Carla Voltolina nacque Torino il 3 giugno 1921 in una famiglia in cui convivevano due diverse anime: quella popolare, legata alla madre, Rosa Barberis, il cui padre era stato sindaco socialista di Piova d’Asti, e quella borghese, rappresentata dal padre, Luigi Voltolina che, dopo la partecipazione alla Prima guerra mondiale, era stato nel 1922 tra i fondatori del primo Fascio torinese. Nonostante queste diversità, l’ambiente famigliare in cui crebbe insieme alle due sorelle maggiori, Laura (1917) e Luisa (1919), fu sereno e gioioso. Carla considerava la madre Rosa come il vero centro affettivo della casa, ma era attaccatissima anche al padre Luigi, che le trasmise la passione per lo sport. Dotata di un fisico atletico, si impegnò nel nuoto e, a dodici anni, vinse il campionato nazionale, specialità staffetta, gareggiando nella squadra allieve della Juventus.

Nel 1938, prima di concludere gli studi di ragioneria, improvvisamente Carla abbandonò la scuola. Non si trattò di svogliatezza, perché in seguitò portò a termine gli studi con corsi serali ed esami integrativi per accedere all’università. Forse, da anticonformista qual era, mal sopportava il clima della scuola fascista, sempre più opprimente dopo il varo delle leggi razziali. Forse, iniziava a porsi delle domande cui non era facile rispondere. Fu doloroso per lei non sentirsi più in sintonia con il padre, teneramente amato, di cui rispettava l’onestà, la buona fede e lo slancio ideale, pur non condividendone le idee politiche. Seguendo l’impulso di libertà che urgeva in lei, scelse quindi di conquistarsi una propria autonomia lavorando e avvicinandosi agli ambienti giovanili antifascisti.

Oltre che dalla tradizione socialista della famiglia materna, stimoli giunsero a Carla dall’amicizia con due ragazzi un po’ più grandi di lei e già schierati contro il fascismo, conosciuti in via Po dove abitava: Raf Vallone (classe 1916), il futuro attore che allora giocava nella squadra di calcio del Torino, e Giovanni Bollea (classe 1913), futuro neuropsichiatra, allora studente di medicina. Queste amicizie con un attore e uno psichiatra simbolicamente rappresentano le due passioni che Carla coltiverà per il resto della vita insieme alla vocazione politica: l’amore per il teatro e l’interesse per la psicologia.

Nel 1939, mentre la Germania nazista scatenava la guerra in Europa, la diciottenne Carla, studentessa-lavoratrice, maturò la scelta antifascista, rinnovando le simpatie socialiste del nonno materno. Dopo l’entrata dell’Italia in guerra, il padre, partito come volontario, fu catturato in Africa dagli Alleati e rinchiuso in un campo di prigionia in Texas fino alla fine del conflitto. La sua assenza fu per lei fonte di dolore, ma anche un’occasione per dar libero corso alle proprie inclinazioni ideali. Quando la madre e le sorelle, insieme al piccolo fratello Umberto nato nel 1940, decisero di sfollare a Montechiaro d’Asti, Carla, ormai inserita negli ambienti antifascisti, non le seguì.

Tra l’estate e l’autunno del 1943, interrompendo gli studi di economia presso l’Università Bocconi di Milano, si spostò a Roma, dove si unì al gruppo di giovani socialisti e federalisti europei gravitante intorno a Eugenio Colorni. Ancora alla ricerca di saldi punti di riferimento, Carla trovò in Colorni il suo primo maestro di socialismo. Intellettuale e filosofo di straordinaria intelligenza, promotore di un socialismo autonomista e antidogmatico, che interpretava l’internazionalismo proletario in chiave europeista e federalista, Colorni esercitò su di lei un indiscutibile fascino intellettuale e morale.

Da subito coinvolta nell’attività dei giovani del Partito socialista di unità proletaria (PSIUP), spesso in compagnia di Cerilo Spinelli, Carla Voltolina prese parte alla redazione e diffusione della stampa clandestina, assistendo alla nascita della Federazione Giovanile Socialista (FGS) e al successivo varo della prima brigata “Matteotti”. Non doveva essere semplice per lei passare inosservata nella lotta clandestina. Alta, statuaria, aveva una bellezza prorompente, da foto Luxardo. Imparò così il trucco del mascheramento, che poi coltivò per tutta la vita: rendere appariscente l’involucro esterno per nascondere il proprio vero sé da occhi indiscreti e pericolosi.

La Resistenza di Carla fu una “guerra senz’armi”: anche nei momenti di peggior pericolo, rifiutò di girare armata. Non amava, però, sentirsi definire “staffetta”, termine spesso usato in modo riduttivo per connotare una posizione subalterna delle donne nella Resistenza armata. Preferiva il termine di ufficiale di collegamento, funzione che implicava importanti responsabilità e gravi rischi personali. Questo fu il ruolo da lei svolto anche all’interno della missione promossa nella primavera del 1944 dal CLN romano nel territorio dell’Alto Maceratese, divenuto strategicamente importante dopo lo sbarco degli Alleati ad Anzio (22 gennaio 1944).

Di questa missione faceva parte anche Sandro Pertini (1896-1990), sebbene non sia attestata una sua conoscenza diretta con Carla in quella circostanza. Bloccato da una bronchite a Pievetorina, Sandro sfuggì al rastrellamento che, nelle settimane precedenti la Pasqua del 1944, colpì la zona del Vissano e coinvolse anche Carla. Arrestata per una spiata e destinata alla fucilazione, riuscì fortunosamente a salvarsi e a raggiungere Roma, dove fu accolta da Luisa Villani Usellini, compagna di Colorni, che così la ricorda nel suo diario: “[Carla] ebbe un brutto guaio coi Tedeschi; riapprodò a casa mia sola, stralunata, e tutta da consolare”.

Nonostante la grande paura provata, Carla non si sottrasse alla lotta. Non è certo se fosse ancora presente nella capitale quando il 28 maggio 1944, una settimana prima della liberazione di Roma, Colorni fu ferito a morte dai fascisti. Nel giugno 1944 si trovava già al Nord, tra Milano e il Piemonte, dove riprese i contatti con la madre e le sorelle sfollate nell’astigiano e con i due cognati, Marcello De Faveri e Alfredo Fantino, impegnati nelle brigate partigiane socialiste. Riconosciuta come una militante già incardinata nella struttura del PSIUP, fu cooptata nell’esecutivo milanese della FGS, guidata da Libero Cavalli, Amilcare Ferrini ed Enrico Mariani, iniziando a lavorare alla redazione milanese de «La Rivoluzione socialista» e collaborando con i Gruppi di Difesa della Donna (GDD).

Nel novembre 1944, il cognato Alfredo Fantino, vice comandante delle brigate “Matteotti” in Piemonte, la convocò a Torino, chiedendole di guidare a Milano un dirigente socialista, inviato dalla segreteria romana per rappresentare il PSIUP nel Comitato di Liberazione Nazionale Alta Italia (CLNAI). Si trattava di Sandro Pertini (alias Nicola Durano). Benché sia possibile che i due si fossero già incrociati a Roma, questa fu l’occasione che mise per la prima volta in contatto diretto l’importante dirigente socialista con la giovane partigiana Carla Voltolina.

La loro amicizia si approfondì nei difficili mesi della lotta clandestina a Milano. Più anziano di lei di cinque lustri, segnato dai lunghi anni di esilio, carcere e confino, Pertini fu colpito dal giovanile entusiasmo di Carla, oltre che dal coraggio da lei mostrato anche in occasione della clamorosa occupazione dell’Università Bocconi da parte dei giovani socialisti il 14 febbraio 1945. Ricercata dalla polizia, Carla rifiutò il consiglio di Sandro di rifugiarsi in Svizzera, guadagnandosi così la sua ammirazione imperitura. Fu questo l’inizio di una relazione sentimentale che si trasformò in un ininterrotto percorso di vita.

Nonostante i dubbi di Sandro, preoccupato per la differenza d’età, e le resistenze dei genitori di Carla, i due si sposarono con rito civile presso il Comune di Roma l’8 giugno 1946, pochi giorni dopo il voto per l’elezione dell’Assemblea costituente e il referendum istituzionale. Carla aveva venticinque anni, Sandro ne aveva cinquanta e rivestiva un ruolo importante nella nuova Repubblica, cui si dedicava con dedizione assoluta. Poteva sembrare un matrimonio azzardato e, invece, durò per tutta la vita, sorretto da un sentimento profondo e dalla comune passione politica. Le differenze, che esistevano fra loro sul piano delle inclinazioni, furono lasciate essere, concedendo a entrambi ampi spazi di autonomia, a partire dalle vacanze separate – perché lei amava il mare e lui la montagna – sino agli opposti gusti in materia di eleganza: formale e sobria quella di Pertini, personalissima e anticonvenzionale quella della Voltolina.

Sul piano politico, pur avendo meriti personali da vantare nella Resistenza (le fu riconosciuta la croce al valor militare), Carla non cercò per sé candidature o ruoli diretti, per i quali non si sentiva tagliata e che non voleva fossero interpretati come concessioni verso la moglie di un importante dirigente politico. Preferì dunque sostenere Pertini nella sua battaglia all’interno del partito e delle istituzioni, pur mantenendo la sua autonomia di pensiero, con posizioni anche discordanti da quelle del marito.

Volle mantenere la propria autonoma anche sul piano economico. Lasciati gli studi alla Bocconi, dopo aver rifiutato la laurea facilitata cui poteva accedere per i suoi meriti di combattente, scelse di mettere a frutto l’esperienza maturata nella redazione della stampa clandestina e si dedicò al giornalismo. Come pubblicista scrisse su vari giornali e riviste: il quotidiano socialista «Avanti!», il genovese «Lavoro Nuovo» e la rivista «Noi Donne», organo dell’Unione Donne Italiane (UDI). I suoi articoli alternavano commenti sull’attualità politica, inchieste su questioni sociali, reportage di viaggio, rubriche di servizio e articoli su temi culturali.

Fu anche collaboratrice della senatrice socialista Lina Merlin, allora impegnata nella battaglia per la legge di chiusura dei bordelli di Stato e per la cancellazione della sigla “N.N” dai certificati dei figli nati fuori dal matrimonio. Con lei condusse un’inchiesta sulla condizione delle prostitute negli ospedali, nelle prigioni e nelle case di tolleranza. Insieme a lei, scelse alcune delle numerose lettere che erano giunte all’indirizzo della Merlin al Senato e le pubblicò, firmandosi col cognome della madre (Barberis), nel volume Lettere dalle case chiuse (1955). Il libro denunciò la drammatica condizione di miseria e sfruttamento delle prostitute, doppiamente oppresse, sia da parte dei cosiddetti “protettori” sia da parte dello Stato, che lucrava su di loro e le bollava a vita. L’eco nell’opinione pubblica fu forte, ma ci vollero ancora tre anni perché il 20 febbraio 1958 il Parlamento italiano approvasse la Legge 75, più nota come “Legge Merlin”. La nuova norma portò alla chiusura dei circa 560 postriboli di Stato ancora attivi, penalizzando lo sfruttamento, non l’esercizio in sé, della prostituzione.

Nei primi anni Sessanta, Carla Voltolina lavorò come giornalista parlamentare presso l’Ufficio stampa della Camera dei deputati. Nel 1968 la nomina di Pertini a Presidente della Camera la convinse a lasciare il suo incarico per evitare il diffondersi di voci su possibili conflitti di interesse. Prima di dimettersi, scrisse però una lettera in cui difendeva con fierezza il proprio operato. In seguito, concluse la sua carriera di giornalista nell’Ufficio stampa del Ministero dei Lavori Pubblici.

Giunta alla soglia dei cinquant’anni, decise di imprimere una svolta alla sua vita e di riprendere gli studi universitari. Si iscrisse quindi alla facoltà di Scienze politiche presso l’Istituto “Cesare Alfieri” di Firenze. Per evitare qualsiasi favoritismo, si presentò sempre agli esami col suo nome da nubile e si laureò nel 1972. Successivamente proseguì gli studi presso il Corso di specializzazione in Psicologia dell’Università di Torino, dove si diplomò nel 1977, a cinquantasei anni, con una tesi nell’ambito della psicologia del lavoro. Avviato il volontariato in ambito ospedaliero e nelle strutture socio-sanitarie a Milano e a Roma, si dedicò al settore delle tossicodipendenze e della malattia mentale.

In età matura, Carla si era dunque costruita una nuova vita professionale, libera dalla presenza un po’ ingombrante del marito. Le foto di quegli anni ci mostrano il volto di una donna ancora giovanile, serena, finalmente realizzata. Terminato il mandato di Pertini come Presidente della Camera nel 1976, c’era anche la prospettiva di una vita famigliare più tranquilla, vissuta in intimità, lontano dai riflettori, per avviarsi insieme a una serena vecchiaia. Gli eventi decisero però diversamente.

Quando si iniziò a parlare della candidatura di Pertini alla Presidenza della Repubblica, Carla Voltolina espresse da subito la sua contrarietà. Temeva che, in un periodo così delicato per il Paese, il peso di tale incarico fosse troppo oneroso per Sandro, che aveva ormai ottantadue anni. Aveva paura anche di vedere la sua vita stravolta dalla nuova posizione pubblica del marito. La linea di riservatezza, cui si attenne durante tutto il settennato di Pertini al Quirinale, è stata attribuita a ragioni di timidezza, a stravaganza caratteriale e persino a un ribellismo irrispettoso delle istituzioni. Fu invece dettata da una precisa scelta di principio. Scelse, infatti, di non assumere il ruolo di “first lady” sia perché lo riteneva istituzionalmente infondato in una Repubblica parlamentare, sia perché voleva contribuire ad affermare un nuovo modo di concepire i rapporti tra uomo e donna e anche tra donna e potere.

Rifiutò quindi gli onori e i privilegi che le venivano proposti in quanto moglie del Presidente e non volle abitare nell’appartamento presidenziale. Anzi, chiese al marito di considerare il Quirinale non come la sua “dimora”, ma come un “ufficio”, da cui tornare a casa, in un contesto di intimità famigliare, nella piccola mansarda da lei sistemata vicino a Piazza di Trevi. Gelosa della propria privacy, non si concesse alle curiosità dei media. Si fece poco vedere in occasioni pubbliche, se non a qualche concerto, spettacolo teatrale e mostra d’arte, a cui lei e Pertini erano da sempre interessati. Anche nei momenti più difficili del terrorismo, accettò malvolentieri la presenza della scorta, creando non pochi problemi ai responsabili del servizio. Seguì una sola volta Pertini in un viaggio all’estero, quando si recò in Cina, un paese per cui nutriva un vivo interesse culturale. In quell’occasione, il suo sottrarsi alle regole del cerimoniale fu duramente criticato da parte della stampa conservatrice.

Per coltivare la propria autonomia professionale, cercò un impiego come psicologa al di fuori dalla capitale. La scelta cadde su Firenze, dove il professor Andrea Devoto, che dirigeva l’ospedale psichiatrico di San Salvi, le consigliò di partecipare a un concorso bandito dalla Provincia. Carla si presentò e, avendo più titoli, lo vinse. Potendo contare sulla pensione da giornalista, preferì però rinunciare per lasciar spazio a una candidata più giovane, lavorando come “psicologa volontaria”. Nel gennaio 1979 – in corrispondenza con l’introduzione della Legge n. 180/1978 promossa dallo psichiatra Franco Basaglia, che stabiliva la chiusura dei manicomi e la loro sostituzione con un sistema integrato di strutture socio-sanitarie territoriali – Carla iniziò a collaborare presso il Centro d’igiene mentale del quartiere Gavinana-Sorgane con il dottor Graziani, il quale a lungo non seppe che si trattava della moglie del Presidente della Repubblica. In seguito lavorò presso il nuovo Servizio Psichiatrico dell’Ospedale di Santa Maria Nuova, coordinato dalla prof.ssa Graziella Magherini, e presso i presidi territoriali di salute mentale a Firenze e a Prato. A questa intensa attività lavorativa affiancò un impegno continuo di ricerca, approfondendo anche la conoscenza della pratica psicoanalitica attraverso l’amicizia con gli psicanalisti Renata Thiele ed Emilio Servadio.

Quei sette anni, vissuti lontano dagli onori e dai fasti quirinalizi, furono per lei densi di impegni e di importanti riconoscimenti. Firenze divenne la sua città d’elezione, dove si recava durante la settimana per ritornare a Roma nel weekend. In costante contatto telefonico col marito, era orgogliosa del favore popolare ottenuto dal “suo” Sandro, il presidente-partigiano “più amato degli Italiani”, che aveva saputo infondere una rinnovata fiducia, soprattutto nei giovani, verso la democrazia e le istituzioni dello Stato. Preferiva però non vivere di luce riflessa: “Il mio Quirinale – ripeteva spesso – è una camera in ospedale con persone che soffrono”.

A Firenze, trovò un alloggio sicuro presso gli amici Italo Dall’Orto ed Elena Mannini, che l’accolsero nella loro abitazione all’Erta Canina, vicino a Piazzale Michelangelo. Italo ed Elena lavorano nel mondo teatrale: lui era un noto attore, lei un’affermata costumista anche in campo cinematografico. La loro piccola casa era sempre piena di artisti di passaggio in città. Carla ebbe così l’opportunità di avvicinarsi a quel mondo di teatranti, creativo, anticonformista e libero, che l’aveva affascinata sin da ragazza. Vi trovò una “zona franca” dove poter essere e stessa, esprimendo la componente più gioiosa della sua personalità, curiosa e appassionata delle persone e della vita.

Dal 1985, dopo la fine del settennato di Pertini al Quirinale, i suoi soggiorni a Firenze si fecero meno frequenti. Gli ultimi anni accanto al marito non furono facili. Sul piano pubblico, Sandro e Carla assistettero dolorosamente all’involuzione della situazione politica italiana. Sul piano privato, non fu facile per Carla osservare l’indebolirsi di un uomo della tempra di Pertini, proteggendolo da occhi indiscreti. Dopo la sua morte, ne custodì la memoria contro ogni tentativo di strumentalizzazione e banalizzazione mediatica, promuovendo la Fondazione a lui intitolata.

Negli ultimi anni di vita, sempre aggiornata sull’attualità politica, faticava a inserirsi in un mondo in cui non si riconosceva più. Dopo la fine della parabola craxiana, da cui aveva già preso le distanze, non volle iscriversi al rinato Partito socialista, ma restò sempre fedele a quegli ideali socialisti che aveva visto concretamente operanti, pur con differenti accenti, in Eugenio Colorni e Sandro Pertini.

Il 24 novembre 2005, già malata, volle compiere un viaggio nella sua città natale per regalare al Museo dell’Automobile di Torino la famosa Fiat Cinquecento rossa con cui aveva scarrozzato il marito Presidente per le vie di Roma. Fu un viaggio faticoso e nostalgico sui luoghi della sua giovinezza. Rientrata a Roma, morì solo una settimana dopo, il 6 dicembre 2005, all’età di ottantaquattro anni. Come da sua volontà, fu cremata e sepolta nel piccolo cimitero di Stella San Giovanni (SV), a fianco del marito. In una piccola targa, a lato della tomba è scritto: “Qui giacciono Carla e Sandro che tanto si amarono e insieme combatterono per la libertà e la giustizia sociale”. Nel marzo 2020 è stata intitolata a suo nome una passeggiata nella città di Firenze 1

 

Fonti, risorse bibliografiche, siti su Carla Voltolina

Fonti archivistiche 

Archivio della Fondazione studi storici “Filippo Turati”, Firenze: Centro studi e documentazione “Sandro Pertini”, Carte di Carla Voltolina

Archivio privato di Umberto Voltolina, Milano: corrispondenza di Carla Voltolina con i famigliari e documenti personali

Archivio privato di Italo Dall’Orto-Elena Mannini, Firenze: corrispondenza e memorie dattiloscritte

Archivio storico della rivista «Noi Donne», Roma

Archivio storico dell’Unione Donne Italiane (UDI), Roma

Biblioteca “Sandro Pertini”, Centro “Francesco Saverio Nitti”, Melfi: si tratta di un fondo di circa duemila volumi della biblioteca personale di Sandro e Carla Pertini e di altri materiali (quadri, oggetti, fotografie, audiovisivi), donati da Umberto Voltolina nel 2010 e collocati in una sala dedicata anche alla memoria degli esuli antifascisti in Francia

Scritti di Carla Voltolina 

Lina Merlin, Carla Barberis [Voltolina], Lettere dalle case chiuse, Roma, Edizioni dell’«Avanti!», 1955 (Il volume è stato riedito a cura di Mirta Da Pra Pocchiesa, Torino, EGA 2018)

Carla Voltolina, Dall’indagine conoscitiva della Camera dei Deputati sulle condizioni di salute dei lavoratori all’esperienza operaia per la Psicologia dei Lavoratori, tesi di specializzazione in Psicologia, Università degli Studi di Torino, a.a. 1975-1976

M. Baccini, G. Graziani, S. Montagano, F. Morandi, U. Romualdi, C. Voltolina, L’inizio della scolarizzazione come momento di crisi-crescita del sistema familiare, «Acta Auxiologica», 19, 1987, pp. 329-334

Scritti su Carla Voltolina 

Antonella Braga, Luisa Steiner (a cura di), Carla Voltolina, Milano, Unicopli 2018 (collana Novecentodonne)

Recensione di Giulia Vassallo su «Eurostudium3w», gennaio-marzo 2019 http://www.eurostudium.eu/Eurostudium50/Vassallo%201.pdf

Enrico Cuccodoro, Gli impertinenti. Il viaggio di Sandro e Carla per l’Italia di oggi, (con A. Nardelli, R. Marzo, G. Pizzoleo), Maglie (LE), Ed. Voilier 2017

Andrea Gandolfo, Il “lascito” di Sandro e Carla Pertini, in Il viaggio. Sandro Pertini fra i giovani e il popolo. Ricordi, incontri, testimonianze per l’Italia di oggi, a cura di Enrico Cuccodoro, Monteroni di Lecce, Esperidi 2015

Francesca Bartolini, Fra teatro e politica la storia di un’amicizia. I Mannini - Dall’Orto e la famiglia Pertini, Firenze, Tipografia del Comune, 2015

Roberta Cairoli, Federica Artali, Carla Voltolina, in Viva l’Italia. Donne e uomini dall’antifascismo alla Repubblica. Strumenti per una didattica della Resistenza in ottica di genere, Milano, FIAP, Enciclopedia delle Donne 2015

Stefano Rolando, Io amavo il mare, lui la montagna. Ritratto di Carla Voltolina Pertini, con la collaborazione di Anna Celadin e con la prefazione di Giuliano Pisapia, Novara, Arcipelago edizioni 2015

Presentazione del volume alla Casa della Memoria di Milano (22 gennaio 2016): https://www.youtube.com/watch?v=sPz9hbBBzrY

Intitolazione di una passeggiata a Carla Voltolina da parte del Comune di Firenze (2020): https://www.okfirenze.com/news/cronaca/917069/quartiere-5-firenze-da-oggi-ha-la-passeggiata-carla-voltolina

Referenze iconografiche:

Prima immagine: Carla Voltolina Pertini. Immagine in pubblico dominio.

Seconda immagine: Carla Voltolina e Sandro Pertini a Milano, nei giorni della Liberazione. Fonte: La Martinella di Firenze. Immagine in pubblico dominio.

 

Voce pubblicata nel: 2021

Ultimo aggiornamento: 2023