Torino, 1929. Scandalo in famiglia: due cugine coetanee, appena terminati i corsi di un frustrante “Liceo Femminile”, sognano di realizzare un progetto insolito in quei tempi: iscriversi alla Facoltà di Medicina. Studiano giorno e notte per superare come privatiste l’esame che aprirà loro le porte dell’università. E ci riescono. Sono Rita Levi Montalcini ed Eugenia Sacerdote. Vi sono solo quattro ragazze tra cinquecento studenti maschi non propriamente gentili con la minoranza femminile. «Eravamo cinque mosche bianche tra cinquecento ragazzi, soggette ad ogni sorta di scherzi pesanti e gli stessi professori ci guardavano con un certo disprezzo» ricorda la Sacerdote.

È questa una piccola prova fra le molte che dovranno affrontare. Il Nobel darà fama alla prima nel 1986, anno in cui sarà candidata anche la seconda. Meno noto di quello della cugina Rita, il percorso d'Eugenia è forse più arduo anche se gli inizi sono ugualmente difficili per tutte e due. Sono donne ed ebree. Lo è anche Herta Meyer che, scappando dalla Germania ormai nazista, arriva all’università torinese, assistente alla cattedra del professore Giuseppe Levi, e insegna alle due cugine a lavorare in vitro con cellule vive. Sarà il punto di partenza comune delle due diverse linee di ricerca alla quale si applicheranno Rita ed Eugenia. Nel 1938 le leggi razziali fasciste costringono le due donne a abbandonare l’Italia: il destino di Herta sarà il Brasile; quello di Rita, gli Stati Uniti d’America, quello di Eugenia l’Argentina.

Eugenia arriva a Buenos Aires con il marito, Maurizio Lustig, ingegnere della Pirelli, la loro prima figlia di un anno e… una grammatica spagnola. Dovranno trascorrere tre anni prima che Eugenia possa frequentare il corso della cattedra di Istologia all’università di Buenos Aires, nella cui biblioteca studia nel frattempo. Ma il suo lavoro è umile e precario: deve aver cura per quanto è possibile delle provette e degli strumenti del laboratorio percependo come compenso soltanto ciò che resta dei fondi destinati alla sostituzione dei “vetri”.

Per preparare le cellule vive da coltura Eugenia usa embrioni di pollo le cui giovani cellule si dividono e si sviluppano più facilmente. Scopre i fattori che contribuiscono alla velocità di crescita di quel tipo di cellula embrionale, oggi chiamata “cellula madre”. Le applicazioni di questo procedimento vengono usate nella preparazione di tessuti per trattare le ferite gravi, nella creazione di vaccini, nello studio dei virus e del cancro.

Collabora con Bernardo Houssay, Premio Nobel nel 1947. Ma nello stesso anno Perón allontana Houssay dall'Università ed Eugenia perde la possibilità di continuare il suo lavoro. Per fortuna è chiamata all’Istituto Oncologico Angelo Roffo, il primo in quel campo in America Latina, e lì continuerà le sue ricerche sino alla fine della sua attività scientifica.

Nel 1952 scoppia anche in Argentina come in altre parti del mondo una epidemia di poliomelite ed Eugenia viene chiamata dall’Istituto Malbrán per diagnosticare le possibili vittime della terribile malattia che colpisce soprattutto i bambini. Ogni giorno compie un pellegrinaggio quotidiano fra i reparti ospedalieri di maternità per raccogliere i tessuti degli aborti e l’istituto Malbrán dove lavora sempre col terrore di contagiarsi ed infettare i propri figli. L'Organizzazione Mondiale della Sanità la invita negli Stati Uniti, dove svolge ricerche sulle scimmie per confermare i risultati di un vaccino promettente, creato dal professore Salk. Tornata a Buenos Aires, affronta non solo lo scetticismo verso il vaccino delle autorità ma anche e specialmente il timore e la diffidenza della popolazione. Davanti ai giornalisti vaccina i propri figli per dimostrare la innocuità del siero e può così avviare la campagna di vaccinazione che vincerà l’epidemia.

Cinque anni dopo Risieri Frondizi diventa rettore dell’Università di Buenos Aires e promuove nuovi concorsi per i docenti inaugurando una fase favorevole agli studi universitari. Finalmente Eugenia ottiene dall’università argentina la convalida della laurea italiana e vince il concorso per la cattedra di biologia cellulare. L’ambiente universitario era difficile, soprattutto per le condizioni di lavoro e il trattamento riservato agli stranieri, ma ricorda la Sacerdote «non c’erano discriminazioni nei confronti delle donne nell’Università argentina» diversamente dalla sua esperienza di Torino. La sua carriera accademica tuttavia non durerà a lungo: nel 1966 i professori antiperonisti, il fior fiore degli intellettuali, vengono allontanati dall’Università e molti di loro imprigionati. Eugenia si salva per puro caso e continua il suo lavoro all’Istituto oncologico; dopo centinaia di articoli scientifici noti in tutto il mondo pubblica un testo che diventerà un classico dell’Istologia , il Manual de cultivo de tejidos.

Nell’ultimo periodo della sua attività di laboratorio studia la crescita delle cellule nervose coinvolte nei processi dell’Alzheimer.

Negli anni la sua vista si indebolisce e oggi riesce a percepire solo ombre. «Se riuscissi a vedere, continuerei ad andare in laboratorio», afferma in una delle biografie a lei dedicate.

Circondata dall’affetto dei suoi tre figli, dei nove nipoti e della cugina Rita Levi Montalcini che le telefona ogni domenica, onorata da molti premi e onorificenze - che le importano poco -, ascolta gli amici che leggono per lei saggi su riviste della sua specialità e anche libri di storia, materia della quale è appassionata. «Sono stata cacciata via molte volte dai posti nei quali lavoravo», ricorda quasi ridendo dimostrando di aver risposto alla stupidità con magnanimità. Cittadina illustre di Buenos Aires, ci ha lasciato all'età di 101 anni. Non ha mai dimenticato ciò che suo padre era solito ripeterle quando era piccola: Eugenia vuol dire “la ben nata”.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Eugenia Sacerdote de Lustig

L. Rozenberg, Eugenia Sacerdote de Lustig, una pionera de la ciencia argentina, Buenos Aires, Asoc. Dante Alighieri 1993

E. Sacerdote de Lustig, De los Alpes al Río de la Plata, Buenos Aires, Leviatán 2005

C. Etcheverry, Eugenia Sacerdote de Lustig, Buenos Aires, CI 2008

Link a scheda dal sito Scienza a Due voci - Le donne nella scienza italiana dal Settecento al Novecento

Referenze iconografiche: Eugenia Sacerdote de Lustig. Immagine di dinoiaserra.  Creative Commons Attribution-Share Alike 4.0 International3.0 Unported2.5 Generic2.0 Generic and 1.0 Generic license.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023