Come spesso accade nella vita di personalità artistiche, un evento traumatico può segnare l'inizio di percorsi creativi che, senza quella dolorosa esperienza, forse non avrebbero mai preso forma. Uno strappo doloroso, una vicenda umana in grado di volgere il corso degli eventi, a volte hanno ribaltato un destino che sembrava già segnato, permettendo a nuove opportunità e incontri di farsi largo.
Così anche la vita di Faustina Maratti, nata a Roma nel 1679 dall'unione extraconiugale tra il pittore Carlo Maratti e Francesca Gommi, è stata segnata da un episodio inaspettato, forse determinante nel far emergere l'anima di una poetessa la cui penna ha lasciato alla storia versi che meritano una lettura approfondita.
Faustina Caterina Antonia Maratti nel 1703 era una giovane donna di vent'anni che si affacciava alla vita. Non sappiamo quali pensieri e aspettative attraversassero la sua mente la mattina del 29 maggio mentre, con la madre Francesca e un piccolo corteo composto da due servitori e dalla cameriera Diana, si recava alla chiesetta del convento di Sant'Anna vicino al Quirinale. Ciò che sappiamo, però, è che quella mattina Faustina difese se stessa e la sua libertà, riuscendo a scampare al tentato rapimento orchestrato da un giovane appartenente a una illustre famiglia romana: Giangiorgio Sforza Cesarini. I due si erano probabilmente conosciuti a Genzano, dove i Maratti e i Cesarini avevano le proprie residenze estive. Di fronte al rifiuto di Faustina di fuggire con lui per sposarlo, e al tentativo della giovane di far accettare l'impossibilità dell'unione, ostacolata oltretutto dalla differenza di rango sociale, Giangiorgio reagì tentando di imporre con la forza una decisione non condivisa. Faustina liberandosi dalla stretta dei suoi assalitori e rifugiatasi dentro al convento dei Padri Carmelitani non esitò a difendere la propria volontà, neppure di fronte alla violenza inaudita dello Sforza che durante la colluttazione ferì la giovane lasciandole sul volto un segno indelebile.
Il padre di Faustina, il pittore Carlo Maratti, era intento proprio in quel periodo a decorare l'interno del salone centrale del palazzo, scegliendo come soggetto il rapimento di Proserpina. A seguito dell'aggressione interruppe il progetto decidendo di trasferire la residenza estiva della famiglia ad Albano. Il tentato rapimento di Faustina, tuttavia, non fu l'epilogo di una triste storia, piuttosto l'esordio del percorso artistico e letterario di una giovane donna.
Nonostante autorevoli letterati e poeti abbiano riconosciuto il talento e il valore della penna della Maratti, la sua figura è stata a lungo confinata all'interno di cornici che non hanno dato il giusto risalto allo spessore artistico e individuale della scrittrice. L’analisi critica della sua produzione poetica e studi più recenti, tuttavia, hanno meglio evidenziato quanto l’originalità artistica e creativa della Maratti si sia distinta all’interno di un contesto politico e culturale, quello della Roma a cavallo tra il '600 e il '700. Qui Faustina mostrò una propria personalità coltivando relazioni sociali e culturali che i ruoli e gli ambienti frequentati, di volta in volta, le permettevano di intrecciare.
Indubbiamente la posizione ricoperta dal padre Carlo Maratti e l'amicizia dei suoi più stretti protettori, il cardinale Francesco Barberini e papa Clemente XI, oltre ad assicurare una condanna esemplare nei confronti del giovane duca Sforza Cesarini, avevano permesso a Faustina di avvicinarsi insieme a suo padre agli ambienti eruditi dell'epoca, come quello della regina Cristina di Svezia, e di conoscere figure di spicco nel mondo della cultura e dell'arte tra le quali certamente l'antiquario Giovan Pietro Bellori, bibliotecario della regina Cristina e presenza assidua in casa Maratti. Questi fattori, uniti all'educazione e all'istruzione scrupolosa ricevuta da Faustina che, oltre al disegno, comprendeva la pittura, la musica e anche la poesia, furono determinanti nel forgiare la personalità artistica della poetessa e nell'attirare verso di sé stima e riconoscimenti, nonostante il serpeggiare velenoso delle malelingue che di tanto in tanto tentavano di screditare la sua immagine.
Faustina entrò a far parte dell'Arcadia il 2 maggio del 1704 insieme al padre Carlo, che appena una settimana prima era stato insignito in Campidoglio della nomina di Cavaliere dell'Abito di Cristo per volontà di papa Clemente XI. Aglauro Cidonia fu lo pseudonimo di Faustina all’interno dell’accademia, Disfilo Coriteo quello del padre. L’appartenenza e la discendenza borghese della Maratti rappresentavano un avvenimento insolito almeno tra i membri femminili dell'Arcadia, tuttavia, il ruolo che la poetessa rivestì all'interno dell'accademia e la sua spiccata personalità artistica le assicurarono apprezzamenti negli ambienti culturali e letterari romani, superando la diffidenza iniziale legata anche allo scandalo che la riguardava.
Se da un lato la cicatrice sul volto della poetessa rievocava l'oltraggio subito, dall'altro attribuiva a Faustina un’identità unica e peculiare, quella di un’eroina scampata a un destino vergognoso. L’ingresso all’interno dell’Arcadia, inoltre, diede inizio a un nuovo capitolo nella vita della Maratti favorito dall’incontro con Giovambattista Felice Zappi, avvocato e poeta imolese, che di lì a poco sarebbe diventato suo marito. Faustina e Giovambattista si sposarono il 2 luglio del 1705 e dalla loro unione nacquero tre figli: Livia, Luigi Evangelista e Rinaldo. Gli anni successivi all’unione con Zappi rappresentarono un periodo sereno e soddisfacente per Faustina, grazie anche allo scambio culturale e artistico con letterati, poeti e amici che frequentavano abitualmente l'abitazione della coppia. Faustina e Giovambattista trasformarono il casino di Albano in un vivace punto di incontro, frequentato da personaggi noti del mondo culturale e politico romano e bolognese dell’epoca, tra cui Giampietro Zanotti, Pietro Jacopo Martelli, Paolo Rolli, Eustachio Manfredi e Giuseppe Antonio Ghedini.
A partire dal 1710, però, l'idillio poetico e culturale che contornava la vita della Maratti e di suo marito venne distrutto da alcuni gravi lutti, tra cui quelli dei genitori di Faustina e del piccolo Rinaldo. La serenità della poetessa iniziò a essere messa alla prova anche da una serie di difficoltà economiche, che si aggravarono drasticamente dopo la morte dello Zappi, il 30 luglio del 1719. Negli anni successivi Faustina si spostò tra Roma, Imola e Venezia sostenuta dall'abate Vincenzo Parravicini che le rimase accanto fino al 1729. In questo periodo la poetessa continuò a dedicarsi alla scrittura in versi, preoccupandosi al contempo della gestione degli aspetti economici e finanziari della famiglia e dell'educazione dei figli. Nel 1728, inoltre, a seguito delle dichiarazioni di un giovane di nome Francesco, che asseriva di essere figlio naturale della Maratti e dello Sforza Cesarini, Faustina venne trascinata in un lungo processo penale che ebbe termine solo nel 1744 quando la poetessa riuscì a respingere ogni accusa. In quegli anni la salute della Maratti iniziò a peggiorare irrimediabilmente; Faustina si spense il 20 gennaio del 1745 nella sua abitazione in via Rasella e fu sepolta nella chiesa di S. Carlino alle Quattro Fontane.
Entrando nel merito dell'opera della Maratti, si contraddistingue fin da subito una poetica intima e personale. I temi affrontati nei suoi versi sono l’amore, il proprio vissuto, il dolore. Della sua produzione poetica restano solo 38 sonetti raccolti, insieme ai componimenti del marito, all’interno di un Canzoniere dal titolo Rime di Giovanni Battista Felice Zappi e di Faustina Maratti, sua consorte, aggiuntevi altre poesie de' più celebri dell'Arcadia di Roma, pubblicato nel 1723 e i dieci sonetti dedicati alle mulieres illustres dell'antichità romana (Veturia, Porcia, Lucrezia, Tuzia, Virginia, Claudia, Arria, Ortensia, Cornelia, Clelia), probabilmente la testimonianza più significativa del percorso poetico e artistico di Faustina. Anche se è evidente che il ciclo pittorico dedicato alle eroine romane realizzato dal padre Carlo fu una fonte di ispirazione per la poetessa, il corpus letterario che ne seguì evidenzia l’ampia conoscenza che la Maratti aveva degli autori classici e delle fonti letterarie del passato, in particolare di alcuni passi dell'opera di Livio, Valerio Massimo e Plutarco.
Per Faustina le dieci mulieres non furono solo un esercizio retorico: è incontestabile la volontà di rendere originale e personale la narrazione di alcuni profili. La poetessa si è focalizzata su alcuni modelli ed esempi di virtù che, per via delle affinità con le sue vicende personali, rappresentano degli exempla di coraggio e rettitudine morale, restituiti al lettore attraverso forme e prospettive innovative. La sensibilità e l’originalità che emergono dalla narrazione di Faustina sono in grado di conferire a temi noti alla tradizione letteraria, teatrale e artistica del '600 e del '700 un carattere differente e inedito.
Al centro dei suoi versi ci sono le donne, le loro scelte e la potenza delle loro azioni che senza ricorrere alla forza possono produrre effetti ancor più significativi. Non passano inosservati i versi “E quel, che non potean l'armi Latine, fè d'una donna il glorioso orgoglio”, dedicati a Veturia, in cui si sottolinea la forza e l'orgoglio con i quali, ancor più che con le armi, una donna può offrire il proprio contributo attraverso la potenza delle parole, senza necessariamente ricorrere alla forza. Altro suggestivo ritratto è quello di Porcia, figlia di Catone l'Uticense e moglie del cesaricida Bruto, la cui morte, come ricorda la Maratti nell'ultimo verso della poesia a lei dedicata, “è sola ancora”. Il suicidio di Porzia, infatti, per Faustina meriterebbe ancor più dignità di quello del padre, perché a condurre la donna a compiere un tale gesto estremo era stato l'amore e il desiderio di ricongiungersi al marito defunto.
L’originalità attribuita a Faustina nella realizzazione del progetto poetico dedicato alle donne del passato emerge soprattutto dalla volontà della poetessa di rivolgere l'attenzione a figure femminili dell'antichità non molto note, ma indubbiamente adatte a esaltare quel modello di affermazione e di coraggio a cui la poetessa ambiva, personalizzando la narrazione attraverso una lettura più intima e individuale. Ne è un esempio il ritratto di Ortensia, nel quale Faustina, lodando l’orazione pronunciata dalla donna nel foro romano per persuadere i triumviri a rivedere una tassa imposta alle matrone romane, intese rivendicare che l'arte del parlare è un'abilità tanto degli uomini quanto delle donne. Qui la poetessa non risparmia parole di biasimo nei confronti di quelli che, al contrario, palesavano ammirazione per la donna silenziosa e remissiva, e invita a considerare la stima attribuita alle donne che hanno usato le parole con intelligenza e sapienza: tanto nel presente quanto nel passato “Donna che, saggia parli, e piacque, e piace”.
La lettura di questi versi arricchisce lo sguardo critico sull’opera della Maratti rilevando quanto la poetessa non si sia limitata a celebrare il coraggio e i comportamenti virtuosi delle mulieres illustres, ma si sia soffermata in più di un ritratto sugli elementi che esprimono il tentativo di affermazione e la rivendicazione di una certa libertà di scelta. Ne sono un esempio i versi “Di sé Regina e del suo cor sovrana” riferiti a Cornelia che aveva rifiutato la proposta di matrimonio di Tolomeo VIII Evergete II re d'Egitto.
Più noti, invece, i versi con i quali Faustina rese omaggio alla figura di Lucrezia. Si avverte, leggendo che col suo sangue, di bell'ira accesa, lavò la non sua colpa, e il proprio scarno, un'empatia profonda con la matrona romana, suicidatasi dopo aver subito uno stupro.
Attraverso le parole lavò la non sua colpa non si fa riferimento all'eliminazione di una colpa, quanto piuttosto all'epurazione dell'offesa ricevuta: la Maratti, con la sua interpretazione personale e sensibilità poetica, non solo mette in luce l’ingiustizia subita da Lucrezia, ma celebra la forza del suo gesto e della sua reazione purificatrice, conferendole una nuova dignità. Le mulieres illustres raccontate da Faustina, grazie alla vitalità e alla fierezza che permeano le loro azioni, conquistano uno spazio nuovo, che permette di allargare la prospettiva e di riconsiderare il ruolo delle donne nella storia. La scrittura della Maratti, attraverso un’empatia palpabile e un profondo senso di giustizia nei confronti dell’universo femminile, diventa portavoce di una visione alternativa che rifiuta la colpevolizzazione della vittima e trasforma il dolore e la sofferenza in un atto di coraggio e resistenza.
S. Cracolici, Su Carlo e Faustina Maratti: Disfilo e Aglauro in Arcadia, in Maratti e l’Europa, Atti delle Giornate di Studio su Carlo Maratti nel terzo centenario della morte (1713-2013), Roma, 11-12 novembre 2013, a cura di Liliana Barroero, Simonetta Prosperi Valenti Rodinò, Sebastian Schütze, Roma, Campisano Editore, 2015, pp. 315-326.
S. Cracolici, Le donne illustri di Faustina Maratti, «Giornale Storico della Letteratura Italiana», CXXXV, vol. CXCV, fasc. 650, 2018, pp. 179-214.
A. Crielesi, Il casino Maratti Zappi in Albano, in «Strenna dei romanisti», LXXIV, 2013, pp. 229-250.
G. Galetto, Faustina Maratti e i sonetti delle mulieres illustres: tra la virtus di Livio e la teoria pittorica di Bellori, in «Bollettino Telematico dell'Arte», 12 Febbraio 2019, n. 862, pp. 1-33.
G. Galli, Nel Settecento: i poeti G. B. F. Z. e Faustina Maratti, Bologna 1925. S. Veneziani, (a cura di), Faustina Maratti, in DBI, volume 69, 2007, Treccani.
Voce pubblicata nel: 2025