Tutto quello che sappiamo della vita di Yu Fang è frutto del racconto della nipote Jung Chang, emigrata a Londra nel 1978 e autrice del bestseller inglese Cigni Selvatici: tre figlie della Cina nel quale ricostruisce, a posteriori e in una lingua diversa, la storia della nonna, della madre e la sua.

Yu Fang nasce nel 1909 nel momento in cui la Cina vive il passaggio dall’Impero Mancese ai signori della guerra, in un'epoca ancora imbevuta di antiche tradizioni che vedono le donne mutilate, vendute e rinchiuse; risponde perfettamente ai canoni di bellezza della tradizione cinese: viso ovale, pelle luminosa, capelli lunghi di un nero lucente, figura snella, spalle cadenti ma soprattutto, piedi fasciati. I “gigli dorati di otto centimetri”, così sono definiti i suoi piedi mutilati, le permettono di rientrare nei rigidi parametri delle concubine del tempo, così che il padre la vende al generale Xue, signore della guerra di Yixian.

Da lui avrà una figlia, Bao Qin, e con lei vivrà rinchiusa nella residenza del generale, come in una gabbia. Il mondo delle concubine era opprimente e maligno e l’unica alternativa era diventare una vittima o ridurre a vittime le altre. Del resto il padre le ricordava spesso che «una donna virtuosa doveva reprimere le proprie emozioni e non avere altro desiderio che adempiere ai propri doveri verso il marito».

Yu Fang, esasperata dall’oppressione dell’entourage del generale Xue, organizza una fuga, che rappresenta il suo momento di ribellione giovanile, il suo essere selvaggia, che continua con un’altra grande sfida alle convenzioni: il secondo matrimonio con il Dr. Xia. Alla fine nel 1935, all’età di 26 anni, Yu si trasferisce in casa dell’anziano dottore. Sarà lui a cambiare il nome alla figlia da Bao Qing a De Hong (cigno selvatico).

Benché la casa del più clemente Dott. Xia sia descritta come “confortevole” essa è il luogo simbolico del nuovo codice culturale mancese al quale Yu Fang deve sottostare. Nel momento in cui si ricompone la famiglia, la logica “collettiva” delle convenzioni mancesi vince su quella “individuale”, così ricercata da Yu Fang e lei è di nuovo schiava di un sistema di convenzioni e di regole.

La gestione dello spazio domestico è sempre e comunque maschile (o della famiglia di discendenza maschile). In entrambe le situazioni di vita, con il generale Xue e con il dottor Xia, gli spazi interni sono considerati un simbolo di oppressione, mentre l’esterno è sinonimo di liberazione. Tale prospettiva è completamente ribaltata in epoca comunista.

Durante la rivoluzione culturale, Yu Fang è custode dello spazio interno della casa, e vive in essa come custode di un passato di cui “fuori” si perderanno gradualmente le tracce. Paradossalmente, i luoghi chiusi della casa e le costrizioni familiari, dalle quali aveva cercato di liberarsi, ora diventano il suo unico ancoraggio.

Tuttavia, durante la Rivoluzione Culturale, presentata da Jung Chang come l’invasione e l’usurpazione di ogni spazio privato e la distruzione di ogni retaggio passato, Yu Fang non avrà più nessun ancoraggio.

Yu Fang continua però a essere descritta come un personaggio fortemente anticonformista e, a suo modo, ribelle. Nonostante la tendenza generale all’uniformità del periodo comunista, Yu Fang sembra mostrare molta più femminilità della figlia e in questo rappresenta un modello per la nipote Jung Chang che resta affascinata dai suoi lunghi capelli e dal modo in cui cura la sua immagine: «Osservarla truccarsi era strano […] le donne che si truccavano nei libri e nei film erano sempre personaggi negativi». Jung Chang nota come, nel caso della nonna, questa attenzione alla femminilità equivale a metterne in luce la diversità: «quando uscivo a fare spesa con la nonna, cominciavo ad accorgermi che era diversa. La gente la notava, e lei camminava orgogliosa».

Il bilancio che Jung Chang fa della vita di sua nonna non è affatto positivo:

«Era stata una donna eccezionale: vivace, dotata di talento ed estremamente in gamba. […] figlia di un poliziotto di provincia pieno di ambizioni, concubina di un signore della guerra, matrigna in una famiglia grande ma divisa e infine madre e suocera di due funzionari comunisti, (in tutte queste situazioni) aveva avuto poche occasioni di serenità».

Del resto non poteva che essere così perché uno degli obiettivi ideologici della Jung Chang scrittrice è di dimostrare che la felicità, così come lei la concepisce, e cioè nella libertà di pensiero e azione, non era possibile alle donne cinesi dell’epoca di sua nonna. Questo nonostante Yu Fang non abbia una voce nel testo, privata di un proprio punto di vista e il grande privilegio della nipote è proprio il dono della “Parola”, della narrazione, della memoria.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Yu Fang

Chang, Jung, The Noise of Chinese Whispers, «The Independent»,(1993) July 3

Chua-Eoan, Howard G., The Art of Memory, «Time»,(1991) October 28, p. 74

Fizgerald, Penelope, Grandmother’s Footsteps, «London Review of Books», (1992) May 5, p.27

Hirsch, Marianne, Mothers and Daughters, Signs, vol.7, pp. 200-222.(1981-2)

Simon & Schuster, Interview with Jung Chang, in Contemporary Literary Criticism, vol. 71, pp. 121-123

Shapiro Stephen A., The Dark Continent of Literature : Autobiography, Comparative Literature Studies, March, vol. 5, pp. 421-454, 1986

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2018