Femminista della Chiesa”, la quale, dopo un fugace ed oscuro periodo d’eremitaggio sul Monte Calvo di Gubbio, nel breve volgere di pochi anni, beneficiando di sostegno, appoggi e donazioni, fondò una trentina di monasteri, in quasi tutte le principali città del Centro Italia: da Roma fino a Modena.
A Roma, Santuccia ebbe ben tre case dedicate alla Vergine Maria, tra cui quella, generalizia, di Santa Maria in Giulia nel Rione della Regola, di Santa Maria Liberatrice e quella dell’Isola Tiberina, presso il Fiume Tevere. La casa in cui ella fu prima “Generalessa”, Sancta Maria in Julia a Roma, le venne donata, nientemeno, che dall’ultimo Gran Maestro dei Templari, Jacques de Molay: uno fra gli uomini più influenti e potenti della sua epoca.
Morì a Roma, il 21 marzo 1305, giorno di San Benedetto, ch’ella tanto aveva amato e venerato in vita. Le sue spoglie mortali furono, poi, in epoca imprecisata, traslate a Gubbio, dove vengono, a tutt’oggi, custodite all’interno d’una disadorna cassa lignea.