Quando nel 1558 è proclamata regina in modo inaspettatamente pacifico, Elisabetta, figlia di Enrico VIII e della seconda moglie Anna Bolena, è una bella ragazza di venticinque anni, alta, sottile e dai lunghi capelli rossi, prudente e spregiudicata , «conceited and selfisch»: «non aveva paura né si stancava mai…» scrive un cronista del tempo. Sapeva parlare bene il latino, il francese e, meno bene, anche l’italiano e il greco. Solo parlare, non scrivere, ma aveva come tutti i signori di quell’epoca chi scriveva per lei sotto dettatura.

Il suo regno succede a quello della sorellastra cattolica, detta Bloody Mary, ed è «per i protestanti una liberazione che ha del miracoloso» (C. Russel).

Scrittori di corte e di accademia celebrano Elisabetta come una novella Astrea, figura del mito antico cantata anche da Virgilio. Citiamo solo due grandi nomi: William Shakespeare (nell’Enrico VI e nel Sogno di una notte di mezza estate ), interessato profondamente alla monarchia, tema per lui non solo nazionale ma anche religioso, e il filosofo Giordano Bruno che vive in Inghilterra per due anni a partire dal 1584.

Cosa ci dice il mito di Astrea a proposito della regalità di Elisabetta? Il mito rimanda all’Età dell’oro, della pace, dell’arte e della prosperità: naturale riferirlo all’età di Elisabetta, il momento più alto del Rinascimento inglese. Ma il richiamo ad Astrea segnala anche, per vie traverse, una idea politica importante per i Tudor, quella della supremazia della Corona sulla Chiesa. «Il nome di Astrea applicato alla regina si rivela un filo di Arianna che ci guida nel simbolismo elisabettiano» (F. Yates) specialmente attraverso le immagini della Luna e della Vergine Vestale.

«È una bella Vestale sul trono in terra di Occidente» scrive Shakespeare nel Sogno di una notte di mezza estate, commedia tutta immersa nel chiarore della luna. E Giordano Bruno paragona la regina alla «diva Diana» lodandola per aver mantenuto la pace all’interno del suo regno nonostante le divisioni religiose e la guerra che devastava l’Europa. Parole provocanti ed “eretiche” rinfacciate a Bruno più tardi dalla Inquisizione.

Quanto a Elisabetta non ci sono in lei segnali di un sentimento religioso profondo: sotto il regno della sorella era stata costretta a praticare i riti cattolici, ma era nata da Anna Bolena, causa scatenante del distacco da Roma e della riforma anglicana. La religione era tutto sommato, per lei come per una parte dei suoi sudditi, un affare essenzialmente sociale e politico. La sovrana teneva al conformismo nelle forme esterne d’osservanza religiosa, ma «Sua Maestà non ha intenzione di aprire finestre sui sentimenti segreti della gente a meno che si traducano in atti espliciti contrari al supremo potere regale» (Francis Bacon).

Elisabetta come altre due regine, Maria la Sanguinaria e Maria Stuarda, deve affrontare l’astiosa opposizione capeggiata dal riformatore scozzese John Knox violentemente contrario al «mostruoso governo femminile». Era del resto una convinzione largamente diffusa: Calvino aveva dichiarato che «il potere delle donne era una delle peggiori punizioni divine che Dio aveva dato all’uomo dopo la Caduta».È interessante la risposta “politica” del futuro vescovo di Londra John Aylmer al predicatore scozzese: il potere di Elisabetta non poteva essere considerato tirannico perché quella inglese era una “monarchia mista” in cui la regina condivideva la responsabilità delle decisioni politiche con il Parlamento. Insomma, sotto questo riguardo le cose andavano «better in England than anywhere»!

Il matrimonio e la questione della successione erano problemi pubblici e scottanti sul fronte politico interno ed estero: vengono affrontati da Elisabetta con la sua consueta calcolata ambiguità “politica” che a molti erroneamente dava l’impressione di un temperamento indeciso. Un anno dopo l'incoronazione il Parlamento chiese alla regina di sposarsi per assicurare al regno inglese un successore. Elisabetta rispose elogiando lo stato virginale. Era una convinzione sincera? Di certo i sudditi inglesi come poi gli storici non seppero mai quale fosse sul tema la reale intenzione della loro sovrana. Da ricordare l’ironica e arrogante dichiarazione ai Comuni nel 1566 quando Elisabetta afferma che avrebbe sempre lasciato i suoi sudditi liberi di discutere il problema del suo matrimonio soltanto «per puro e semplice divertimento»…

Nella realtà la faccenda della futura successione era un problema spinoso. In via formale la prima erede di Elisabetta era la cattolica Maria Stuart che discendeva da Margherita sorella del padre di Elisabetta; seguiva un altro scozzese, Enrico Darnley, secondo marito della Stuarda che discendeva anche lui da Margherita, ma attraverso un figlio avuto da lei in seconde nozze. Non basta: nel suo testamento, il padre Enrico VIII indicava nella linea di successione, dopo il figlio Edoardo e le due figlie, la protestante Caterina Grey sorella di Jane Grey, sua terza moglie. A complicare le cose, persino Filippo re di Spagna poteva rivendicare un' ascendenza inglese dal Duca di Lancaster, Giovanni di Gand, quarto figlio del re inglese Edoardo III.

Carlo, fratello dell’imperatore e re di Spagna, aveva presentato formale richiesta della mano della regina, ma senza successo, mentre, in Inghilterra, Robert Dudley elevato da Elisabetta al titolo di conte di Leicester, vantava una ottima ragione per aspirare, dopo la morte della moglie, alle nozze con la sovrana: la regina era innamorata di lui e lo colmava di privilegi e denaro.

Ma la loro relazione, fondata su una amicizia d’infanzia, s’interrompe colpita da troppi pettegolezzi e dallo scandalo: a Londra si diceva che la moglie di Sir Robert fosse stata assassinata da mano misteriosa… Elisabetta allontana per alcuni anni il suo favorito, ma nel 1587 sir Robert riceve dalla regina la carica (sembra del tutto immeritata) di comandante delle forze inglesi contro la Invincibile Armada spagnola. Morirà di lì a poco. Elisabetta custodirà per tutta la vita nella scatola dei tesori, con la scritta La sua ultima lettera, il messaggio speditole da Robert un giorno prima di morire. Nonostante vari amanti attribuiti e reali, Elisabetta rimane nubile per tutta la vita: sui motivi del suo rifiuto al matrimonio esistono diverse versioni dei cronisti di corte e degli storici, fisiologiche, caratteriali e politiche. Da lei, “regina vergine”, prende il nome la Virginia, ricca colonia, nucleo dei futuri domini inglesi nel Nuovo Mondo conquistata nel 1584 quando i suoi sudditi oramai, nelle nozze della regina, non speravano più.

Negli anni Ottanta accadono altri eventi rilevanti della politica elisabettiana. L’atteggiamento di Filippo II di Spagna, che aveva un esercito di terra più numeroso e potente di quello inglese, diventa più aggressivo: decide di far sbarcare in Inghilterra le truppe stanziate in Olanda proteggendole con la flotta inviata dalla Spagna. Ma Francis Drake, il corsaro inglese al servizio di Sua Maestà, piomba su Cadice e distrugge navi e rifornimenti ritardando in tal modo la partenza della Invincibile Armada, flotta imponente ma sovraccarica e guidata da piloti inesperti di navigazione nei mari settentrionali. L’Armada partita nel luglio dell’87 dal porto di Calais sulla Manica fa vela verso il regno inglese, ma in settembre quasi la metà è stata distrutta e le navi superstiti rientrano a Santander.

Nello stesso anno Maria di Scozia al centro di intrighi cattolici è giustiziata dopo venti anni di semiprigionia in terra inglese: è ragionevole pensare che la condanna sia stata una risposta decisa nel clima della offensiva della Spagna cattolica. Se l’attacco spagnolo avesse avuto successo si poteva arrivare, con l’appoggio di congiure interne, alla guerra civile in territorio inglese.

Dopo la vittoria sulla Spagna il regno inglese è investito da un vento di euforia e self confidence anche se le difficoltà non mancano come l’inflazione e il malumore del Parlamento per lo strapotere dei favoriti della regina che detengono i monopoli. Ma durante la vita di Elisabetta queste sono difficoltà che non offuscano lo splendore del quadro d’insieme: la regina rimane il simbolo di un paese benedetto dalla fortuna e da un benessere crescente.

Nella primavera del 1603 la regina si ammala gravemente e poco ore prima di morire nomina suo erede Giacomo Stuart, il figlio di Maria Stuarda. Nella notte i cavalli dei messaggeri del Consiglio reale, in allerta da mesi, escono di furia dalle scuderie e portano in tre giorni la notizia a Edimburgo.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Elisabetta Tudor

Ernest L.Woodward, Storia d’Inghilterra, ed. it. La Nuova Italia 1958

Conrad Russel, Alle origini dell’Inghilterra moderna, ed. it. Il Mulino 1958

Frances Yates, Astrea, ed. it. Einaudi 1978

Stefano Simonetta, Better in England than anywhere in Donne e Scrittura dal XII al XVI secolo, Lubrina ed. 2009

Referenze iconografiche:

Prima immagine: Incoronazione di Elisabetta I, olio su tela, copia di un originale andato perso nel 1559. National Portrait Gallery. Immagine in pubblico dominio. 

Seconda immagine: Elizabeth I, Il Ritratto dell'Armada, 1588, attribuito a George Gower. Woburn Abbey, Woburn, Inghilterra. Immagine in pubblico dominio. 

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023