"Dovremmo definirci le fuori-posto. Stiamo come fuori dal centro. Non ci inseriamo come si deve in nessun ambiente. Alcuni ci stanno stretti, altri larghi". (Cicaleccio)

 

Alfonsina Storni è una figura leggendaria in Argentina e in tutto il Sud America. Pochi possono reggere il confronto con il mito nato intorno alla sua vita e alla sua morte – forse la messicana  Frida Kahlo, di quindici anni più giovane, anche lei figlia di un immigrato. I primi anni da espatriata, la sua fama di poetessa ribelle e di declamatrice carismatica (oggi diremmo performer), la sua condizione di militante socialista e di madre nubile, le sue rubriche ora impegnate ora poetico-sperimentali, la sua audacia di fronte ai grandi interrogativi della modernità, le riflessioni sulla vita nella metropoli e in una società sopraffatta dalle migrazioni, e poi l’autodeterminazione dimostrata fino alla morte (si suicida, ammalata di cancro, il 25 ottobre 1938 a Mar de Plata), il suo congedarsi dal mondo con la poesia Voy a dormir (Vado a dormire) e, infine, la canzone Alfonsina y el mar (Alfonsina e il mare), resa celebre da Mercedes Sosa: tutto questo ha fatto di Alfonsina Storni un simbolo per generazioni di latino-americani. Lei stessa giudicò alquanto irrilevanti le dicerie che correvano sulla sua persona. Si considerava un’artista della parola e voleva essere letta. Fu poetessa, elzevirista, saggista, autrice di testi teatrali e regista. Come mostro nella biografia FREI, proprio la canzone che ha reso celebre il nome “Alfonsina” ha contribuito a rafforzare il mito del suicidio eclissando l'opera stessa di Alfonsina Storni. Questa dolorosa lacuna mi ha spinto a tradurre l'opera in tedesco e a pubblicarla per riportare alla luce questa eccezionale scrittrice della prima metà del XX secolo.

Alfonsina Storni, nata il 29 maggio 1892 a Sala Capriasca, un paesino vicino a Lugano, era emigrata con la sua famiglia nel 1896. Ottenuto un diploma di “maestra rural” (‘maestra nelle scuole di campagna’), divenne a Buenos Aires una selfmade woman. Nel 1912 nacque suo figlio Alejandro (Storni non ha mai rivelato il nome di suo padre). Nella sua veste di madre nubile, di immigrata e di socialista, compose poesie, si fece strada con il suo primo volume di poesia (1916), fu la prima scrittrice a entrare negli ambienti culturali e intellettuali della capitale, insegnava in una scuola di teatro per bambini, al Conservatorio de Musica y Declamación a Buenos Aires e altre scuole per ragazzi e adulti: «Sono una donna del XX secolo», disse di sé. Ha scritto sempre in spagnolo; l’unica frase in italiano che ci resta di lei si trova in un telegramma che da Parigi, il 25 febbraio 1930, mandò ai parenti in Svizzera: «Ancora abbraccio tutti. Alfonsina».

La sua attività di poetessa la portò a frequentare  Gabriela Mistral, Pablo Neruda e Federico García Lorca. Fu autrice di elzeviri per giornali e riviste, nei quali demolì la convinzione, diffusa all’epoca, che le donne dovessero sposarsi e crescere i figli senza aver prima potuto maturare una propria esperienza di vita. Fu anche autrice di opere teatrali e scrisse pièce d’avanguardia in cui sperimentò forme di rottura dell’illusione scenica. A lei si devono i primi testi teatrali per l’infanzia, che spogliò dai pregiudizi ideologici. Inoltre, in qualità di regista, docente di recitazione e guida spirituale, organizzò e diresse laboratori teatrali per bambini. Ma è come poetessa che viene ricordata, e generazioni di alunni argentini hanno imparato a memoria le sue poesie.

Storni pubblicò nove raccolte di poesie, fra il 1916 e il 1938, e ancora oggi viene ricordata come poetessa, non come prosatrice o autrice di testi teatrali per adulti e bambini. Fra il 1919 e il 1921 pubblicò settimanalmente una crónica (cioè un reportage narrativo) nel settimanale «La Nota» e nel prestigioso quotidiano «La Nación»; firmò la maggior parte dei suoi pezzi con lo pseudonimo Tao Lao, ad eccezione di alcuni che siglò con il suo nome. Con questa sua doppia identità giornalistica espresse la propria visione della vita in testi che si collocavano a metà tra finzione letteraria e giornalismo: un genere ibrido destinato a diventare straordinariamente importante nella letteratura latino-americana.

“Trovate la signora voluminosa sul sedile di una metropolitana. Ce l’avete davanti, a portata di bisturi. La signora voluminosa non è sola. Seduto accanto a lei c’è un uomo, il marito. Rasenta i quarantacinque, la signora, e l’età la discolpa dagli sguardi intemperanti e acuminati, verso di te che ne hai venti, non sei adiposa e hai buon umore e allegria da vendere. Allora immagini una storia.” (Alfonsina Storni, La Nota, 1 agosto 1919; in: Cronache, 2017)

La metropoli era il regno di Storni, che aveva un fiuto formidabile e uno sguardo straordinariamente acuto per cogliere e descrivere i modelli di vita urbani, la propensione al consumo e la maniera in cui uomini e donne si mostravano in pubblico. Con la sua penna graffiante ritraeva tipi di donna e di uomo a caccia del sesso opposto, tratteggiava scenette agli angoli delle strade, in auto, in metrò o in tram, e discorreva di moda, stili di vita e tango. Osservava le persone che popolavano la giungla d’asfalto, gli abitanti della capitale (porteños), impegnati nel lavoro o intenti a vagare per le vie della città, gli immigrati, le giovani donne dedite allo shopping, le madri con i figli, le famiglie al parco e le coppie alle serate danzanti. Metteva in luce il vero e il falso splendore degli anni Venti a Buenos Aires. Storni aveva sviluppato qualità letterarie che avevano fatto di lei un’elzevirista dotata di uno stile inconfondibile. Con lo pseudonimo Tao Lao praticò un giornalismo undercover, penetrò nel mondo delle acquerelliste a cottimo e delle lucidatrici di mobili e scrisse sfavillanti satire sulle condizioni di lavoro riservate alle donne argentine alla loro prima esperienza. Affrontò il tema della dura competizione tra i sessi e quello della professionalizzazione, effettiva o apparente, con cui uomini e donne dovevano fare i conti.

"Nella terra d’origine, l’emigrata aveva una personalità: si chiamava María, Juana o Rosa, ed era uno dei sei o sette membri della sua famiglia. Risultava il fiore di un piccolo giardino, una possibilità e una promessa (…). Gli alberi dei viali parevano dire: quella che sta passando si chiama María, o Juana, o Rosa… Gli alberi di Buenos Aires, invece, dicono che colei che passa è un libretto di risparmio."  (Tao Lao, La Nación, 1 agosto 1920, da: Cronache, 2017

Pur vivendo in una grande città, Storni provava nostalgia per la natura. I suoi quadri in prosa, come anche le sue poesie, parlano del tributo che il vivere in città richiede agli uomini che si muovono in flussi di pendolari. Buenos Aires esplodeva letteralmente e, nei primi decenni del Novecento, il rapporto fra centro e periferia cambiava senza sosta. Metropoli di una società di immigrati provenienti da tutta Europa, Buenos Aires era divenuta per lei un «gigante» dagli occhi di vetro. Immigrata lei stessa, disegnò con penna ora pungente ora poetica gli effetti della deformazione di una città, il cui carattere ortogonale non si fermava nemmeno di fronte alle lacrime umane. Con perspicacia descrisse anche gli effetti che la spinta al conformismo aveva sulle donne e che si palesava nel logoramento psichico e mentale, nella spersonalizzazione e nella tendenza all’emulazione. Storni mostrava invece una sincera ammirazione per tutti coloro che se ne infischiavano delle convenzioni sociali e che, a posizioni di privilegio, preferivano esercitare quella libertà d’azione capace di guidare la «macchina» sociale verso nuove strade. Fra il 1894 e il 1930 negli Stati Uniti si diffuse il modello della «new woman», la cui presenza nei nuovi media e, in particolare, nel mondo della pubblicità, scatenò controversie sul piano socio-politico. Alfonsina Storni fu, in Argentina e in America Latina, una delle figure che si fecero contagiare per prime da questa scintilla, diventando così tedofore della donna moderna – anche se lei non avrebbe mai rivendicato per sé un‘immagine tanto stilizzata.

Quando, nel 1929, Virginia Woolf pubblicò A Room of One’s Own (Una stanza tutta per sé) – un’arringa in favore di uno spazio economico, intellettuale e poetico da riservare delle donne scrittrici –, Storni vantava già quasi due decenni di esperienza di un «proprio spazio»: uno spazio un po’ eccentrico, come afferma nel suo testo Cicaleccio: "Dovremmo definirci le fuori-posto. Stiamo come fuori dal centro. Non ci inseriamo come si deve in nessun ambiente. Alcuni ci stanno stretti, altri larghi".

Storni voleva essere una donna-uomo – ambiva a diventare una donna autonoma e rivendicava per sé una «morale virile», come spiegò in più di un’intervista. Fu il germe dell‘autonomia a rendere così preziosi ai suoi occhi i bambini: osservò in loro capacità espressive immediate e incorrotte e una saggezza genuina, costantemente minacciata dal mondo adulto. Inoltre, come intellettuale presente sulla scena pubblica, spezzò una lancia a favore dell’apertura e della tolleranza in anni in cui un numero sempre minore di intellettuali osava schierarsi. Dialogò con i morti, si mise all‘ascolto del battito della Terra e fu un’autrice inconfondibile, unica per i suoi tempi.

Sensibile al proprio tempo e alle spinte della contemporaneità, Storni provoca le sue lettrici e i suoi lettori e suscita il loro smarrimento. Rimprovera gli indolenti, provoca i mentalmente pigri e li incita ad avere il coraggio di pensare con la propria testa. Il linguaggio espressionista, talora surrealista, di Alfonsina Storni caratterizza le sue rubriche. Le crepuscolari è ad esempio un testo in cui l’individuo è assente. Gli esseri umani sembrano animali che diventano attivi solo ad un dato momento. Come cittadini e consumatori, sono una massa e un’onda che invade le strade e si riversa nei negozi. Sono prigionieri delle cose: delle scarpe, di un ascensore... E sono dei manichini a guidare le visitatrici di una sfilata di moda.

Nel 1935 le fu diagnosticato un cancro al seno; Storni si sottopose a un‘operazione, ma la malattia non si fermò. Nel 1938 maturò in lei la decisione di porre fine alla propria esistenza. Voy a dormir, la sua ultima poesia, incoraggia le lettrici e i lettori a interpretare il suicidio del 25 ottobre 1938 come una decisione naturale quanto l’andare a dormire.

Come biografa, ho seguito le tracce di Alfonsina Storni in due continenti. Racconto la vita di un emigrante, di una donna che cerca il suo posto per portare il talento in una società che accetta solo certe etichette di genere e di classe. Presento l'opera vissuta di un'artista, la sua ricezione e anche le forze che l'hanno plasmata durante la sua vita e dopo la sua morte, sia favorevoli che ostili. Trent'anni dopo la morte di Storni, Jorge Luis Borges continuava a dire solo sciocchezze quando si menzionava il nome di lei. Già da molto giovane, appena tornato dalla Spagna a Buenos Aires, Borges aveva iniziato la sua invettiva contra la poesia di Storni. Cancel culture avant la lettre. La resilienza di Alfonsina Storni ispira il pubblico oggi più che mai. E a ragione, credo, perché ha alzato la voce in tutti i generi, compresi quelli che all'epoca erano preclusi alle donne, nei saggi politici e nelle commedie satiriche. Un testo del 1926 e del 1927, che ho trovato durante la mia ricerca, tratta temi socio-politici controversi: l'eugenetica, l'educazione sessuale e i concetti di giustizia nei processi penali. Alfonsina Storni voleva incoraggiare le persone a vivere senza paura – soprattutto senza paura delle idee – e sapeva che bisognava iniziare presto. Insegnava la curiosità artistica e intellettuale perché, come diceva lei, «la creatività affina l'anima». Bambini, adolescenti e giovani adulti imparavano da lei ad esprimersi con la voce, i gesti, le espressioni facciali, il movimento e la musica, prima al Teatro Infantil Labardén, poi anche al Conservatorio di Musica e Recitazione di Buenos Aires. Così le nuove generazioni hanno sperimentato con i pappagalli da circo il desiderio di libertà e l'affermazione di sé, con eroi hollywoodiani come Charlie Chaplin che la vita reale può essere più emozionante della fama sullo schermo, e con Topolino che anche il miglior topolino non può fare quasi nulla senza la sua amica Minnie. Il coraggio è tutto. Non esiste l'arte di vivere senza l'arte di morire, dice la protagonista della sua pièce teatrale Polixena y la cocinerita (Polissena, la piccola cuoca, 1932, secondo Euripide). Storni si tolse la vita il 25 ottobre 1938. Pochi mesi prima scrisse in un prologo: “Il tempo fa ordine nell’opera di uno scrittore: elimina qualcosa, mantiene qualcos’altro. Il tempo ci fa cadere sopra badilate di terra, e va bene così”.

Il tempo le ha dato ragione. Con il badile in mano, seppellisce dei nomi, ma ne dissotterra altri, anche il nome di Alfonsina Storni. Il lavoro della sua vita è riportato alla luce in cinque volumi con poesie, racconti, cronache, aforismi, saggi e opere teatrali. Su questa base ho potuto scrivere la biografia in due volumi corredata di numerose illustrazioni. Alfonsina Storni merita un posto tra le lettrici e i lettori.

 

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Alfonsina Storni

Hildegard E. Keller, WACH, Vom Leben und Weiterleben der Alfonsina Storni. 1870-1929, Zurigo, Edition Maulhelden 2024

Hildegard E. Keller, FREI, Vom Leben und Weiterleben der Alfonsina Storni. 1930-2024, Zurigo, Edition Maulhelden 2024

Alfonsina Storni, CHICAS. Curato e tradotto da Hildegard E. Keller, prefazione di Georg Kohler, Zurigo, Edition Maulhelden 2020

Alfonsina Storni, CUCA. Curato e tradotto da Hildegard E. Keller, prefazione di Elke Heidenreich, Zurigo, Edition Maulhelden 2020

Alfonsina Storni, CARDO. Curato e tradotto da Hildegard E. Keller, prefazione di Denise Tonella, Zurigo, Edition Maulhelden 2021

Alfonsina Storni, CIMBELINA. Curato e tradotto da Hildegard E. Keller, prefazione di Daniele Finzi Pasca, Zurigo, Edition Maulhelden 2021

Alfonsina Storni: Cronache da Buenos Aires. A cura di Hildegard Elisabeth Keller. Traduzione di Marco Stracquadaini. Bellinzona: Edizioni Casagrande 2017

Alfonsina Storni, Una lacrima quadrata, Napoli, ilfilodipartenope 2014

Alfonsina Storni, Senza Rimedio, curato e tradotto da Lucia Valori e Rosaria Lo Russo, postfazione di Martha Canfield, Firenze: Edizioni Le Lettere 2011

Alfonsina Storni, Vivo, vivrò sempre e ho vissuto. Poesie (1892-1938), testo spagnolo a fronte, a cura di Franca Cleis e Marinella Luraschi Conforti, Balerna, Edizioni Ulivo 2008

Alfonsina Storni, Poemas de amor, testo spagnolo a fronte, a cura di Franca Cleis, Marinella Luraschi e Pepita Vera, traduzione di Augusta López-Bernasocchi, introduzione di Beatriz Sarlo, Bellinzona, Edizioni Casagrande (1988) 2002

Alfonsina Storni, Ultratelefono, curato e tradotto da Pina Allegrini, Chieti, Noubs 1997

Referenze iconografiche:Immagini in pubblico dominio.

Voce pubblicata nel: 2018

Ultimo aggiornamento: 2025