Marsha M. Linehan nasce il 5 maggio del 1943 a Tulsa, in Oklahoma. È una psicologa e autrice americana, professoressa emerita dell’università di Washington e creatrice della terapia dialettico-comportamentale, considerata oggi il gold standard per il trattamento del disturbo borderline di personalità.

La sua storia è stata sconosciuta al pubblico per lungo tempo: Marsha ha sofferto, infatti, di un disturbo mentale che, se fosse emerso, avrebbe molto probabilmente segnato la fine della sua carriera.
Nel 2011, in una conferenza, coraggiosamente, svelò il suo vissuto. Lo fece all’Institute of Living (Hartford, Connecticut), proprio dove ancora giovane aveva trascorso un periodo di degenza.

Marsha nasce in una famiglia benestante, terza di sei figli; il padre era un petroliere di successo, la madre era impegnata nell’educazione dei figli e nel volontariato sociale. A uno sguardo superficiale il quadro poteva risultare sereno, nascondeva invece un ambiente giudicante e tradizionalista. A completare il quadro familiare, e a complicarlo agli occhi di Marsha, la presenza di fratelli affermati e attraenti, termine di paragone per la madre che considerava con preoccupazione l’aspetto e il temperamento della figlia.

Fortunatamente il suo modo di essere, osteggiato tra le mura domestiche, rese Marsha popolare tra i compagni di scuola, ma il disagio culminò, l’ultimo anno di liceo, con il ricovero al centro psichiatrico-Institute of Living.
Pochi giorni dopo il suo arrivo, ebbe luogo un episodio di autolesionismo che aggravò la sua condizione; fu trattenuta, infatti, con diagnosi di schizofrenia e per questo passò al Thompson II, il reparto chiuso dell’ospedale.

Considerata come una delle pazienti più problematiche, fu spesso rinchiusa nella stanza di isolamento: una cella con un letto, una sedia e una minuscola finestra sbarrata. Questo e altri metodi coercitivi venivano utilizzati per impedirle di farsi del male o suicidarsi, ma gli sforzi del personale furono vani. Fu un periodo molto duro per lei, così descritto in poesia:

Mi hanno messo in una stanza con quattro pareti
Ma in realtà mi hanno lasciato fuori
La mia anima è stata gettata, contorta, da qualche parte
Le mie membra abbandonate qui.

Leitmotiv nella sua vita fu la profonda spiritualità e un giorno, smarrita e inerte dinanzi al suo dolore proferì un voto a Dio: “mi sarei tirata fuori dall’inferno e una volta fatto questo, sarei tornata all’inferno e ne avrei tirato fuori le altre persone”. Le sue parole, a posteriori profetiche, ci lasciano intravvedere la sua forza e la grande spiritualità che davano una direzione al suo agire.
Dopo due anni di istituzionalizzazione, fu finalmente rilasciata; non perché considerata guarita, ma perché considerata incurabile con la medicina di allora.

Il ritorno a Tulsa dopo l’Institute of Living non fu semplice; la terapia elettroconvulsivante – l’elettroshock –, subita nell’istituto, aveva seriamente compromesso la sua memoria. Inoltre, la costante delegittimazione perpetuata dai genitori la portò alla scelta di lasciare casa. Così si trasferì al Young Women's Christian Association, dove poteva lavorare la mattina e seguire i corsi serali dell’università di Tulsa. Purtroppo, a causa di un ulteriore episodio di autolesionismo, fu costretta ad andarsene e finì a vivere nell’appartamento minimale che le sue risorse le consentivano, in un quartiere malfamato. Questa scelta creò ulteriori frizioni con la famiglia: il padre, infatti, avrebbe preferito pagarle una sistemazione più adeguata. Lei però voleva dimostrare di potercela fare da sola, nonostante tutto, nonostante la sua malattia.

In seguito, lasciò Tulsa quando scoprì che il ragazzo che frequentava, in realtà era sposato. Abbandonare la città significava costringersi a non vederlo per smettere di soffrire. L’arrivo a Chicago segnò un nuovo inizio, tra lavoro e studio, in una scuola serale, interrotto nuovamente da un episodio di autolesionismo che la costrinse a un momentaneo rientro in un istituto: il tentato suicidio era infatti punibile secondo la legge.

Dopo due anni dal suo arrivo, poté finalmente iscriversi alla Loyola University, come studentessa a tempo pieno grazie a un fondo fiduciario donato dallo zio per pagare il college ai nipoti. Durante il terzo anno di studio, nella cappella delle suore del Cenacolo che frequentava assiduamente, un’esperienza mistica e trasformativa investì Marsha:
All’improvviso l’intera cappella si illuminò di una luce dorata e brillante, che risplendeva dappertutto. E subito, con gioia, seppi con assoluta certezza che Dio mi amava. Che non ero sola.
Dio era dentro di me. Io ero in Dio.

(Linehan, 2021)

Questo evento cambiò radicalmente la visione che aveva di sé stessa: passò da una considerazione frammentata a una integrata in cui poteva finalmente dichiararsi amore. Fu il seme pronto a germogliare in un percorso complesso ma positivo.

I suoi studi furono votati alla ricerca; ben presto le fu chiaro che la psichiatria non aveva i mezzi per trattare le persone che desiderava aiutare. Dopo la laurea, infatti, scelse psicologia sociale, corso di dottorato fortemente improntato alla ricerca, e nel 1971 riuscì a conseguire il titolo. Scoprì allora che il metodo scientifico esigeva la verifica empirica delle teorie; perciò, si allontanò dal modello psicoanalitico per avvicinarsi all’approccio comportamentista.

A tal proposito seguì un programma post-dottorato alla Stoney Brook che le consentì di fare l’esperienza della clinica terapeutica, che le era mancata negli studi precedenti. A metà di tale programma lavorò come “assistant professor” di psicologia alla Catholic University, ma nuovamente si sentì non accolta: straniera in terra straniera.

Nel 1977 un’inaspettata proposta di lavoro dall’università di Seattle diede una nuova svolta alla sua vita. Qui, nel 1982, dopo vari rifiuti, ottenne una cattedra e questo le consentì di proseguire la ricerca in modo autonomo e di sviluppare un approccio terapeutico innovativo per le persone con tendenza suicidarie. Tentò varie strade: la terapia comportamentale standard, basata sulla modifica dei comportamenti ritenuti deleteri, non mostrò efficacia in quanto invalidava il dolore delle pazienti; ma anche l’accettazione non sembrava essere promettente: le pazienti avevano la percezione, infatti, di non essere aiutate. Intuì nel tempo come l’approccio dialettico potesse essere la sintesi degli opposti perché consentiva di bilanciare cambiamento e accettazione.

Poco dopo aver ottenuto la cattedra, per apprendere meglio come aiutare le pazienti, riuscì a ottenere un permesso per effettuare un ritiro in un monastero zen: il Shasta Abbey vicino al Monte Shasta, nel nord della California. La sua ricerca spirituale e scientifica proseguì in Germania presso il monaco Willigis Jäger, considerato tra i massimi esperti nello zen. Questo percorso le diede gli strumenti per introdurre nella sua futura terapia lo skills training legato all’accettazione radicale; nello specifico introdusse per prima nella terapia quella visione che oggi chiamiamo mindfulness.

In seguito, fu in grado di dimostrare mediante uno studio clinico l’efficacia della terapia da lei sviluppata, che scelse di chiamare “dialettico-comportamentale”. Rispetto alla terapia comportamentale standard, essa riduceva significativamente gli atti parasuicidari ovvero i tentati suicidi, il tasso di abbandono della terapia stessa e i giorni di ricovero in ospedale psichiatrico.

Il suo approccio, duramente criticato da psichiatri e psicoanalisti, diede prova nel tempo della sua efficacia. Col passare degli anni molti altri studi ne avvallarono i risultati e ad oggi è la scelta preferenziale per trattare il disturbo borderline di personalità.
Marsha non si è mai sposata, ma nel 1994 nella sua vita subentrò Geraldine, poi divenuta sua figlia adottiva. Nel 2011 è stata onorata della carica di maestro Zen da Pat Hawkis, maestro zen di Tucson, Arizona.

Ha ricevuto numerosi premi che riconoscono i contributi clinici e di ricerca allo studio e al trattamento dei comportamenti suicidari, tra i quali il Louis I. Dublin Award for Lifetime Achievement in the Field of Suicide (1999) e ulteriori riconoscimenti per il contributo nella ricerca clinica tra cui il Distinguished Scientist Award (2021).

Marsha, inoltre, è fondatrice e coordinatrice dello Suicide Strategic Planning Group e del DBT Strategic Planning Group, in cui viene valutato in modo collaborativo tra esperti lo stato attuale della ricerca e vengono tracciate le traiettorie di sviluppo successivo.
Ha scritto diversi libri, tra cui due manuali di trattamento: Cognitive Behavioral Treatment for Borderline Personality Disorder (1993) e Skills Training Manual for Treating Borderline Personality Disorder (1993).

*voce a cura di Vito Caputo - Nato in Puglia, si è trasferito in Trentino per frequentare “Psicologia clinica” all’Università di Trento. Ha conseguito nel 2022 la laurea in “Scienze e Tecniche Psicologiche” presso l’Università di Bari. È appassionato di tecnologia, letteratura e filosofia. Partecipa al Gruppo SCRIBUNT: gruppo di Scrittura di Biografie - Università di Trento (referenti: Maria Barbone, Susanna Pedrotti, Lucia Rodler).

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Marsha M. Linehan*

Borchard, T. J. (2011, June 28). Marsha Linehan: What is Dialectical Behavioral Therapy (DBT)? Psych Central.
Linehan, M. (2021). Una vita degna di essere vissuta. Cortina.

Linehan, M. (1993). Cognitive-behavioral treatment of borderline personality disorder. Guilford Press

Linehan, M. (1993). Skills training manual for borderline personality disorder. Guilford Press



Voce pubblicata nel: 2024

Ultimo aggiornamento: 2024