Nata a Milano nel 1948, Paola Mattioli è tra le fotografe italiane più affermate del secondo novecento. Studia filosofia all’Università Statale con Enzo Paci e si laurea con una tesi sul linguaggio fotografico. Intorno al 1968 si avvicina a Ugo Mulas, la cui pratica fotografica di matrice analitica e concettuale ha un peso importante nello sviluppo della sua poetica. La formazione di Mattioli, come sottolinea Cristina Casero, si svolge infatti sui due piani della teoria e della prassi “costantemente intrecciati”1. Nel 1970 viene incaricata dall’editore Luigi Majno di ritrarre Giuseppe Ungaretti, per un progetto editoriale pensato per fare dialogare poesia e arti visive.
Di lì a breve l’incrocio tra parola e fotografia assume per Mattioli contorni nuovi nel photobook Immagini del No (1974), pubblicato a quattro mani con Anna Candiani per l’editore Vanni Scheiwiller nella collana Occhio magico. I tanti ‘no’ apparsi sui muri e i monumenti di Milano in occasione del referendum sull’abrogazione della legge sul divorzio sono all’origine di un racconto fotografico in cui scrittura e immagine si fondono, in modo da dare consistenza alla qualità iconica della parola e al valore narrativo delle fotografie. Si tratta, infatti, di una serie di immagini che eccedono i confini della fotografia documentaria per approdare a esiti vicini alle esperienze verbo-visive e alle intersezioni foto-testuali dell’arte concettuale. Le Immagini del No vengono esposte in occasione dell’omonima mostra alla Galleria Il Diaframma di Milano, dove le fotografie sono disposte su quattro livelli sovrapposti, con sequenze connesse tra loro a formare un “discorso narrativo polifonico”, secondo la definizione data all’epoca da Carlo Arturo Quintavalle.
L’anno successivo Mattioli partecipa con Candiani, Carla Cerati e Giovanna Nuvoletti all’esposizione Dietro la facciata, tenutasi al SICOF di Milano (1975), dedicata al lavoro domestico e alla quotidianità delle donne nelle case di ringhiera.2 Questa esperienza esprime già la precisa consapevolezza politica dell’autrice, ma negli anni immediatamente successivi, grazie al coinvolgimento nei gruppi femministi, Mattioli s’indirizza verso una pratica fotografica di carattere più relazionale. Una serie importante appartenente a questa fase è Donne allo specchio (1977), dove le compagne del Gruppo del mercoledì (composto oltre che da Mattioli, da Adriana Monti, Bundi Alberti, Diana Bond, Esperanza Núñez, Mercedes Cuman e Silvia Truppi) vengono fotografate mentre si specchiano, quando cioè prendono coscienza di sé stesse e della propria immagine. Mattioli interviene nel processo di reificazione abitualmente connesso alla fotografia e realizza una sorta di ‘autoritratto collettivo’, dove i confini tra l’io e il tu, tra soggettività e collettività, si fanno labili. Mattioli stessa s’inserisce infatti nella serie, identificandosi con le altre donne. Nel 1978 la serie confluisce nel libro Ci vediamo mercoledì. Gli altri giorni ci immaginiamo3, pubblicato dal Gruppo del mercoledì per l’editore Gabriele Mazzotta. Il volume raccoglie materiali individuali ed esperienze collettive incentrate sull’immagine femminile e sul rapporto tra donne: il corpo, la soggettività, la sorellanza, le disparità tra i sessi, il desiderio di non conformarsi a modelli estetici e culturali percepiti come alienanti sono i nodi nevralgici del libro.
La rappresentazione del corpo delle donne è centrale anche nella ricerca condotta negli anni Ottanta, in particolare nelle Statuine (1985), dove grazie all’uso di piedistalli e di contrasti di luce il corpo si trasforma in scultura. Di “neo-realismo magico” parla Anne-Marie Sauzeau Boetti a proposito di questa serie, in cui corpi e volti appaiono sospesi in un’atmosfera raggelata ed enigmatica, simile a quella provocata dal Giovane che guarda Lorenzo Lotto di Giulio Paolini.
Al 1995 risale il primo soggiorno a Dakar, dove Mattioli rimane colpita dalla figura delle Signares, a cui nel 2003 dedica l’omonima serie raccolta nel libro Regine d’africa (Parise Editore, 2004), frutto anche dell’interesse per le ricerche condotte da Carla Lonzi sulle Preziose. Dai viaggi in Africa nascono in questi anni i ritratti a Seni Camara, importante scultrice attiva a Bignona nel Senegal sudoccidentale e la serie Neri Bianchi (2006), composta dai ritratti di uomini e donne africani albini.
Agli anni Duemila datano le serie Fabbrico (2006) e Dalmine (2008), nate da un progetto promosso dalla FIOM CGIL, dedicato al racconto dell’operaio nell’industria pesante, la cui figura, specie negli anni del berlusconismo, è stata oscurata e resa quasi invisibile nel discorso e nell’immaginario visivo pubblico. Nel 2023 pubblica L’infinito nel volto dell’altro (Mimesis), libro in cui la fotografa s’interroga sul ruolo del ritratto nel suo percorso, attraverso l’intreccio serrato di riflessioni teoriche, ricordi e appunti di lavoro.
Voce pubblicata nel: 2025
Ultimo aggiornamento: 2025