Il 26 dicembre 1914 nasce a Milano Matilde Maria Covo, Lica per la famiglia. In ebraico Matilde è Masal, diminutivo di Masalica e dunque Lica, nome che nella genealogia della famiglia Covo compare spesso anche solo come Lica. Masal in ebraico vuol dire "fortuna" e l’augurio che si fa per nascite, matrimoni o occasioni importanti è Masal-tov, "buona fortuna" o "felice sorte".

Terza figlia di un matrimonio misto, viene accolta e trattata come una principessina dai tre fratelli maschi, due maggiori e uno minore di lei, e dal padre. La mamma di Lica, Maddalena Stramba di madre originaria del lago Maggiore e padre francese, è donna schiva ma di vedute aperte pronta ad accettare le novità e le opportunità che un matrimonio misto può offrirle facendo sue lingue, abitudini, viaggi e rimanendo sempre accanto al suo uomo con una devozione straordinaria.

Mario Covo aveva in Italia una fiorente attività di import-export. Lui, i figli e anche la moglie per via del matrimonio, erano cittadini spagnoli. La famiglia Cobos de los Cobos, cacciata dalla Spagna da Isabella la Cattolica nel 1492, approdata in Bulgaria si stabilì a Ruscuk (oggi Ruse). Erano Grandi di Spagna, lo spagnolo era lingua madre, e veniva parlata in casa per 400 anni; avevano il privilegio di mantenere la cittadinanza. Il cognome invece mutò in Covo e in Kowo per quella parte di famiglia passata in Francia, Cecoslovacchia o nel resto d’Europa..

Lica è viziata, coccolata anche per la sua bellezza e intelligenza. Cresce nella Milano borghese tra le due guerre, frequenta la scuola francese e il conservatorio, diplomandosi in pianoforte, e poi la scuola d’arte di Besançon. Fa molto sport: nuoto, tennis, pattinaggio, sci, spesso eccellendo nelle gare stimolata dai fratelli. Sono legatissimi, belli affascinanti e il mondo sorride a tutti e quattro. Nel 1923 passano le vacanze invernali a St.Moritz, nel 1929, Giulio partecipa alla coppa Spenser a Davos, nel 1937 Lica arriva seconda nei campionati provinciali di sci.

Ma Mario Covo è irrequieto. Gli ebrei da millenni costretti dai pogrom a scappare e a spostarsi per salvarsi sono sempre all’erta, attenti ai piccoli cambiamenti sociali. Il mutamento è graduale, sotterraneo, strisciante ma Mario decide di allontanare, dopo un anno sabbatico in giro per il mondo, i figli maggiori. Mino e Giulio, non contenti della decisione paterna, manifestano il proprio disappunto – così i racconti di famiglia – facendo girare un mappamondo e scegliendo come meta quella, casuale, indicata dal dito: è il Messico, e lì impiantano un azienda.
L’ultimo fratello, Pier Vittorio, Pippo, lascia l’Italia solo quando le leggi razziali gli impediscono di continuare gli studi al Politecnico. Passato in Canada a salutare un amico prima di raggiungere i fratelli, viene sorpreso dallo scoppio della guerra e tanto si adopera e fa che riesce ad arruolarsi nella Marina Canadese per combattere i tedeschi. Sarà uno dei pochi superstiti della sua nave silurata, e diventa eroe di guerra.

Tutte queste vicende, molto dolorose per Lica e la famiglia, la allontanano progressivamente dal mondo in cui è vissuta, rendendola adulta e consapevole. Il 12 marzo 1938 Matilde Maria Covo, Lica, e Alberto Massimo Alessandro Steiner, Albe, si sposano a Milano con rito civile. Albe era andato a chiedere la mano di Lica con tutti i crismi. “Sono venuto per dire che Lica e io vorremmo sposarci anche se io non ho molto da offrirle, mi sto inventando un lavoro nuovo in cui credo e non ho un patrimonio ma le voglio bene. Vorrei avere il suo parere.” “Pensi che verranno tempi buoni o cattivi?” “Penso a tempi molto grami” “Allora se vi amate sarà meglio che li affrontiate insieme”.

Per Mario Covo Albe fu il suo quarto figlio. Durante la cerimonia alla domanda di rito “Vuole lei Matilde Maria Covo sposare”…la risposta di Lica forte e chiara fu “Si, bonjour philipine” accolta dalla risata generale dei presenti. Iniziava così, con un gioco, la loro inseparabile vita. Il gioco consiste nel mangiare, quando le mandorle sono doppie, metà con un contendente stabilendo insieme il tempo e il luogo in cui il primo che si ricorderà di dire “bonjour philipine” avrà diritto a un premio magari pattuito prima. Così in una riunione di amici avevano fatto Lica e Albe con scadenza dopo il matrimonio ma certo nessuno avrebbe ipotizzato una simile memorabile vittoria di quella Lica apparentemente così fragile e indifesa.

Nel 1939, costituendo lo studio foto-grafico LAS, Lica e Albe ratificano la loro collaborazione di lavoro che durerà tutta la vita unendoli ancora di più; per tutti divennero i Licalbe. In agosto vanno in America con il transatlantico Rex a trovare i fratelli. La famiglia si riunisce per l’ultima volta, poi sarà la catastrofe.

Torna anche Mario Covo con la moglie, consapevole dei tempi e dei rischi ma, convinto che il passaporto spagnolo li protegga, non vuole lasciare la sua principessina senza appoggi. Il primo settembre 1939 la Germania invadendo la Polonia dà inizio alla seconda guerra mondiale. I Licalbe decidono di schierarsi e si avvicinano al Partito comunista italiano, clandestino. Il 10 giugno 1940, bell’anniversario dell’uccisione di Matteotti (zio di Albe), Mussolini annuncia la dichiarazione di guerra a Francia e Inghilterra. 25 giugno 1941 nasce la figlia Luisa mentre la guerra continua e Lica aiuta sempre Albe che collabora con architetti, aziende e riviste come “Tempi Moderni”, “Architettura”, “Note fotografiche”, insieme anche all’amico grafico svizzero Max Huber.

Le bombe lanciate su Milano nel 1943 distruggono lo studio e la casa dei Licalbe, quella dei genitori Covo – che si trasferiscono a Mergozzo con Luisa – e quella della mamma di Albe che viene ospitata nella casa della nuora a Porto Valtravaglia. Lica e Albe entrano definitivamente nella lotta clandestina. Lica è staffetta instancabile, non perde mai il controllo e ai posti di blocco passa con la sua scanzonata bellezza e i calzettoni rossi come una turista spensierata, magari anche con la figlia. Un ruolo pericoloso che le varrà il riconoscimento dell’ANPI con una medaglia d’argento. Non ne parlerà tanto facilmente, per lei quello che aveva fatto era del tutto scontato, magari un po’ incosciente ma normale.

Il 15 settembre 1945 proprio a Mergozzo si consuma una delle stragi del lago Maggiore. I tedeschi prelevano Mario Covo con due nipoti, Madi e Abram Arditi scappati dalla Bulgaria e in attesa di transitare in Svizzera. Di loro non si saprà più nulla. Da quel giorno niente sarà più come prima per tutta la famiglia e nei trasparenti occhi di Lica ci sarà sempre un’ombra di tristezza e di diffidenza.

1943-1945: i Licalbe partecipano attivamente alla formazione della Repubblica dell’Ossola e alla resistenza vivendo momenti drammatici. Albe perde suo fratello nei campi nazisti. Alla fine della guerra dopo aver contribuito alla mostra della Ricostruzione a Milano e alla nascita de Il politecnico di Vittorini, Albe, Lica, Luisa la nonna Maddalena e la tata Michela raggiungono i fratelli Covo in Messico dove lavorano con Hannes Mayer, ex direttore della Bauhaus, Diego Rivera, Leopoldo Mendes, Alfaro Siqueiros e molti altri al Taller de grafica popular e alla campagna di alfabetizzazione. In Messico nasce la seconda figlia Anna.

Rientrano in Italia nel 1948 per partecipare alle elezioni e Lica coordina i corsi di grafica al Convitto Scuola Rinascita di Milano. Da quel momento Lica dedicherà gran parte del suo lavoro alla didattica insegnando alla scuola del libro dell’Umanitaria, in Somalia e tenendo seminari e conferenze.

1950-1974. Albe disegna, progetta, ma Lica è sempre al suo fianco e nulla esce dallo studio senza la sua approvazione: Lica ombra di Albe, ma ombra critica, pensante, tagliente; Lica coscienza artistica di Albe, traduttrice di testi inglesi, spagnoli, francesi a volte anche tedeschi, archivista e contabile ma anche all’occorrenza disegnatrice e ricercatrice iconografica. È anche promotrice culturale, combattente per i diritti e la parità delle donne e giornalista responsabile, per gli anni 1957 e ’58,della Pagina della donna, un inserto dell’ “Unità” e curatrice con Albe dell’opuscolo Una donna a metà. I Licalbe erano instancabili. E anche la vita politica e sociale riprese il suo corso normale, le riunioni settimanali in casa Vittorini, gli incontri con scrittori, pittori, architetti e intellettuali italiani e stranieri come la Duras, Sereni, Calvino, Guttuso, Picasso, Rafael Alberti, Morlotti, De Carlo, Einaudi, Fortini e molti altri e altre; le riunioni e discussioni politiche con Rossana Rossanda, Vittoria e Totò Di Benedetto, Onofri, Giuliana Ferri, Marcella Ferrara, Vidali..
C’erano anche gite in montagna con vecchi amici resistenti come Eugenio Gentili Tedeschi, Franco Berlanda, Vittorio Gregotti e LINK Luciana Nissim Momigliano, molto amica di Primo Levi e reduce dai campi nazisti come lui.

Il 17 agosto 1974 , a Raffadali in Sicilia, ospite dei Di Benedetto, muore improvvisamente Albe. È la fine di un’epoca e della simbiosi dei Licalbe durata trentasei anni. La vita di Lica cambia per la seconda volta: prima la morte del padre ora quella di Albe. Dopo la morte di Albe decide di tener in vita il suo spirito e il suo insegnamento. Continua a insegnare, organizza mostre, partecipa ai congressi internazionali di grafica, ma soprattutto costituisce con le figlie l’Associazione “Albe Steiner per la comunicazione visiva” con lo scopo di ordinarne le opere e divulgarne la conoscenza. Nel 1988 l’archivio viene riconosciuto dalla Soprintendenza ai Beni Culturali come “archivio di valore storico”.

Nel 2003 L’archivio viene donato al Politecnico di Milano ai fini della ricerca storico didattica. Notizie più dettagliate o bibliografiche sono reperibili nel sito www.archiviosteiner.dpa.polimi.it. Dopo la donazione dell’archivio e il progressivo trasferimento della maggioranza delle opere al Politecnico Lica si rifugia sempre più in una dimensione famigliare, e si dedica soprattutto i nipoti che coinvolge, sempre informata e attenta, in discussioni politico culturali.

Il 23 maggio 2008 muore una settimana dopo una caduta in cui si era rotta un femore.

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Lica Covo

Luisa Steiner, Mauro Begozzi. Lica Steiner, Una strada che va all’infinito, Milano Unicopli, 2015

Luisa Steiner, Mauro Begozzi, Un libro per Lica, istituto storico della resistenza, 2011

Chiara Alessi , Vorrei far vedere una strada che va all’infinito. Lica Covo Steiner, Milano, Electa, 2023

LINK:

https://www.archiviosteiner.it intervista a Luisa Steiner sull’eccidio di Mengozzo.

http://archivio.casadellaresistenza.it/archivi/scheda-persona-completa?id=1432

https://antinomie.it/index.php/2023/04/25/lica-covo-steiner-partigiana/

https://ilmanifesto.it/lica-steiner-una-strada-che-va-allinfinito


Luisa Steiner

Diplomata al liceo classico, si iscrive alla facoltà di agraria. Studia biblioteconomia e insegna in corsi ministeriali promuovendo le sale ragazzi e collaborando, tra gli altri, con Petter, Munari, Rodari. Giornalista e ricercatrice iconografica, pubblica su numerose riviste e volumi di cultura e turismo. Alla morte del padre, avvenuta nell'agosto del 1974, lavora per cinque anni nello studio Steiner. Assunta poi al Touring Club Italiano, lavora in biblioteca, fototeca, redazione e centro studi. E' autrice di un saggio di biblioteconomia, del libro per ragazzi "Bernardino perdifiato", ha curato i volumi "Il manifesto politico di Albe Steiner", "Un libro per Lica", con Mauro Begozzi, e ha dato vita, ancora in collaborazione con Mauro Begozzi, alla collana Novecento donne, edita da Unicopli.

Leggi tutte le voci scritte da Luisa Steiner

Voce pubblicata nel: 2024