L’anno in cui la Rai dette il via alle trasmissioni televisive in Italia era il 1954. Io avevo 23 anni, frequentavo la facoltà di lettere moderne all’Università Federico II di Napoli e contavo che nel giro di un anno mi sarei laureata. Cominciò l’epoca in cui grappoli di umani si accalcavano davanti ai teleschermi sia nei locali pubblici che nelle case dei vicini. Nacquero così nuove abitudini: quando tornavo a casa mi cambiavo, mi prendevo la cena in cucina e mi mettevo con i miei davanti alla Tv. Non ricordo la presenza di fratello e sorelle più giovani di me: se c’erano andavano presto a letto, i genitori a un certo punto si ritiravano –entrambi al mattino dovevano andare al lavoro. mio padre era contabile all’Ansaldo, mia madre maestra elementare. Io restavo sola e consumavo il resto della giornata fino alla fine della programmazione. Mi piacevano gli sceneggiati e gli spettacoli di varietà: in particolare mi piaceva quando alla fine dello spettacolo attori, cantanti, presentatori si portavano alla ribalta per ricevere gli applausi del pubblico. Avvertivo sempre più di appartenere alla categoria di quelli che stanno dietro la grande macchina e non dalla parte dello spettatore in pantofole, ruolo nel quale vissi a lungo e, tutto sommato, con molto gusto. Ma deve esserci stata proprio una sera in cui mi sono detta: "Devo riuscirci: devo stare dall’altra parte!”.

Eccola qui, messa nero su bianco dalle pagine dell’ultimo, travagliato libro uscito poco prima di morire, Tivvù passione mia, nel 2016, la nascita della passione per la televisione di una delle pioniere femministe della Rai in Italia.

Campana verace, orgogliosa delle sue origini che manifestava apertamente con l’eloquio vivacemente segnato dall’inconfondibile accento napoletano, Matilde Capomazza nasce a Pozzuoli il 12 novembre 1931, e sviluppa da giovanissima grande curiosità e interesse per la comunicazione televisiva, intuendo che quel mezzo sarebbe stato fondamentale nella creazione del consenso e della diffusione culturale e sociale della collettività.

Dopo un periodo di attività nelle redazioni di diversi giornali della Fuci, la Federazione universitaria della gioventù cattolica, e parallelamente di insegnamento nelle scuole nel nord Italia, è dirigente della rivista cattolica e collabora con l’Unione Donne di Azione Cattolica.

Non abbandona tuttavia l’obiettivo di fare parte del mondo televisivo; partecipa prima al corso Rai per la professione di programmista nel 1966 e, nei primi anni Settanta arriva finalmente l’assunzione. Unica donna a collaborare nel famoso programma di educazione e divulgazione Sapere, punta di diamante di Rai 1, nel 1977 passando a Rai 2 finalmente è titolare di un programma totalmente suo, in qualità di regista: Si Dice donna, una trasmissione rivoluzionaria, supportata da Massimo Fichera, esperto di storia della televisione italiana e internazionale, il primo direttore del secondo canale dopo la riforma della Rai del 1975, il quale chiama un’altra donna, Marina Tartara, in qualità di dirigente di struttura.

Fichera trasforma Rai 2 in un canale innovativo e più attento ai movimenti sociali rispetto a Rai 1, canale istituzionale e moderato. In questa chiave Si dice Donna diventa, dal punto di vista politico, un dirompente esempio del cambio di passo culturale della Rai, che per la prima volta porta sullo schermo delle case italiane, e quindi dentro la vita quotidiana delle famiglie i temi, la visione e lo sguardo femminista sulla realtà.

Tilde Capomazza guiderà per quattro edizioni il programma, al quale è dedicato il libro curato da Loredana Cornero La tigre e il violino, edito nel 2012 da Edizioni Rai Eri con annesso dvd con brani del programma, a cura di Raiteche. 
Negli appunti che precedono l’editing del testo Tilde Capomazza annota: "È ben chiaro che all’epoca tutta la televisione aveva tempi molto più lenti di oggi e io stessa nel rivedere alcune puntate ho sentito la lentezza e la lungaggine di certe testimonianze che avrei accorciato. Proprio nella prima puntata della serie dal titolo La sessualità da me realizzata a Napoli, in ambito Udi, notavo che c’erano lentezze e ripetizioni che all’epoca però, essendo argomenti decisamente sconvolgenti venivano accolti con molto interesse. Oggi gli eventuali ascoltatori abituati a ritmi rapidissimi non sopporterebbero dal principio alla fine quelle coraggiose confessioni d’epoca”.

Al programma, realizzato da Tilde Capomazza con una libertà d’azione straordinaria per l’epoca e per la Rai, parteciperanno nel corso delle varie edizioni studiose e attiviste femministe, ne ricordo alcune: Bianca Maria Frabotta, Alessandra Bocchetti, Ida Farè, Daniela Colombo, Anna Maria Guadagni, Fiamma Nirestein, Paola Piva, Maricla Tagliaferri, Mariella Gramaglia, Sofia Scandurra, Annarita Buttafuoco (che sarà anche per molti anni sua compagna di vita); Si dice donna spazierà in ogni ambito del sapere, dalla musica all’attualità passando per la letteratura e l’economia, diventando un format paradigmatico per chi fa televisione.

La stagione rivoluzionaria di Rai 2 si arrestò con l’avvento dell’era craxiana: nel 1979 la trasmissione chiuse i battenti, e con essa anche la possibilità di Tilde Capomazza di fare televisione; dopo un periodo nel quale la trasmissione andò in onda in versione radiofonica la presenza dei temi femministi così come erano stati proposti da Si dice donna perse visibilità.

Tilde Capomazza sceglie di andare in pensione prima del tempo, ma non cessa la sua attività editoriale come femminista: con Marisa Ombra (ex partigiana, scrittrice, giornalista e presidente, negli anni Settanta, dell'editrice di Noi donne) scrive nel 1987 Storie, miti e riti della giornata internazionale della donna per la casa editrice Utopia, ristampato nel 2009 da Jacobelli con annesso anche un dvd.

Ecco come Tilde Capomazza motivava in una intervista di Silvana Mazzocchi su «Repubblica» la decisione di scrivere il libro sulla storia dell’8 marzo: “Ci eravamo buttate in questa impresa Marisa ed io, non storiche, ma militanti del Movimento con percorsi diversi, perché avvertivamo che le manifestazioni dell'8 marzo stavano perdendo di forza, di efficacia, al limite, di senso. E pensammo di ripercorrerne la storia per capire cosa aveva spinto le donne che ci avevano precedute a costruire questo appuntamento annuale di lunga durata che aveva certamente prodotto importanti esiti. Era il caso di mollarlo o era bene rifletterci? Scegliemmo la seconda via scoprendo eventi impensati”.

Non bisogna però dimenticare che, negli anni luminosi e fecondi della sua attività di regista, insieme a Annarita Buttafuoco e altre fonderà 
la prima rivista italiana di storia delle donne "DWF" (donnawomenfemme), occupandosi della redazione e pubblicando numerosi scritti.

Nel 2012 diventa attiva nel Consiglio di Amministrazione dell’Unione Femminile Nazionale, per la quale realizza nel 2015 il documentario L’Unione femminile nazionale nella grande guerra, dopo un anno di febbrili ricerche d’archivio e raccolta di materiali e testimonianze.

Il suo ultimo libro già citato Tivvù passione mia (2016, Edizione Harpo) è una sorta di autobiografia, nella quale intreccerà vita privata, amori e, come si è detto, la passione di una vita, la televisione.

Gli ultimi anni li trascorre a Genova, dove sarà attiva per un breve periodo con il gruppo Archinaute; la solitudine e una malattia aggressiva ne mineranno rapidamente la salute. A due anni dall’uscita del libro autobiografico, che per fortuna riesce a presentare in alcune città italiane, Tilde Capomazza muore il 3 febbraio del 2018.

Ecco, riassunta in una nota dell’ultimo libro, una possibile sintesi dell’attenzione che ha sempre posto nel suo lavoro di divulgatrice, autrice e regista: "Essere donna e intervistare una donna non è cosa semplice. Ricordo soprattutto il rapporto di fiducia che si stabiliva nel corso dell’intervista: io ponevo domande di non poco conto che riguardavano la vita intima della donna che mi stava di fronte. Lei mi guardava negli occhi e dal mio ascolto attento traeva sempre più coraggio ad aprirsi: ne venivano fuori le viscere e i sentimenti. Sembrava un colloquio intimo tra due amiche, ma io sentivo che lo scarto tra me e lei era enorme. Intorno c’era una troupe di sette uomini (così allora era composta la squadra prima che arrivasse l’elettronica) e questi registravano le sue parole, i suoi gesti, a volte le lacrime, mentre io, ripresa di spalle e protetta dalla mia professione, restavo indenne. Mi pareva quasi di tradire la donna intervistata che sarebbe stata vista da milioni di persone. Eppure tutto questo era lavoro politico: processo di liberazione, affermazione del valore della donna, della sua diversità, dello sforzo che faceva nel tirar fuori pensieri mai detti, provocando le altre che erano in ascolto a ripensare sé stesse.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Tilde Capomazza

http://www.teche.rai.it/2018/03/tilde-capomazza/

Referenze iconografiche: immagine proveniente da archivi RAI.

Voce pubblicata nel: 2019

Ultimo aggiornamento: 2023