Figlia di un agente marittimo di origini greche e di una nipote del barone siciliano Rosario Currò, Alice nasce a Trieste nella tipica famiglia cosmopolita della borghesia mercantile ottocentesca. La sua infanzia trascorre serena nella villa di famiglia più tardi intitolata alla madre Margherita, costruita nel 1856 su un progetto attribuito a uno dei padri del neoclassicismo tergestino (Giovanni Berlam) e riempita presto dalle opere degli artisti attivi in città tra Otto- e Novecento: Barison, Iakovidis, Scomparini, Wostry, Zangrando. È questa la sua prima, privatissima “scuola del vedere”: l’ambiente ideale dove coltivare la passione per l’arte classica e il disegno.

Le prime prove datate (al 1936) sono alcune caricature scolastiche, tra le quali spicca quella dello scrittore Giani Stuparich, suo professore al liceo Dante Alighieri. 1 Alice si firma con un ipocoristico che è anche elemento tematico, «Psa», pseudonimo fumettistico e onomatopeico – quasi uno sberleffo. È un’identità ironica e graffiante quella con cui la giovane Psacaropulo si affaccia sulla scena triestina, subito messa alla prova dalla scelta convinta di voler proseguire la propria formazione con Felice Casorati.

Tra l’inverno del 1939 e la primavera del 1943 Alice è infatti a Torino. Nell’atelier del maestro stringe amicizia con Alfredo Casella, Albino Galvano e Paola Levi-Montalcini, con la quale intrattiene una breve ma intensa corrispondenza epistolare. 2 Qui Alice impara il rigore della composizione e i modi sospesi e silenziosi del realismo magico casoratiano.
Sono anni che influenzano non solo il successivo percorso artistico, ma anche, di riflesso, l’approccio della critica all’indagine del rapporto intrattenuto con la tradizione, indagine che si è spesso accontentata di misurare quanto la sua arte si allontanasse o si riavvicinasse all’unica fonte certa – quella casoratiana appunto –, celebrando così in quei feraci anni Quaranta la sua età dell’oro.

Se però le mele appena tagliate dal coltello, le pipe sparse sulla tavola sgombra, i ritratti terrosi di donne e uomini comuni e “senza qualità” sono spesso ancora gli esercizi per fare ordine in quella mitologia del quotidiano tanto cara a Casorati, con il ritorno a Trieste e la laurea in archeologia, l’eredità e l’indipendenza dal modello magico-realista si fronteggiano sul campo di un «neocubismo sintetico».3

A conquistare la XXIV Biennale veneziana, le Quadriennali romane del ’48, del ’56 e del ’60, ma anche la stima di Gillo Dorfles, che nel ’52 cura un’importante personale alla Galleria Delfino di Rovereto, sono corpi ormai infranti e senza volto; paesaggi deformati da una natura ostile o arsi dal cemento; ma soprattutto le nature morte: le “cartine politiche” attraverso cui rileggere la drammatica situazione triestina.4

Sono gli anni turbolenti del Governo Militare Alleato (1945-1954) e delle grandi collettive “ideologiche”: come la mostra-concorso dedicata al santo martire della città (San Giusto, 1946) e quella organizzata dal neonato ateneo triestino (1953); a questa, in particolare, Alice partecipa come unica donna accanto a Leonor Fini. Contemporaneamente, Alice fonda la sezione triestina del Soroptimist insieme alle amiche Fulvia Costantinides e Mirella Schott Sbisà. Inizia l’insegnamento, diventa madre.

Il trasferimento a Venezia, nel 1960, segna una nuova svolta. Alice inizia a sciogliere nel colore la vigorosa struttura compositiva cubista e a scivolare negli abissi della propria interiorità. Autoritratto in blu è, in questo senso, opera consapevole e programmatica. È il preludio di quelle tendenze informali che agitano i suoi fondali marini (debitori verso lo spazialismo di Mario De Luigi) e i lavori anche di parte del decennio successivo.
Nello stesso periodo, si intensificano le commissioni per le decorazioni delle grandi navi bianche, iniziate nel ’49 con l’amico Santomaso, e culminate nel ’65 con i lavori di impostazione muralista e sironiana per la Raffaello.5

Tornata a Trieste nel ’71, l’interesse per l’astratto inizia ad affievolirsi. È tempo di rielaborare l’esperienza veneziana, anche quella dell’aqua granda, la terribile alluvione vissuta in prima persona nel ’66 e fonte di uno dei cicli più visionari dell’intera produzione: Venezia sommersa. Nella Trieste dei “jeansinari” si andava però esaurendo l’esperienza artistica della “samberia”, la vivace bohème pianta dalle poesie di Guido Sambo, e la morte prematura di Miela Reina infligge un colpo durissimo all’apertura della città verso il contemporaneo.
Alice sente presto il bisogno di evasione e riparte: prima per le valli pusteresi, dove trova la casa che sarà il suo buen retiro. Poi nel 1978, l’anno in cui viene approvata la Legge Basaglia, per l’America Centrale. È il viaggio con cui si compie il definitivo ritorno al figurativo, seppure nelle forme evanescenti di una surrealtà che racconta e mescola sacro e profano, in quello che Sgarbi ha definito «realismo provvisorio».6

Ed è il sacro il nuovo campo d’interesse della produzione degli anni Ottanta, aperti da quella che Decio Gioseffi presagisce «la sua apoteosi»: la grandiosa commissione per l’Assunta della chiesa di Cessalto (TV), per la quale Alice Psacaropulo si confronta con la tradizione rinascimentale veneta. Il richiamo dell’oltremondano proviene certamente dai luttuosi avvenimenti del periodo: la perdita prematura di un nipote e soprattutto quella dell’amato marito. Un’«orchestra spirituale» popola le tele degli anni Novanta, dove musici insegnano ai boschi a far risuonare i nomi dei cari.7

I primi Duemila sono gli anni della rassegna, dell’ordinamento e in certi casi della riproposizione di alcuni temi della propria opera. La musica è, in questo senso, motivo “carsico” per eccellenza e – come già aveva avvertito Marina Poggi d’Angelo – tema ideale per far proprie nuove istanze simboliste.8 Ma la nostalgia ha un ultimo moto creativo, con il ciclo degli idoli cicladici, le divinità delle terre avite, che Alice dipinge fino agli ultimi giorni, inserendole ironiche e sonnolente in un paesaggio svanito, ormai più spirituale che reale: un paesaggio dell’anima.

Note


1 Un gruppo di caricature è stato pubblicato per la prima volta da Claudia Crosera, 1936-1946. Gli esordi, in Alice Psacaropulo. Scritti per il centenario, a cura di M. Casaccia, Roma, Palombi, 2023, pp. 19-37
2 Una prima lettera del carteggio è riprodotta e commentata in Michele Casaccia, «Ove memoria d’Ellade è rimasa». Su un sonetto di Cesare Sofianopulo e altre notizie inedite dall’archivio Psacaropulo, «Archeografo triestino», CXXXII (2023), pp. 349-358.
3 La definizione è in Nicoletta Zanni, 1947-1959. Il dopoguerra in Scritti per il centenario, cit., pp. 41-57: 45, cui si rimanda per contestualizzare la produzione pittorica e critica degli anni Cinquanta.
4 Della mostra di Dorfles è sparuto testimone quell’Interno con violini oggi al MART di Rovereto: link (ultima consultazione 15/06/2025).
5 Sui contatti tra Psacaropulo e Santomaso si vedano Massimo De Grassi, Giuseppe Santomaso e Trieste, «Saggi e memorie di storia dell’arte», XXXIII (2009), pp. 535-548 e ancora M. Casaccia, «Ove memoria d’Ellade è rimasa», cit. Sulla produzione degli anni Sessanta, Massimo De Grassi, 1960-1971. Il periodo veneziano, in Scritti per il centenario, cit., pp. 61-71.
6 Si veda la prefazione ad Alice Psacaropulo, a cura di S. Molesi, Monfalcone, Edizioni della Laguna, 2003, p. 9.
7 Per la definizione di Laura Safred, si veda Claudio Martelli, Alice Psacaropulo. Compendio critico, Trieste, Hammerle, 2006, p. 37.
8 Si veda la recensione alla mostra tenuta nel 1992 a Roma riprodotta in C. Martelli, Compendio critico, cit., p. 45.




Voce pubblicata nel: 2025

Ultimo aggiornamento: 2025