“Una delle libertà più difficili a conquistare è la libertà dal timore e non basta che essa sia inscritta sulla Carta atlantica. Il lungo periodo della dittatura e la struttura paternalistica della società italiana hanno creato un tipo di italiano che difficilmente osa esprimere a fondo il suo pensiero. Nelle donne, poi, questa riserva è anche maggiore, perché interviene un atavico istinto di soggezione all’autorità, sia quella dello Stato o del datore di lavoro, della famiglia o della Chiesa.”

Con queste parole la giornalista Anna Garofalo, nel volume L’Italiana in Italia, si faceva portatrice delle preoccupazioni di milioni di donne italiane nel secondo dopoguerra che, pur liberate dalla dittatura fascista, si sarebbero trovate, ancora per lungo tempo, prigioniere di un’autoritaria mentalità patriarcale e maritale, diffusa in tutto il Paese.

Anna Garofalo nasce a Roma nel 1903, giovanissima si dedica alla cura dei soldati mutilati della Grande Guerra, come infermiera volontaria. Giornalista antifascista di matrice laica e liberale, collabora a «Il Mondo» di Giovanni Amendola, fino alla sua soppressione nel 1926. Durante la seconda guerra mondiale vive l’angosciosa attesa del figlio partito per il fronte, scrivendo un accorato diario, poi pubblicato nel 1945 col titolo In guerra si muore.

Il libro che l’ha fatta maggiormente conoscere e apprezzare è L’italiana in Italia, edito da Laterza nel 1956 (e mai più ristampato), in cui restituisce ai lettori la sua preziosa esperienza come conduttrice radiofonica della trasmissione Parole di una donna, voluta dalle forze alleate e andata in onda dal settembre 1944 agli inizi degli anni Cinquanta, per tre giorni alla settimana, come ricordato da lei stessa all’editore Laterza, mentre lavorava alla stesura del suo libro:

“Il mio lavoro è stato iniziato e spero possa avere un buon ritmo. Ho creduto di dare ad esso forma di diario, prendendo lo spunto, anzi l’avvio, da quel settembre 1944 nel quale, inviata del PWB 1, iniziai alla radio di Roma una rubrica trisettimanale dal titolo Parole di una donna, che lei forse ricorderà e che, in sette anni ininterrotti, raggiunse la somma di più di 1.500 emissioni. Furono anni di esperienza intensa perché, oltre a parlare personalmente, dirigevo tutte le trasmissioni femminili. Misi al microfono tutte le donne che conoscevo dei vari partiti: Rita Montagnana, Giuliana Nenni, Rosetta Longo, Iosette Lupinacci, Maria Federici, Marisa Rodano, Angela Cingolani, Teresa Scelba, Ester Parri, la signora Calasso, Maria Calogero e tante altre…”

La trasmissione ospitò e diede voce a tutte le donne, a prescindere dall’estrazione sociale o culturale, a ragazze, madri, mogli che, ancora durante la guerra tra il 1944 e il 1945, attendevano il ritorno dei propri mariti, facevano la fila alle fontane, tagliavano i bollini delle tessere e cucinavano con il carbone. Poi, finalmente, arrivò il 25 aprile del 1945, la lunga e sanguinosa guerra civile ebbe fine, ma le scorie dell’ideologia fascista e paternalista rimanevano ben salde nella mentalità di molti italiani:

“[...] Si parla del voto alla donna con sempre maggiore insistenza e naturalmente riscappa fuori il discorso della sua immaturità politica, tanto più grave – si dice – in regime di suffragio universale. A fare queste obiezioni non sono tanto gli uomini dell’Italia liberale che morì con il fascismo e che, comunque, avevano partecipato alla lotta politica, si erano fatte le ossa in un regime parlamentare, ma gli altri, quelli che uomini divennero durante la dittatura e che della democrazia ignorano tutto e non sanno nemmeno muoversi in un clima di libertà.” 2

Il tema del suffragio ricoprì un posto centrale fin dalle prime puntate nella trasmissione Parole di una donna, che si preoccupò di illustrare con semplicità gli obiettivi e la petizione del Comitato pro-voto della nascente UDI 3. Una delle prime ospiti fu proprio la presidente dell’Unione donne italiane, Rita Montagnana, poche settimane dopo la presentazione della petizione al governo, quando, alla vigilia dell’appuntamento elettorale, le voci sull’immaturità femminile si erano fatte insistenti e offensive 4.

Merito indiscutibile della trasmissione condotta da Anna Garofalo fu di permettere alle donne di rivendicare la propria volontà di indipendenza dal controllo maschile, da quello sguardo che le obbligava fin da piccole a ruoli sociali marginali, fissandole a vieti stereotipi:

“Il costume italiano. La dittatura della bellezza. Appena i suoi occhi acquistano un’espressione e si può metterle un nastro nei capelli, la bambina è circondata dall’ammirazione, prima familiare, poi più vasta, per le sue grazie fisiche. La vanità nasce in lei alimentata da quella dei genitori. A pochi anni, già crede la bellezza la cosa più importante, sa che attraverso ad essa può ottenere tutto quello che vuole…”

Dell’argomento divorzio, vero e proprio tabù pubblico, era bene non parlarne affatto. Ma molte delle lettere che arrivavano alla redazione del programma radiofonico parlavano proprio di questi problemi, dell’impossibilità di accordo dopo anni di separazione dai mariti al fronte, di figli illegittimi, di problemi finanziari:

“Arriva alla Radio una lettera dalla Calabria. La moglie di un ufficiale prigioniero, che fra poco tornerà, racconta la sua disperazione per essere divenuta l’amante del cognato, in assenza del marito. Essa si domanda che cosa sarà di loro quando il reduce saprà di essere stato tradito dal fratello, nella casa comune. D’altra parte la donna è rimasta sola per anni, in giovane età, ed ora non ama più il marito, ma l’altro che le è rimasto vicino.”

E poi arriva il 1947, l’acceso dibattito in Assemblea Costituente, dove le poche ma preparatissime donne elette il 2 giugno del 1946, danno battaglia. Anna Garofalo racconta la difficile discussione che si scatena sul diritto alle donne di accesso alle magistrature: “Gli uomini, in maggioranza, sono allarmati, nervosi. È un nuovo assalto alla cittadella della virilità. Si ascoltano nell’aula vecchie, abusate parole. Luoghi comuni, espressione di antichi egoismi”.

Si sentono risuonare parole nette di discredito, da parte di deputati che intendono negare l’accesso delle donne alla magistratura: “Il regno della donna è la casa, la sua missione è la maternità, le donne non appaiono matura all’esercizio della giustizia, sono troppo emotive, passionali, non imparziali…”. Maria Federici, democristiana, e Maria Maddalena Rossi, comunista – annotava Anna Garofalo – si battono unite per dimostrare all’Assemblea Costituente la infondatezza di questi principi generici, facendo riferimento all’articolo 48 della bozza di Costituzione, con il quale si sancisce che tutti i cittadini di ambo i sessi possono accedere alle cariche elettive e agli uffici pubblici in condizione di uguaglianza, secondo i requisiti stabiliti per legge 5.

All’interno del volume, diverse pagine sono dedicate al tema forse più sentito da Anna Garofalo:

“La pace è una lunga costruzione e necessita di una continua vigilanza. Essa è formata dalla fatica e dall’impegno di tutti, è una conquista giornaliera senza inni né fanfare. Non basta rimanere nel cerchio della propria lampada, nell’egoismo dei propri interessi familiari, per dire di aver compiuto il proprio dovere. La guerra è finita, ma non bisogna dimenticare la lezione di quest’ora, occorre contare i morti, gli invalidi, le rovine, i drammi, e fare che il sacrificio non si ripeta.”

Ma a causa dell’inizio della guerra fredda, anche il fronte delle donne comincia a sfaldarsi. L’UDI aderisce alla Federazione internazionale democratica femminile, con a capo Eugénie Cotton, di precisa ispirazione comunista. Le donne cattoliche, allora, decidono di fondare il CIF (Centro italiano femminile), diretto da Maria Federici. Nel 1946 Anna Garofalo aderisce all’Aimu (Associazione Italiana Madri Unite), un’unione di donne per la pace indipendente, fondata sui valori della cura e della protezione della vita, la repulsione della violenza e animata da spirito schiettamente internazionalista. Nel luglio 1948 recensisce, per «L’Italia socialista», l’opera di Maria Remiddi Il pianto di Ecuba, un lavoro che metteva al centro i temi della maternità e della guerra, gli stessi che Anna aveva sviluppato nel suo volume In guerra si muore.

Il 1948 vedrà il trionfo della Democrazia Cristiana, contro il Fronte Popolare, composto da comunisti e socialisti. Anche sul programma radiofonico di Anna Garofalo si abbatte il controllo e la censura di stampo cattolico e reazionario:

“Le Parole di una donna trasmesse sino adesso in ora di grande ascolto, vengono spostate a ore pomeridiane o vespertine […], I dirigenti non possono concepire che questa trasmissione, scritta e detta da una donna, ma destinata agli ascoltatori in genere, debba trovar posto accanto al discorso dell’uomo politico o al giornale radio. La commissione dei programmi considera le donne come una categoria, alla stregua degli scolari, dei militari, degli agricoltori e non come il 53% degli elettori italiani…”

Ma la giornalista romana continuerà negli anni successivi e fino alla sua morte, avvenuta il 21 febbraio del 1965, con la voce e con gli scritti a occuparsi dei temi a lei cari, quali il divorzio, la violenza sulle donne, l’adulterio e la prostituzione, la disuguaglianza dei coniugi nel codice civile, il dramma dei figli illegittimi, la sperequazione salariale e le discriminazioni di genere sul lavoro. Tutte questioni sensibili, che ce la fanno sentire molto vicino in questo nostro tempo presente 6.

Note


1 Il Psychological Warfare Branch (traducibile come "Divisione per la guerra psicologica") fu l’organismo del governo militare anglo-americano, incaricato di esercitare il controllo sui mezzi di comunicazione di massa italiani: stampa, radio e cinema. Il PWB era assegnato alle dirette dipendenze del Comando generale delle Forze alleate (Allied Forces Headquarters, AFHQ) e fu attivo nel periodo tra il 10 luglio 1943, sbarco alleato in Sicilia, e il 31 dicembre 1945, termine dell'amministrazione alleata negli ultimi territori italiani.
2 Come è noto, con il decreto luogotenenziale del 25 giugno 1944 si era stabilito che, dopo la liberazione del territorio nazionale, una Assemblea costituente sarebbe stata eletta a suffragio universale, diritto sancito qualche mese più tardi con il decreto luogotenenziale del 1 febbraio 1945. Il decreto, tuttavia, conteneva importanti limitazioni all’esercizio di quel diritto: escludeva le prostitute che esercitavano al di fuori delle case chiuse (clausola abrogata nel 1947) e prevedeva solo l’elettorato passivo. A quest’ultima “strana” dimenticanza provvederà, a ridosso delle elezioni (si votava anche per le amministrazioni locali), il decreto legislativo luogotenenziale del 10 marzo 1946, grazie al quale il 2 giugno sarà possibile eleggere 21 donne all’Assemblea Costituente, poche ma indubbiamente fondamentali.
3 Nel settembre del 1944 nacque ufficialmente a Roma l’Unione delle Donne Italiane (UDI), che si proponeva di raccogliere l’adesione di donne che già avevano fatto parte dei Gruppi femminili di assistenza ai combattenti della liberazione, dei Gruppi di difesa della donna e dei Gruppi femminili antifascisti. L’UDI fu dunque la risposta del PCI all’esigenza di creare un’organizzazione femminile di massa.
4 Per avere un’idea del clima politico e della risonanza mediatica che accompagnò il primo voto delle donne, questo è quanto scriveva il poeta e scrittore Marino Moretti, in un articolo pubblicato su «Il Nuovo Corriere della Sera»: “Una d’esse non esce dalla cabina (è lì da mezz’ora) come se vi sia caduta in deliquio. Un’altra grida, sempre dalla cabina: – Colla! Colla! La scheda non si chiude. Colla! Colla! Portatemi la colla! – una terza elettrice, questa col cappellino storto, non vuole a nessun costo entrare in cabina. Ha paura: sì, ha paura d’un trabocchetto. Lei non ha nulla da nascondere infine… Lei vuole infine mostrare la faccia…” (M. Moretti, L’elettrice, «Il Nuovo Corriere della Sera», 11 giugno 1946).
5 Si tratta dell’articolo 51 della Costituzione. Eppure ci sarebbero voluti altri quindici anni dopo l'entrata in vigore della Costituzione, e una sentenza della Corte Costituzionale affinché in Parlamento venisse approvata la legge 9 febbraio 1963 n. 66, che ha sancito l’ammissione della donna ai pubblici uffici ed alle libere professioni.
6 A proposito della denuncia del bieco sfruttamento sessuale delle donne nel secondo dopoguerra, si veda Anna Garofalo, Prostituzione e miseria, in Atti della Commissione parlamentare di inchiesta sulla miseria in Italia, Roma, Arti grafiche Sicca 1953.

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2021