Ero ancora nella carrozzina e torna a farsi sentire quel possente bisogno di sedermi, guardare fuori le verdi piante, osservare il sole, ma sono schiacciata giù e non posso. Tornò di nuovo quel senso di ineluttabile, totale oppressione, senza possibilità di fine, ma poi questa volta vengo liberata dalle coperte, mi si mette seduta e la bellezza del mondo mi invade con un fluente senso di meraviglioso benessere. E anche questo tornò a capitarmi molte volte durante la vita.
Così Giulia Maria Crespi racconta nelle prime pagine dell’autobiografia Il mio filo rosso l’aspirazione alla bellezza e alla difesa della natura che ha perseguito durante i suoi 97 anni, proprio come un fil rouge.
Unica erede della famiglia milanese dei Crespi (imprenditori nel settore tessile e proprietari del Corriere della Sera), nasce già circondata dalla bellezza e vive, educata da precettori, con lo sfondo del monumentale appartamento in Corso Venezia, dove si diceva venissero accolti anche duecento invitati tra argenti e altri splendori, opere di Morandi e due Canaletto che la regina Elisabetta avrebbe considerato più belli dei suoi. L’interesse per l’arte le venne trasmesso anche da un’insegnante d’eccezione: Fernanda Wittgens, (“bionda, possente e bella come una Brunilde wagneriana”), protagonista assoluta della salvaguardia delle opere artistiche durante gli anni della guerra. Da lei apprese anche l’amore per l’Italia, a cui Giulia unì una grande passione per la natura.
Queste inclinazioni si affiancano alla cura delle persone in difficoltà: dopo la seconda guerra mondiale si dedicò alla “Fondazione Crespi Morbio” di Sesto San Giovanni per assistere le famiglie numerose e collaborò fino al 1960 con l’Associazione “Ape Laboriosa”, in aiuto dei bambini della periferia milanese.
Gli anni Sessanta segnano una svolta nella sua vita, perché in quel periodo inizia a gestire la proprietà del Corriere della Sera, dopo la morte degli zii Mario e Vittorio e la grave malattia del padre Aldo. Per il suo carattere, unito a un esile aspetto fisico e per lo stile di gestione, le vengono affibbiati soprannomi celebri: «la Zarina», di Indro Montanelli e «volto da fanciullina», di Giovanni Spadolini, direttore del Corriere della Sera. Proprio Spadolini e Montanelli verranno allontanati da lei che volle Piero Ottone alla direzione del giornale, ma la crisi dei bilanci la portò nel 1973 alla cessione di quote del giornale a Gianni Agnelli e ad Angelo Moratti, per giungere poi nel 1974 alla vendita della maggioranza ad Andrea Rizzoli.
Si chiude un capitolo della sua vita e si apre una nuova pagina che la ispirerà per creare in seguito il personaggio di Anna, “una bambina che mai in vita sua aveva detto una bugia”. Anna è la protagonista di favole che la stessa Giulia Maria Crespi scriverà per i suoi nipoti, ma anche per altri lettori grandi e piccini: è una bambina che ha il dono di capire tuti gli abitanti della natura: Usi, la regina degli usignoli, Zanza e le sue fedeli zanzare, lo scoiattolo Timmy Puntapiè, l’Ingegner Corvo e il Dottor Gufo, Nuvola, la cavalla alata, Airone gambalunga, Fata Mughettina… Anna vive tra Milano e Zelata, un paesino “in un’ansa del fiume Ticino, tra antichi boschi che costeggiano le campagne dove viene coltivato un riso prezioso”. E proprio alla Zelata di Bereguardo, nel Parco Naturale del Ticino, Giulia fu proprietaria di un'azienda agricola biodinamica, che condusse insieme al figlio Aldo Paravicini Crespi dal 1976.
Ebbe due figli e due matrimoni: i gemelli Aldo e Luca nacquero dalle nozze col conte Marco Paravicini, del quale rimase vedova nel 1956; in seguito, nel 1965, si sposò con l’architetto Guglielmo Mozzoni, che proprio alla Zelata progettò e realizzò per sé e la moglie una villa su palafitte, così descritta anche nelle favole di Giulia Maria Crespi: “Lì accanto, su un pratone, c’è una casa costruita sulle palafitte che abbraccia un’antica e grande quercia: è la casa del Quac”. Infatti la favola di Anna è anche una sorta di autobiografia.
In un ricordo della Crespi, Andrea Carandini (archeologo e presidente del Fondo Ambiente Italiano dal 2013 al 2021) affermava che da “«regina» come appariva nelle sontuose e musicali cene a Corso Venezia, dove la migliore Italia veniva accolta”, lei gli “aveva confessato di voler essere (e sperare di essere in una vita successiva)” una pastorella e “in parte già [lo] era nelle sue case in Lombardia, Toscana e Sardegna”.
Più che pastorella, in Lombardia diventa imprenditrice anticonvenzionale quando decide di riconvertire i 300 ettari dell’azienda familiare di Cascine Orsine, rifiutando tutti i materiali chimici, ricorrendo a concimazioni naturali e seguendo l’influenza delle fasi lunari sui cicli della terra.
Dopo il cancro e la radioterapia, Giulia Maria Crespi aveva avvertito il desiderio di affidarsi alla natura, come già testimoniava il suo impegno da protagonista nell’Associazione “Italia Nostra”; nel 1975 firma insieme a Renato Bazzoni, Alberto Predieri e Franco Russoli l’atto costitutivo del FAI, il Fondo Ambiente Italiano che ha segnato un punto di svolta nella cultura della conservazione e del paesaggio col coinvolgimento dei cittadini e delle élite in prima persona.
Non mancano le critiche anche in questa occasione, come in tante altre nella sua vita: alcuni sostengono che solo lo Stato dovrebbe preservare beni monumentali e ambientali e questo non dovrebbe essere il compito di un’Associazione, ma Giulia Maria Crespi prosegue e, come Nonna Bau nelle favole di Anna, continua a riunire “per cena gli amici, alcuni dotti, alcuni noiosi, alcuni brillanti giornalisti, ma tutti un po’ amareggiati e ansiosi per l’andamento della politica e i problemi economici”.
Marco Magnifico (storico dell’arte e presidente del FAI dal 2021) ricorda che
negli ultimi mesi, molto molto difficili per lei, ascoltava spesso la Sesta Sinfonia di Beethoven perché […] l’attesa di quel celestiale sereno dopo la tempesta era un po’ una rappresentazione della sua vita, delle mille battaglie per l’Italia e per il prossimo […] che aveva combattuto da sola, in due o preferibilmente in squadra (come con il FAI). Un sereno come quello della Sesta, mi diceva, non giunge quasi mai nella vita ma tu sai che è quello il traguardo al quale devi giungere. […] Al suo funerale ha voluto [però] che venisse suonato l’Inno alla gioia della Nona Sinfonia di Beethoven perché la vita è un dono che va sempre e comunque festeggiato. Anche quando è giunto il punto finale.
Giulia Maria Crespi, Il mio filo rosso, Torino, Einaudi, 2015 Giulia Maria Crespi, Le storie di Anna, la bambina che non diceva mai le bugie, Milano, Salani, 2018
Notiziario FAI n. 156, settembre – ottobre - novembre 2020
Notiziario FAI n. 157, dicembre 2020 / gennaio - febbraio 2021
Voce pubblicata nel: 2025
Ultimo aggiornamento: 2025