Vorrei raccontare la storia di tutte quelle maestre e quei maestri che con la loro passione, professionalità, amore tengono viva la scuola primaria, uno dei pilastri dell'intera società. Ma ovviamente non posso parlare di tutte, così racconterò la storia di una sola, Maria Nives, sperando che altre si riconoscano e si sentano rappresentate.

Maria Nives oggi insegna in una scuola primaria di Trieste e nella scuola ha lavorato per più di trent'anni, ma quella di oggi non la soddisfa. È piatta, dice. La scuola adesso non guarda più alla persona e ai suoi bisogni. È diventata un'azienda, ed è emblematico il linguaggio con cui si esprime e si rivolge al pubblico. Non si parla più di studenti e famiglie, ma si parla di utenza, non si parla più di programmi ma di POF, dove la “O” sta per “offerta”. È come un'azienda privata che offre i suoi servizi agli utenti e gli utenti, a loro volta, guardano alla migliore offerta in termini di servizi. Ma non si va al di là di questo, non c'è più attenzione alle persone, e, nel caso della scuola primaria, queste persone sono i bambini, quelli che poi le maestre si trovano in classe all'inizio dell'anno.

Oggi, se potesse decidere, vorrebbe che la scuola fosse gestita da persone che la vivono quotidianamente in prima persona, che ci lavorano. Vorrebbe che la scuola non fosse decisa dall'alto ma da chi ha l'esperienza diretta, con la collaborazione di esperti per ciascuna disciplina. Coinvolgerebbe anche i bambini e i ragazzi, dalla scuola primaria alla secondaria e via via a tutti gli ordini di scuola. Esaminerebbe i loro bisogni e le loro possibilità, e per redigere i programmi e stabilire l'organizzazione scolastica si baserebbe anche sul loro punto di vista. Farebbe un tipo di scuola diverso, basata sulla peer education per attivare un processo di passaggio, non solo di conoscenze e di esperienze, ma anche di emozioni attraverso laboratori, incontri con esperti, confronti, scambio di punti di vista e una grande valorizzazione della creatività e dell'esperienza diretta.

È stata una delle antesignane nel sostenere l'importanza della vita emotiva dei bambini all'interno del processo di apprendimento. A quell'epoca, con queste sue idee sull'insegnamento era considerata un outsider, dopo anni le stesse cose sono diventate la normalità.

Il suo lavoro d’insegnante è stata una fortuna, e ringrazia sempre di avere avuto la possibilità di farlo, perché tutti i bambini che ha avuto le hanno dato tantissimo, le hanno permesso di conoscersi meglio e di imparare cose inaspettate. Il mestiere di insegnante permette una crescita parallela stupenda. Non è mai entrata in classe senza la gioia di vederli, nonostante tutti i problemi contingenti: sempre solo il piacere di stare con loro, di vederli la mattina e di dare loro il buongiorno. Ma il mestiere di maestra non è una passione infantile per lei, da piccola non voleva fare la maestra. Voleva fare l'insegnante di educazione fisica. È nata a Trieste, in una famiglia molto numerosa, ed è la quarta di sei figli e la prima femmina dopo una serie di tre maschi. Ha subìto moltissimo l'influenza maschile, perché viveva e dormiva con i suoi fratelli. Quando doveva tagliarsi i capelli la portavano dal barbiere che le faceva una bella sfumatura alta, e forse è per questo che oggi porta i capelli lunghi. Insomma da piccola era quello che una volta si chiamava un “maschiaccio”. Le sorelle invece hanno avuto un'educazione diversa, più femminile.

Tutti e sei i fratelli e le sorelle hanno ricevuto un'educazione rigida e distaccata, anaffettiva dal punto di vista fisico, come si usava una volta, e poi con sei figli sarebbe stato probabilmente difficile sbaciucchiarseli tutti. L'infanzia se la ricorda molto bella, con tanti giochi e tanto tempo passato in giardino. Ha sempre vissuto in case con grandi giardini, magari con la vista sul bel mare del Golfo di Trieste. Non andavano mai in vacanza, e le estati le passava nel giardino di casa, con i fratelli, a giocare e a fare in libertà di tutto e di più. Ha praticato moltissimo sport fin da piccola, soprattutto nuoto che ha sempre considerato un gioco. Nello stile libero ha raggiunto livelli nazionali, e il fatto di fare dei tempi buoni significava poter andare ai campionati regionali o nazionali, e cioè andare in trasferta in altre città e lì conoscere altre persone. È stata per molti anni campionessa regionale degli 800 e 400 metri stile libero, ed è arrivata seconda ai campionati italiani. A quel punto le è stato proposto di entrare nella nazionale, ma avrebbe dovuto trasferirsi a Roma. Non voleva lasciare Trieste. Non voleva sacrificare tutto il resto della sua vita. Tutto. Studio, amici, vacanze... anche i pomeriggi in spiaggia, perché il sole stanca e non era compatibile con gli allenamenti! Non se l'è sentita. È rimasta a Trieste. Suo padre non le ha parlato per tre mesi. Dopo la rinuncia alla nazionale di nuoto è approdata all'Istituto magistrale. Finite le superiori avrebbe voluto andare a Roma a fare l'ISEF-Istituto Superiore di Educazione Fisica oggi trasformato nella facoltà di Scienze motorie. Ma questa volta è stata la famiglia, molto protettiva e tradizionale, che non le ha permesso di trasferirsi in un'altra città.

Si è iscritta così all'Università di Udine, a Lingue e letterature straniere, che però ha lasciato solo dopo un anno per sposarsi e quindi dedicarsi alla famiglia. Sono nati tre figli, due femmine e un maschio che sono ormai adulti. Appena sposata, grazie al diploma dell'Istituto magistrale, ha cominciato subito a insegnare, prima come supplente in varie scuole poi nelle scuole private e infine, quando ha vinto il concorso, è entrata di ruolo ed è venuta nella scuola dove insegna ancora oggi. La scuola le è sempre piaciuta moltissimo, anche da bambina. E l'dea di fare l'insegnante le era già balenata negli ultimi anni delle magistrali, quando durante il tirocinio aveva lavorato in molte classi e si era resa conto della magia dei bambini. L'aveva colpita il modo che hanno i bambini di approcciarsi alle cose, dai più piccoli ai più grandi. L'esperienza più bella della sua carriera è stata quando ha portato la sua prima classe dalla prima alla quinta, e in quei cinque anni è cresciuta con loro. Visto che lavorava in una scuola privata a tempo pieno, ed era la maestra unica — con un orario, tutti i giorni, dalle otto del mattino alle quattro del pomeriggio, compreso il pranzo! — i bambini stavano quasi più con lei che in famiglia... Adesso li incontra da adulti, e la invitano ai loro matrimoni o ai battesimi dei loro bambini, e si sente di fare ancora parte della loro vita. È un dono importantissimo, è un grazie che vale più di qualsiasi altra cosa. Trent'anni fa, quando ha cominciato a insegnare, c'era un'unicità di obiettivi tra scuola e famiglia. Un patto tacito tra i genitori e gli insegnanti basato sul bene dei bambini. L'insegnante veniva molto rispettato. Questo fare fronte comune tra scuola e famiglie dava sicurezza a tutti. Famiglie e scuola camminavano parallelamente. C'erano dei punti di riferimento saldi sui quali si poteva contare. Invece con il passare del tempo e il cambiamento della società, oggi ogni mancanza educativa viene, da parte dei genitori, sempre attribuita alla scuola e, viceversa, da parte della scuola si dà la colpa alle famiglie. Entrambe le parti cercano i colpevoli, invece di cercare di costruire insieme qualcosa. Questo è quello che manca adesso. Un nuovo patto tra famiglie e scuole. Non basato sulla colpa e la mancanza di una delle due parti, ma su obiettivi comuni da definire insieme. Dato che famiglie e scuola stanno dalla stessa parte, che è quella del bene dei bambini, sarebbe naturale costruire insieme. Anche all'interno della scuola, che è fatta a sua volta di famiglie, si vede questo cambiamento. Se prima il corpo docente era una famiglia adesso non lo è più. Nella scuola diventata un'azienda, gli obiettivi non sono più quelli tipici della scuola ma quelli di un'impresa privata in concorrenza con altre imprese private e che su queste deve prevalere. Il tempo della scuola è coinciso anche con il tempo della famiglia. Sono stati vent'otto anni dedicati ai tre figli che le hanno preso quasi tutto il suo tempo. Vent'otto anni che sono volati, passati in un attimo. E così, un po' per trovare soddisfazione altrove, in un momento in cui la scuola non la soddisfa più, e un po' per colmare quel buco che la laurea mancata aveva lasciato, oggi che ha cresciuto i figli e li ha resi indipendenti, ha ripreso gli studi ed è al terzo anno di Scienze e Tecniche psicologiche all'Università di Trieste che frequenta online. È vero che i figli hanno preso molto del suo tempo, ma sono stati anche lo stimolo per affrontare un percorso diverso, per cambiare come persona, una persona che era il frutto dell'educazione che aveva ricevuto e che non era completamente soddisfacente. A un certo punto ha sentito la necessità di un rinnovamento nei rapporti e nelle relazioni con i figli. Ha affrontato un percorso formativo a Trento sulla relazione centrata sulla persona. Poi è diventata a sua volta formatrice sulla relazione genitori, figli e insegnanti. Ma quando si comincia una cosa nuova si aprono delle nuove porte e uno vorrebbe esplorarle tutte. Così, non contenta, ha continuato questi percorsi formativi, a volte portandosi dietro i figli non sapendo a chi lasciarli. Infine a Trieste ha frequentato il corso triennale dell'Istituto Gestalt di specializzazione in psicologia della gestalt e ha conseguito il diploma di counsellor. Su questa strada ha intenzione di proseguire.

Maria Nives concepisce questa parte del suo lavoro formativo in un contesto sociale e dal suo osservatorio all'interno della scuola è testimone di un grande disorientamento. È importante che ognuno trovi il suo spazio e i punti di riferimento giusti. Crede che ogni persona debba avere la libertà di esprimersi nel modo più consono ai suoi veri desideri. Indipendentemente se sia un maschio o una femmina. Oggi ai maschi viene data la mansione di penetrare nella società, di superare tutte le barriere. Le donne invece sono il nido, devono accudire e contemporaneamente devono trascurare tutti i loro bisogni, senza pensare alla loro penetrazione nella società. D'altra parte le donne, per sopravvivere, devono imparare comunque a tirare fuori la loro parte maschile per poter, appunto, trovare il loro spazio nella società. Gli uomini, invece, una volta trovato il loro posto nella società non esprimono quasi mai la loro parte femminile, non la ricercano e non la coltivano e se lo facessero, la società nel suo complesso sarebbe migliore.

Oggi vuole continuare a fare la formazione per i genitori. Perché nel disorientamento complessivo della società i genitori sono particolarmente soli, disorientati e senza supporti. Servono guide, non calate dall'alto ma offerte in modo che poi ognuno possa decidere se e come metterle in pratica. È importante che ci siano dei momenti di condivisione con altri, per confrontarsi sugli stessi problemi che a volte possono sembrare molto personali ma sono invece generali e riguardano moltissime persone. Maria Nives ha quindi deciso di aprire un'ulteriore porta, di partire con un altro progetto formativo per imparare a vivere meglio la vita con le sue piccole difficoltà quotidiane, con il tempo che stringe, con le troppe cose da fare. Per imparare a fermarsi e dedicarsi alle cose che piacciono. O anche solo per un po' di silenzio.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Nives Delise

Referenze iconografiche: ritratto di Maria Nives Delise, foto di Simona Cerrato.

Voce pubblicata nel: 2012

Ultimo aggiornamento: 2023