Katherine Parr è stata la sesta e ultima moglie di Enrico VIII, sovrano d’Inghilterra e d’Irlanda, e l’unica oltre a Anna di Clèves (la quarta) che gli sia sopravvissuta.

Katherine nasce nel 1512, figlia di Sir Thomas Parr (ca.1483-1517) signore di Kendal, Westmorland. Gentiluomo, cortigiano alla corte di Enrico VIII, la sua famiglia risale ai tempi di Edoardo III (1312-1377).

Il padre la fa maritare a diciasseette anni con l’anziano Lord Borough di Gainsborough. Rimasta presto vedova, a ventidue anni viene obbligata a sposare John Neville Lord Latimer di Snape Castle, Yorkshire. Lui è di salute fragile, lei lo assiste fino alla morte. Ne eredita una fortuna.

Verso la fine del 1542 Katherine, ora Lady Latimer, incontra Enrico VIII a un ricevimento di corte – nel febbraio di quell’anno la quinta moglie del sovrano, Kathryn Howard, è stata decapitata per alto tradimento e adulterio. Lady Latimer non è una giovane bellezza come Kathryn, ha più di trent’anni, è un po’ piccola, non snella. Ma è elegante, intensa, coltissima. Il sovrano, ormai sui cinquant’anni, ne è colpito, chiede di sapere di lei. E quando deve restare immobile per settimane a causa di un aggravamento delle vecchie piaghe ai polpacci, chiede la sua compagnia. I due passano intere giornate insieme: conversano, leggono libri, fanno musica, parlano di teologia, giocano a carte e a dadi imbrogliandosi a vicenda. Lui la colma di regali, lei cerca di sottrarsi – è innamorata di Thomas Seymour primo barone di Sudeley, lo sposerà cinque anni dopo, alla morte del sovrano.

Infine, quando lui le chiede di diventare la sua sesta moglie lei non può che accettare. Katherine e Enrico si sposano nel luglio del 1543 a Hampton Court. La cerimonia è privata, davanti a pochi testimoni. Alla formula di rito – “Vuoi tu prendere questa donna come tua legittima sposa? Vuoi tu amarla, confortarla e onorarla, nella salute e nella malattia, in ricchezza e povertà, ed esserle fedele finché morte non vi separi?” Enrico risponde, per la sesta volta, “Lo voglio”. Davanti a quell’altare forse Katherine esita, ma alla fine risponde: “Lo voglio”.

Gli sposi vanno a Windsor: la stagione è ancora bella, lei riempie il castello di fiori e di gaiezza, si interessa dei malati – sono tante le infermità del tempo: dissenteria, vaiolo, lebbra, malaria – e li fa curare con denaro suo. Con delicatezza entra in rapporto con i figli del sovrano: il giovane Edward VI, cresciuto senza l’affetto della madre morta nel darlo alla luce; Mary, vicina a lei d’età (e diventeranno amiche); la piccola Elizabeth, orfana di Anne Boleyn che il padre ha fatto decapitare quando la bambina non aveva ancora tre anni.

In dicembre, per le feste del Natale, Elizabeth le fa dono della propria traduzione di uno scritto di Margherita di Navarra, in bella scrittura, su pergamena, e rilegato in tela verde. Con una dedica commovente: “Alla nobile e virtuosa regina Katherine, Elizabeth, sua umile figlia, augura perpetua felicità e gioia”.

La serenità di quel periodo è però incrinata qualche tempo dopo da un episodio squallido: morto il Lord Cancelliere del re Sir Thomas Audley, ne ha preso il posto Sir Thomas Wriothesley, primo conte di Southampton. Costui è uno dei pochi che non la amano. Approfittando della malattia del sovrano, nel fargli firmare la condanna al patibolo contro l’eretica Anne Askew, gli sussurra che Katherine leggerebbe dei libri eretici che lui ha bandito, e gli chiede un mandato per perquisire le stanze della regina. Nel dormiveglia Enrico firma, lui esulta: farà arrestare e condurre Katherine nella Torre. Ma in un gelido, ventoso corridoio del palazzo il foglio cade a terra. Will Somers, il buffone del sovrano, lo raccoglie e si precipita nelle stanze della regina. Lei legge e gli fa riportare il documento nel corridoio dove è stato trovato, perché Wriothesley non sospetti di nulla. Fa quindi sprangare l’ingresso del proprio appartamento, ravvivare il fuoco del camino dove le sue dame gettano appunti, lettere e libri compromettenti, mentre Somers sbriciola le braci con un attizzatoio.

Infine si reca dal sovrano, lo sveglia con tenerezza – Enrico non ricorda nulla del documento che ha firmato. Insieme progettano una passeggiata per il mattino dopo.

Il mattino seguente, mentre i due passeggiano nei giardini di Whitehall – lui si appoggia a un bastone di ebano e tiene l’altro braccio sulle spalle di lei – un gruppo di guardie capitanate da Wriothesley si fa loro incontro. Il cancelliere ordina alle guardie di arrestare Katherine, per ordine del re, dice. Il sovrano, esterrefatto, dà un’occhiata al mandato, lo straccia in quattro e minaccia Wriothesley di mandare lui, alla Torre.

Per Katherine quell’episodio è un avvertimento: c’è qualcosa di inspiegabile nella mente di Enrico, lei potrebbe diventare la prossima vittima dei suoi furori, e per il reato di eresia la pena è il rogo.

Le condizioni del sovrano si aggravano, il 3 dicembre 1546 fa testamento. Nella stanza che odora di malattia – grani di incenso bruciano nei bracieri per mascherarlo – Enrico le raccomanda i figli e dà disposizioni per la successione.

Dopo qualche giorno ha un malore, Katherine tiene il volto vicino al suo, ne coglie l’affanno, le parole faticose, gli asciuga le lacrime che gli scendono dagli occhi. Alle due del mattino del 28 gennaio 1547 il re muore, dopo cinquantacinque anni di vita, sei mogli, tre figli e quasi trentotto anni di regno.

Contravvenendo alla tradizione, Katherine assisterà al funerale. E mentre l’Arcivescovo Cranmer incensa il feretro si ode uno schianto: la bara si è spaccata, del sangue ne cola fuori, due cani neri si avventano a leccarlo sul pavimento – così come aveva profetizzato una donna bruciata per eresia, maledicendolo dal rogo.

Dopo la morte del sovrano Katherine lascia la corte e si trasferisce a Chelsea House, una stupenda residenza  di campagna con grandi finestre a più luci e splendidi giardini, dono di Enrico. Ora gode di una posizione invidiabile: ricca, rispettata, serena, non più minacciata da insidie e congiure. Thomas Seymour, il suo antico amore, riprende a corteggiarla e i due si sposano in segreto poco tempo dopo. Per la prima volta, al suo quarto matrimonio, forse Katherine è felice. E presto aspetterà un figlio. La principessa Elizabeth, di cui ha ottenuto la tutela, vive con lei. Ma accade che Thomas Seymour si prenda delle libertà con la fanciulla. Per proteggerla Katherine la manda presso Lady Jane Denny, sorella di Katherine Ashley, la buona governante di Elizabeth da quando era piccola.

Alla fine di agosto del 1548 Katherine dà alla luce una bambina, il 5 settembre muore di febbre puerperale. Nelle sue ultime ore raccomanda all’Arcivescovo Cranmer la neonata e “gli altri suoi figli: Edward, Mary, Elizabeth". All’arcivescovo affida un plico da consegnare a Elizabeth. È il manoscritto che la principessa le aveva donato per Natale. All’interno un foglio, poche parole scritte con mano incerta: “Grazie, Elizabeth. Grazie, bambina mia”.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Katherine Parr

Brewer, J.S., James Gairdner and R.H. Brodie, eds., Letters and Papers, Foreign and Domestic, in the Reign of Henry VIII, Years 1509-1547, H.M.S.O., London, 1864- 1910

Calendar of state papers and manuscripts relating to English affairs, existing in the archives and collections of Venice, and in other libraries of northern Italy. London, Longman Green, 1864-1947

Cressy, David, Birth, Marriage and Death: Ritual Religions and the Life-Cycle in Tudor and Stuart England, Oxford University Press, Oxford, 1977

Herbert, Edward, 1st Baron of Cherbury, The Life and Reign of King Henry VIII, Andrew Clark, London, 1672

Wriothesley, Charles, A Chronicle of England during the Reigns of the Tudorsfrom 1485 to 1559, Camden Society, London, 1885

Referenze iconografiche: Ritratto di Katherine Parr, fine sedicesimo secolo. National Portrait Gallery. Immagine in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2017

Ultimo aggiornamento: 2023