Proveniva da Ferrandina, in Basilicata, la giovane Maria Barbella, nata il 24 ottobre 1868 ed emigrata a 17 anni a New York con la famiglia.
Come tanti italiani viveva a “Little Italy” e lavorava per 10 ore al giorno nella fabbrica di mantelli di Louis Graner & Co., al numero 541 di Broadway. Lavorante a cottimo, quando portava a casa un po’ di lavoro e cuciva fino a mezzanotte riusciva a racimolare 8 dollari a settimana.

Aveva imparato a cucire dal padre Michele, contadino e sarto, il quale aveva seguito il figlio Giuseppe emigrato prima di lui negli USA. Maria prima prestava la propria opera in un laboratorio che poi dovette abbandonare per evitare di passare sempre davanti al chiosco di un lustrascarpe di cui si era innamorata.
Ogni giorno, infatti, andando a lavorare, provenendo da Elizabeth Street dove abitava, passava davanti al chiosco di Domenico Cataldo, posto all’angolo sud-est fra Canal e Elm Street. Il lustrascarpe con i baffi curati e i capelli neri pieni di brillantina aveva tentato più volte di attirare la sua attenzione ma la ragazza, con gli occhi bassi, aveva sempre tirato dritto. In una sera di novembre del 1893 Maria aveva, però, risposto al suo saluto e si era messa a parlare con lui.

Così, dopo aver appreso che anche lui era lucano, originario di Chiaromonte, aveva iniziato a frequentarlo. L'uomo, che aveva lasciato moglie e due figli nel proprio paese, iniziò a corteggiarla.
Accompagnava ogni sera la ragazza fino a casa, ma aveva sempre una scusa pronta per non salire a conoscere i suoi genitori. Il padre aveva ordinato alla figlia di non rivedere più quel compaesano. La ragazza aveva ubbidito ed aveva anche cambiato lavoro per non dover passare più davanti al chiosco.

Ma il Cataldo non si era arreso, l’aveva ritrovata a marzo del 1895 e tra i due la storia era proseguita. Maria aveva lasciato la famiglia ed era andata a vivere con lui, sicura che l’avrebbe sposata.

In realtà il lustrascarpe continuava a non avere alcuna intenzione di sposarla. Maria, ormai in preda alla disperazione, il 26 aprile 1895, dopo l’ennesima lite, aveva raggiunto, insieme alla madre Filomena, l’uomo nel bar di Vincenzo e Caterina Manguso e l’aveva affrontato.

La madre stessa aveva implorato l’uomo di sposare la figlia, anche perché il padre non l’avrebbe ripresa in casa, avendo la ragazza "perduto l'onore". Domenico Cataldo, intento a giocare a carte, aveva riso, dicendo in un primo momento che Maria non aveva il vestito adatto, ma la giovane aveva replicato che non le importava e che era pronta a sposarlo subito con l’abito che aveva indosso. Quindi l'uomo, sempre ridendo, aveva chiesto 200 dollari per le nozze, al che la madre aveva risposto di essere povera e di non avere quei soldi. Allora Domenico Cataldo, in tono sarcastico, aveva dichiarato: «Only pig marri!» («Solo un porco può sposarti»).

Tolto da sotto lo scialle un rasoio, Maria gli aveva tagliato la gola.

In attesa del processo, venne trasferita a Le Tombs, le famose prigioni di New York. Qui venne notata da Rebecca Salomè Foster, vedova del generale John A. Foster, soprannominata “l’angelo di Le Tombs” per la sua opera di assistenza dei detenuti, che prese il suo caso a cuore, aiutandola in tutto. Ma nemmeno l’intervento della Foster riuscì a impedire che la giustizia americana ritenesse colpevole di omicidio la giovane. Nel processo certamente giocarono le discriminazioni nei confronti degli italiani e la non conoscenza perfetta dell’inglese dell’imputata. L’interprete in aula, infatti, parlava un inglese stentato per cui le stesse dichiarazioni dell’imputata non vennero ben comprese dai giurati tra i quali, peraltro, non sedeva alcun italiano. Anche gli avvocati d’ufficio portarono avanti una difesa debolissima e per nulla convinta.

Il dibattimento iniziò l’11 luglio 1895 davanti alla Corte Superiore della Contea di New York presieduta dal giudice John W. Goff. Il giudizio si concluse il 16 luglio e Maria Barbella diventò la prima donna condannata negli USA alla sedia elettrica dopo la sua introduzione nel 1889. Questo il commento del “Brooklyn Daily Eagle”: «Il codice americano ha trionfato su quello italiano. Qui siamo negli Stati Uniti, non in Italia, e gli italiani che vengono qui devono imparare che pugnali e rasoi come strumenti di giustizia sono proibiti. […] In Italia, una ragazza che uccide chi l’ha ingannata non viene punita, anzi fa una cosa giusta».

Fortunatamente per Maria la sua storia venne a conoscenza, un mese dopo l’arresto, della contessa Cora Slocomb di Brazzà, una ricca ereditiera americana sposata con un nobile di origine friulana.

Pur vivendo in Italia, la nobildonna si era sempre mantenuta aggiornata sulle vicende americane e la storia di Maria l’aveva profondamente impressionata. Americana di nascita, italiana per matrimonio, credeva in una giustizia senza nazionalità, una giustizia che servisse allo stesso modo poveri e ricchi. Convinta che la Barbella rappresentasse tutti gli emigranti italiani, temeva che potesse diventare il potenziale capro espiatorio della brutale discriminazione americana nei confronti degli italiani.

Recatasi, così, insieme al marito, a New York, dopo la condanna decise di intervenire in aiuto della giovane, coinvolgendo l’opinione pubblica in una grande campagna per la revisione del processo.

Il caso interessò moltissimo la gente e tutti i giornali ne parlarono, mentre l’ufficio del Governatore di New York venne inondato di lettere, telegrammi e petizioni in favore di Maria. Cora Slocomb, inoltre, riuscì a ottenere l’assistenza legale gratuita dei tre avvocati più famosi di New York: Frederick House, Emanuel Friend ed Edward Hymes.

Il nuovo processo durò 24 giorni e si concluse il 10 dicembre 1896 con un verdetto di non colpevolezza per incapacità di intendere e volere.

Rilasciata, Maria si rifece una vita, sposando il 4 novembre 1897 un altro emigrato italiano, Francesco Bruni. Due anni dopo nacque il primo figlio Frederick.

Abbandonata dal marito, ritornò a vivere con i genitori agli inizi del ‘900. Nel 1940 viveva, con il nome Mary di Chiara, assieme al secondo marito Ernesto, presso Pike Street, a Manhattan. Morì il 24 marzo 1950.

La storia di Maria è stata narrata nel 1993 dalla pronipote di Cora Slocomb, Pucci Idanna, nel libro Il fuoco dell’anima, (Longanesi).

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Maria Barbella

Pucci Idanna, La signora di Sing-Sing. No alla pena di morte, Firenze, Giunti, 2002. Il libro costituisce la versione riveduta e corretta dell’edizione apparsa nel 1993, con il titolo Il fuoco dell’anima, per i tipi della Longanesi & C. di Varese

Strazza Michele, La prima donna condannata alla sedia elettrica, in “Storia in network”, n. 175, maggio 2011

New York Daily Tribune, 19 luglio 1895

The New York Herald, 28 luglio 1895




Voce pubblicata nel: 2025

Ultimo aggiornamento: 2025